Storia della Musica Rock: 1976-89

Generi e musicisti del periodo 1976-89
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(Copyright © 2002 Piero Scaruffi) - Traduzione di Massimiliano Osini

Il roots-rock negli anni '80: 1982-89

Cow-punk

Come l'esplosione creativa del 1966 fu seguita dal riallineamento del 1970, con Dylan, Byrds e Grateful Dead impegnati a recuperare le radici del rock'n'roll, così anche la new-wave del 1976 ebbe come appendice un revival del roots-rock. Nel giro di pochi anni il rock'n'roll passò dalla febbre blasfema del punk ai tranquilli ritmi delle radici. La differenza tra gli '80 e i '70 fu che negli '80 questo riallineamento si verificò in modo molto graduale. Iniziò, in effetti, in una forma mascherata, con la comparsa di gruppi punk che trasfiguravano stili tradizionali, ad esempio X, Dream Syndicate e Gun Club.

L'idea provocò il fenomeno dei "cow-punk", ovvero punk che suonavano musica country, ma ambientavano le loro storie negli ambienti dei disadattati, così come aveva fatto Gram Parsons nella precedente generazione. Le pietre miliari tra le registrazioni includono diversi album realizzati nel Sud: Native Sons (1984) dei Long Ryders dal Kentucky; Lost and Found (1985) dei Jason & the Scorchers dal Tennessee; Dash Rip Rock (1986) dei Dash Rip Rock della Louisiana; Scarred but Smarter (1986) dei Drivin'n'Cryin' dalla Georgia.

I Fetchin Bones (12), dalla North Carolina, furono di gran lunga i più spettacolari cow-punk del periodo. Cabin Flounder (1985) presentò un ruvido roots-rock deflagrato dalla vibrante isteria della cantante Hope Nicholls, un incrocio tra Patti Smith, Exene Cervenka degli X e Chrissie Hynde dei Pretenders. Il complesso suonava un epilettico garage-rock al confine con l'esaurimento nervoso, che sfumava la delimitazione esistente tra rockabilly, le slam-dance e le quadriglie. L'enfasi ritmica e le due chitarre rumorose si fecero addirittura più crude e irriverenti su Bad Pumpkin (1986), mentre Galaxy 500 (1987) fu, per lo più, un tour de force della cantante.

Los Angeles divenne il quartier generale della prima ondata di cow-punk, grazie a Tex & the Horseheads (1984) dei Tex & the Horseheads, Blood on the Saddle (1984) dei Blood on the Saddle, Town + Country (1985) dei Rave-ups, Lone Justice (1985) dei Lone Justice (l'album che fece conoscere la cantante Maria McKee), Next Saturday Afternoon (1987) dei Thelonious Monster e Tales of the New West (1985) dei Beat Farmers da San Diego. Johnette Napolitano guidò i suoi Concrete Blonde attraverso il rock'n'roll rustico e populista di Concrete Blonde (1987).

I Great Plains dell'Ohio, guidati dal cantante nasale Ron House e tra i cui membri militava l'organista Mark Wyatt, intrattennero i college universitari con Born in a Barn (1984), una miscela vivace, arguta e orecchiabile di cow-punk e folk-rock.

La creatura definitiva dei quartieri iici di Los Angeles furono i Los Lobos (2), i quali riciclarono un'esuberante combinazione di rhythm'n'blues e tex-mex, di Doug Sahm e Flaco Jimenez. How Will the Wolf Survive (1984) fu, se possibile, il primo album a trovare un denominatore comune tra fisarmonica, bajo sexto, chitarra rock e batteria. E lo fece con lo spirito della musica punk: le incendiarie fughe della chitarra di Cesar Rosas, l'esplosivo tenore di David Hidalgo e l'incontrollabile spinta del batterista Louie Perez crearono una miscela esplosiva. Essi riproposero quell'orgia di ritmi solo una volta, con lo shuffle demoniaco Shakin' Shakin' Shakes (1987), in quanto stavano maturando come bardi romantici del barrio e come eclettici scolari calligrafici di stili musicali. I toccanti The Neighborhood (1990) e Kiko (1992) furono al tempo stesso malinconici ed enciclopedici. Da un lato, le canzoni trasportavano l'ascoltatore nel mondo dei chicanos. Dall'altro, gli arrangiamenti miscelavano passaggi orchestrali alla Duke Ellington, fisarmoniche cajun, ritmi cumbia, rhythm'n'blues di New Orleans, polke al mandolino, boogie, funk e rock'n'roll. Il caustico melodramma sociale fatalistico e nostalgico dei Los Lobos era diventato la colonna sonora del melting-pot e del sogno americano.

Con Johnson (1988), i Pontiac Brothers di Los Angeles spostarono l'enfasi verso un rock populista sulle corde di Rolling Stones e Bruce Springsteen.

Gli eroi operai di Boston furono i Del Fuegos (1) di Dan Zanes, il cui Longest Day (1984) ricordò gli anni '70, nella sua fusione di rock operaio americano (Springsteen, Seger, Mellencamp) e pub-rock britannico (Costello, Parker, Lowe).

Nella stessa città, Mark Sandman raccontò con il suo primo complesso, Treat Her Right, le storie conturbanti di Tied to the Tracks (1989), utilizzando il blues come mezzo espressivo, ma un blues troppo patinato per essere ancora blues.

Formati dall'ex chitarrista dei Dictators, Scott Kempner, uno dei più grandi affabulatori della musica rock, i Del-Lords (2) guidarono le fila delle grandi voci populiste provenienti da New York nella seconda metà del decennio. Kempner firmò le soavi epiche di Frontier Days (1984), trovando un improbabile terreno comune tra le sonorità degli anni '60 (melodie Mersey-beat, cori surf, distorsioni garage) e le sonorità del grass-roots (ballate da cowboy, melodie folk, chitarre alla Byrds, ritmi blues alla Creedence Clearwater Revival). Rifinendo l'idea con un più profondo senso di identificazione con i suoi anti-eroi, Johnny Comes Marching Home (1986) suonò come un ciclo di solenni odi al villaggio americano, nello spirito del Born in the USA di Springsteen e del Southern Accents di Petty, per quanto continuasse, dal punto di vista sonoro, la sua ricerca per un compromesso tra Blasters e Fleshtones, che fosse per giunta ambientato a Nashville. Se il suono hard-rock di Based on a True Story (1988) suonò fuori luogo, Lovers Who Wander (1990) fu un toccante, quasi filosofico canto del cigno che avvolse la missione del gruppo in un lampo di gloria.

Gli Absolute Grey (1) di Elizabeth Brown, anch'essi da New York, assemblarono composizioni attentamente drammatizzate su What Remains (1986), così come sul suo successore Sand Down the Moon (1987), che non venne pubblicato se non dopo tre anni.

Il secondo album dei Silos, Cuba (1987), fu un buon esempio di come questa generazione potesse imitare i classici, senza assomigliare per niente a loro.

Poche formazioni roots-rock riuscirono a fondere i toni domestico ed epico nello stesso modo dei Walkabouts (2) di Seattle. Le malinconiche elegie di Chris Eckman, le armonie solenni e sofferte di Carla Torgeson e un suono folk-rock, che ricordava i più rumorosi Fairport Convention, guidarono al vibrante Cataract (1989) e al profetico e desolato Scavenger (1991). Il vasto affresco di New West Motel (1993) iniziò la progressione verso sempre più estrosi arrangiamenti.

La costa ovest

La Bay Area fu terrorizzata dai più pazzi di tutti i roots-rocker, i Camper Van Beethoven (23) di Santa Cruz, uno dei più brillanti e influenti gruppi del decennio, tra le cui fila militavano il cantante e chitarrista David Lowery e il poli-strumentista Jonathan Segel. Altre band avevano tentato una fusione folk/punk, ma la loro versione fu positivamente squilibrata. L'ilare Telephone Free Landslide Victory (1985) offrì un felice miscuglio di ska, country, surf, rock'n'roll e, ultimo ma non meno importante, pseudo world-music, con uno spirito che derivava quantomeno dal punk, dalle novità alla moda degli anni '50, dal music-hall, dalle jug-band degli anni '40, dalle colonne sonore di Ennio Morricone e dai freak psichedelici degli anni '60. La loro musica sembrò, a tutti gli effetti, come l'improbabile punto di incontro tra Syd Barrett, Frank Zappa, Third Ear Band e Holy Modal Rounders. Le doti strumentali aumentarono su II & III (1986), soprattutto la perizia di Segel alle tastiere e al violino, permettendo loro una maggior libertà in termini di contrappunto, ma anche inducendoli a suonare un più convenzionale roots-rock, ovvero a focalizzarsi sulla musica invece che sulle gag. Il loro terzo album, Camper Van Beethoven (1986), non fu più un rimando alla world-music, quanto piuttosto un nuovo genere di world-music. Nel sovrapporre la verve psicotica del primo album e l'erudita ultra-fusion del secondo, i Camper Van Beethoven avevano prodotto la bestemmia folk definitiva. Essi adottarono infine un suono più convenzionale su Our Beloved Revolutionary Sweetheart (1988), senza per questo sacrificare l'idea di miscelare i generi più distanti, ma riducendo considerevolmente la propria negligenza musicale. Il percorso si compì con il tono serio ed adulto di Key Lime Pie (1989), una raccolta di ballate relativamente sommesse che evocavano Neil Young e Bob Dylan.

La scena di San Francisco offrì un'abbondanza di gruppi folk-rock. I Donner Party (1) di Samuel Coomes si specializzarono in un eclettico roots-rock vagamente psichedelico sui loro due album omonimi, Donner Party (1987) e Donner Party (1988), soprattutto il secondo, un pizzico più elegiaco e nostalgico.

I Catheads (3), un supergruppo del genere, nei quali militava il cantante Mark Zanandrea, l'ex chitarrista degli Ophelias, Sam Babbitt, l'ex bassista degli X-Tal, Alan Korn e la batterista dei Donner Party, Melanie Clarin, ritornarono all'angelica movenza degli hippie. Hubba (1987) fu un amabile infuso di country, blues e folk, mentre Submarine (1988) sperimentò arrangiamenti neoclassici e chitarre hard-rock. Gli It Thing, di Zanandrea e Clarin, furono l'ideale continuazione dei Catheads: The Ode (1992) si compiaceva nella giustapposizione di pop e rock, di tradizione e new-wave, di etereo e aggressivo.

I Thin White Rope (2), dalla vicina città di Davis, rivelarono i più forti toni psichedelici, che i loro album migliori, Exploring the Axis (1985) e Sack Full of Silver (1990), sposarono all'ansia esistenziale di Guy Kyser, realizzando visioni di una maestosa terra desolata tra folate di country-rock ipnotico e quasi raga.

Altri significativi dischi di roots-rock, incisi nella seconda metà degli anni '80 da complessi della Bay Area, furono: Broomtree (1987) dei Downy Mildew, In a Chamber (1983) dei Wire Train e 28th Day (1985) dei 28th Day.

Gli American Music Club (13) spiccarono come uno dei gruppi in grado di trasformare il roots-rock in un'esperienza intima, quasi trascendentale. Il laconico pessimismo di Mark Eitzel, un punto d'incontro tra la calma disperazione di Gram Parsons, il lamento funereo di Nick Drake e la sognante agonia di Tim Buckley, funzionò come baricentro per gli atmosferici psicodrammi di Engine (1987). Le dialettiche tra gli strumenti (tra i quali, foschi frammenti di archi e tastiere) e le linee vocali puntellarono le altrimenti rarefatte melodie di Big Night, At My Mercy, Outside This Bar, in un modo che ricordava anche Van Morrison. Il flusso di coscienza di Eitzel raggiunse la sua tensione viscerale su California (1988), un lavoro che risultò al tempo stesso più austero e più introverso. Firefly, Bad Liquor, Blue and Grey Shirt e Highway 5 non erano semplici canzoni, ma deliqui di comunicazione interrotta. Il complesso si adagiò in un impressionismo psicologico, lasciando le parole di Eitzel fluttuare in una nebbia di emozioni. Si trattò anche di un tour de force vocale di Eitzel, il quale accompagnava le sue storie modulando sia rabbia che sentimento, impersonando sia il cantante romantico che l'urlatore. Il deprimente e lirico United Kingdom (1989) sembrò completare l'auto-flagellazione spirituale di Eitzel, oltre che assorbire un'eloquenza molto più jazz, soul e gospel per tracce avventurose quali The Hula Maiden e Heaven of Your Hands. L'incubo si addolcì su Everclear (1991), l'album che segnò la transizione dal paesaggio "chiuso" della prima fase a quello "aperto" della seconda. Meno intenso, ma più umano, il disco ricordava solo in un paio di occasioni le passate agonie ( The Confidential Agent e Miracle on 8th Street), ma l'esecuzione era più compiuta e gli arrangiamenti più articolati. Il suono più complesso, denso e atmosferico di Mercury (1993), comprendente The Hopes and Dreams of Heaven's 10,000 Whores e il sofisticato soul-pop di San Francisco (1994), capitalizzò l'abilità di Eitzel nel fondere un'elegante malinconia e ruggenti passioni.

Texas

I gruppi del Texas, viceversa, furono molto più "cow" che "punk". Gravitanti attorno all'intellettuale città di Austin, tentarono seriamente di essere parte di una tradizione, anche quando incarnarono l'etica punk. I Timbuk 3 si ispirarono ai Dire Straits e alla fase country-rock di Bob Dylan per Greetings From (1986). I Wild Seeds (1), di Michael Hall, presero l'intensa empatia di Bruce Springsteen e Tom Petty e la sposarono con un caleidoscopio di sonorità anni '60 su Brave Clean + Reverent (1986). Poi Dog Pondering, una formazione di sette unità includendo anche la violinsta Susan Voelz, si ispirarono alle "jug bands" degli anni '50 sul loro EP d'esordio Poi Dog Pondering (1988), un calderone creativo di country & western, zydeco, skiffle, pop, jazz, folk-rock. I Texas Instruments distillarono una delle migliori sintesi di folk-rock e punk-rock con Sun Tunnels (1988). Su album quali Hello Young Lovers (1989), i Glass Eye (1) architettarono invece una originale struttura jazz-country-rock, al tempo stesso intelligente e distaccata, l'antitesi della loro epoca.

I grandi laghi

I grandi laghi ebbero la loro parte di scena. Il Wisconsin, dove i Violent Femmes avevano cambiato per sempre il significato di "roots-rock", fu particolarmente fertile. Guidati dai cantautori Sammy Llanas e Kurt Neumann, i BoDeans (1) coniarono uno stile orecchiabile e nostalgico con Love and Hope and Sex and Dreams (1986), uno stile che copriva una gamma di ispirazioni dagli Everly Brothers ai Fleetwood Mac (come avrebbe provato il loro successo del 1991 Good Things). Gli EIEIO (1) furono anche più vari, evocando Byrds, Little Feat, Band e altri maestri del roots-rock su Land of Opportunity (1986).

Minneapolis, la nuova Mecca dell'hardcore dopo il rinascimento guidato da Hüsker Dü e Replacements, fu altrettanto feconda. Home in the Heart of the Beat (1986) dei Beat Rodeo fu uno degli album che si oppose al monopolio dell'hardcore.

In ogni caso, il gruppo di più grande successo proveniente da Minneapolis fu quello dei Soul Asylum (2), in origine discepoli degli Hüsker Dü, il cui Made to Be Broken (1986) mantenne la verve del pop-core adottando, al tempo stesso, gli stereotipi romantici del power-pop e del folk-rock. Come il chitarrista Dan Murphy e il cantante Dave Pirner maturarono, lo stile della band si spostò verso un melodico hard-rock tinto con l'epos dei Replacements su Hang Time (1988). Il suono mainstream di And the Horse They Rode In (1990) condusse a Runaway Train (1992), il loro miglior compromesso tra l'inno generazionale e la power-ballad.

In Ohio, gli Afghan Wigs (1) di Greg Dulliiniziarono la carriera col punk di Big Top Halloween (1988) e il finto garage-rock di Up in It (1990), un miscuglio abrasivo di Replacements e Dinosaur Jr, e riscoprirono la musica soul e la ballata rhythm'n'blues su Congregation (1992), una raccolta più tranquilla e amabile. Nonostante il successo di vendite, Gentlemen (1993) non fu solo meticolosamente ben confezionato, ma si rivelò anche la più sinistra e conturbante confessione di Dulli.

Gli Shrimp Boat (1) di Chicago, nei quali militava il cantante Sam Prekop, coniarono una fusione jazz-soul-country che suonava come un incrocio tra Camper Van Beethoven e Minutemen, soprattutto sul loro secondo album, Duende (1992).

Una delle più originali e radicali revisioni delle tradizioni blues e country fu proposta da un gruppo canadese, i Cowboy Junkies (1), guidati dai fratelli Michael (chitarra e composizione) e Margo (voce) Timmins. Trinity Sessions (1988) fece sfoggio di canti funebri malinconicamente spettrali, sussurrati in un'atmosfera da film-noir, da una cantante che ricordava le chanteuse da cocktail lounge o una Marlene Dietrich di un bordello di frontiera.

Alt-country

A Chicago, alla fine del decennio, il roots-rock generò uno stile che altro non fu se non il country di Nashville, trasposto all'interno di piccole camere da letto di giovani alienati nelle piccole città di provincia. I Souled American (2), formati dai cantautori Joe Adducci e Chris Grigoroff, con l'ausilio del chitarrista Scott Tuma, e ispirati dai Camper Van Beethoven, produssero uno dei più lunatici dischi del periodo, Fe (1988), un miscuglio idiosincratico di country, blues, jazz, reggae e zydeco, suonati con i ritmi pigri e letargici dei Cowboy Junkies. La spontaneità fu rimpiazzata dalla destrezza tecnica su Flubber (1989), ma la letargia lugubre di Frozen (1994) e di Notes Campfire (1997), entrambi erosi da tracce estese e inquietanti e da spoglie jam strumentali orientate all'astrattismo, ridefinirono le loro sonorità attorno alla chitarra di Tuma.

Guidati dai cantautori Jay Farrar e Jeff Tweedy, gli Uncle Tupelo (1) concepirono quasi un nuovo genere quando realizzarono No Depression (1990), una raccolta di ballate country suonate con la furia dell'hardcore. Abbandonando gli eccessi punk e concentrandosi su storie depresse, l'acustico tour de force di March 16-20 1992 (1992) diede vita più che a un genere: creò un movimento per la musica sinceramente politica e populista. Anodyne (1993) alluse al fascino commerciale di questa idea. Dopo lo scioglimento, i due leader avrebbero formato due delle più influenti band degli anni '90: Son Volt e Wilco.

Facendo seguito ai malinconici e nostalgici Jayhawks (1986) e Blue Earth (1989), i Jayhawks (1), formati in Minnesota dal cantante Mark Olson e dal chitarrista Gary Louris, incisero un album ispirato da Neil Young e Gram Parsons, Hollywood Town Hall (1992), che incarnò l'etica della popolazione urbana in cerca di candore rurale. Tomorrow the Green Grass (1995) iniziò virtualmente una nuova carriera, grazie a pomposi arrangiamenti e armonie che ricordavano Fleetwood Mac e Crosby Stills Nash & Young.

Il timido pop dei Vulgar Boatmen (1), dalla Florida, in You and Your Sister (1989) si concentrò su semplici storie di vita quotidiana.

Questi gruppi piantarono i semi per il fenomeno "alt-country" degli anni '90.

Nashville

Nella seconda metà del decennio, Nashville subì un peculiare rinnovamento generazionale. Gli "urban cowboys" degli anni '80 (Kenny Rogers, Dolly Parton, Barbara Mandrell), che avevano trasformato la musica country in un genere di consumo, si ritrovavano sempre meno in sintonia con la generazione più giovane. Le distanze furono azzerate dal movimento "neo-tradizionalista", che rievocava l'honky tonk e gli outlaws, e, talvolta, prendeva in prestito l'estetica trasandata e iraconda del punk-rock. Il primo neo-tradizionalista fu presumibilmente George Strait, il cui Strait from the Heart (1982) diede uno standard di riferimento al resto del plotone. Anche Storms of Life (1986) di Randy Travis e Killin' Time (1989) di Clint Black definirono nuovi standard, ma fu Garth Brooks che divenne la superstar dei neo-traditionalisti, con i numerosi successi estratti da No Fences (1990) e Ropin' the Wind (1991). Se questi erano i divi, altri non riuscirono mai a guadagnare le classifiche, pur essendo non meno fluenti nel nuovo idioma, ad esempio Jim Lauderdale, un prolifico compositore, il cui miglior album fu probabilmente Planet of Love (1991).

La musica di Lyle Lovett (1) fu a mala pena definibile come country. Il suo esordio, Lyle Lovett (1986), derivava al tempo stesso dal country, dal rock, dal rhythm'n'blues, dal jazz, dal folk e dal pop. Pontiac (1988) raggiunse un formidabile equilibrio di atmosfera, melodia, ritmo e composizione. Lovett arrivò persino ad imbracciare il jazz delle big-band con His Large Band (1989).

mso-bidi-font-size: 12.0pt>Guitar Townmso-bidi-font-size: 12.0pt> (1986), di Steve Earle (1), frastornò la scena con il suo sound forte e frenetico, che mischiava rockabilly, honky-tonk e blues, derivando l'enfasi dal rock populista di Bruce Springsteen, mentre le espressioni mature di Transcendental Blues (2000) emanavano l'eterea e mistica qualità della musica di John Fahey.

Dwight Yoakam (1), che aveva esordito nel 1984 con uno stile acustico e disadorno, maturò l'eclettico e introverso If There Was a Way (1990) e This Time (1993), finalmente sostenuto da adeguati arrangiamenti.

Junior Brown (1) fu un virtuoso il cui stile di chitarra trasformò 12 Shades of Brown (1990) in uno dei più geniali album country di tutti i tempi.

Tra gli interpreti femminili, Trisha Yearwood fu probabilmente quella che più di tutte potesse vantarsi di essere l'erede di Linda Rondstadt.

Il roots-rock strumentale

La musica surf e la musica strumentale degli anni '60 furono rappresentate al meglio da Shadowy Men on a Shadowy Planet (11), ma ci volle non poco al chitarrista Brian Connelly e al suo complesso per pubblicare il primo disco completo. Una sequela di superbi EP, quali Love Without Words (1985), Wow Flutter Hiss (1986) e Schlagers (1987), rifinirono il loro approccio al genere in una miscela di nostalgia e nevrosi, di vecchio-stile e post-moderno. Le loro vignette strumentali prendevano spunto da blues, pop, country, rockabilly, surf, Ennio Morricone, Duan Eddy e molte altre icone sonore del passato, senza mai citarle pedissequamente. Queste vignette furono come metafore impresse in un subconscio collettivo. Il loro capolavoro, Dim the Lights Chill the Ham (1992), fu il primo album dai tempi dei Raybeats a rivoluzionare l'idea del rock'n'roll strumentale, mantenendo al tempo stesso un'attitudine ironica alla Leo Kottke. Sport Fishin' (1993) fu leggermente più serio e meno effervescente.

L'adattabilità del genere nel resto del mondo è dimostrata, ad esempio, da C'mon Do the Laika (1988) dei finlandesi Laika & the Cosmonauts.

I Necks (2), un complesso australiano formato da tre consumati session-men (il pianista Chris Abrahams, il batterista Tony Buck ed il bassista Lloyd Swanton), si specializzarono in jam estese e ipnotiche, ancorate a semplici linee melodiche e propulse da ritmi swing o funky su album quali Sex (1989) e Hanging Gardens (1999).

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