L'Ultimo

Poesie di piero scaruffi


TM, ®, Copyright © 1998 Piero Scaruffi All rights reserved.

"L'Ultimo" usci` originariamente per l'editore Il Salice nel 1991. Tutte le copie sono esaurite. Questo e` il testo integrale. "L'Ultimo" comprendeva tutte le "Odi" e una selezione di "Per Conoscere Piero". Su questo sito si trovano anche le liriche di "Per Conoscere Piero" omesse da "L'Ultimo".

Odi

(1980/83)
  1. Alla Morte (Campane antiche echeggiano)
  2. Alla Creazione (Sorge dal canneto brumoso)
  3. All' Aldila` (Nevicano stelle sul tuo pallido guscio)
  4. All' Uomo (Abbraccia la notte un grido)
  5. All' Altro (E' apparso sotto il mio viso un uomo mai nato)
  6. Al Fato (Scendo la scala a chiocciola)
  7. All' Infanzia (Dentro la culla che dondola a ritroso nel tempo)
  8. A Me Stesso (Il lessico mitologico del crimine)
  9. Al Natale (Nel cavo dei suoi occhi stellari brilla)
  10. Al Suicidio (Un mantello a brandelli volteggia)
  11. A Dio (Il canto della morte allieta i miei sogni)
  12. All' Omicidio (Non invano le catene hanno trattenuto)
  13. Alla Verginita`(Fulminea si tende la mano)

Per Conoscere Piero

(1980/83)

I (Ho tutto da dire)
II (Mendico lo sfacelo di quel tumido insetto)
III (E, come dall' alto d'un campanile il rintocco)
IV (nell' atollo diroccato)
V (che dalla fessura tu possa distinguere)
VI (l' abitudine di vivere, irretiti dal guizzo d' azzurro)
VIII (infinito vibrante)
IX (ostinato loquace)
X (ogni parola)
XI (l' alba gonfiava il cielo)
XIX (la bufera e` finita)
XX (basta morire !)
XXV (che vale)

Alla Morte



Campane antiche echeggiano
nei tetri ansimi del sepolcro,
occhi ingordi di sagome oscure
scrutano dalla tomba che ho scoperchiato,
sommesso epitaffio ai colloqui di taverna
e di cio` che restera`.
Il sole e` sceso negli abissi della mente:
un volo effimero di festuche,
frantume di raggi, una frangia purpurea,
un brandello di lenzuolo per il cadavere
che ho sradicato (sorgano dal cimitero
torme di becchini monchi che brandiscano
con l' uncino annunci mortuari:
su ogni foglio a caratteri cubitali
vacilla il mio nome).
Com' e` buia questa fiamma che si spegne a poco a poco,
com' e` buia questa stanza: da quanto tempo
mi stanno inseguendo ? sprofondo la testa
nell' ultimo singhiozzo di luce,
freddo da farmi cadere in ginocchio.
Risuona nella nebbia il cupo richiamo, sfavilla
ai margini la carogna divelta, entrano ed escono
aculei; giro gli occhi sotto il sudario,
il mio cuore dondola nella gabbia deserta,
un fiotto nero si arrotola
nel sudore ghiacciato delle onde.
Specchio: sul mio viso nessuno.
Occhi di pietra, la tua stella
giace nella mia tomba !


Alla Creazione



Sorge dal canneto brumoso,
irrompe nel recinto dei ruderi,
si accascia ai piedi dell' altare
e s' inabissa nel cespuglio di ortiche.
Generato dall' incesto fra una tenebra e un silenzio,
nessuno lo ama.
Arde menzogna e crimine,
precipita nel buio:
il suo occhio si spacca in firmamenti.
E' dio, dio divora la mia voce.


All' Aldila`



Nevicano stelle sul tuo pallido guscio,
soffia lieve una tramontana di gioielli.
Sgattaiolo per le scale
con la gola squarciata,
barcollo contro la nebbia
dentro le pozzanghere di pietra
alla ricerca di una vergine
che asciughi la mia ferita
e spenga le stelle.
Sono cresciuti fiori
nei grumi del mio sangue.
Raduno i miei cento occhi
sul muschio palpitante
di una zolla.
A notte fonda
si snoda il mio funerale.


All' Uomo



Abbraccia la notte un grido
scolpito nel ghiaccio, un trillo diafano
avvinto a un sogno di seni materni
spinosi, di nudita` sanguinanti.
Nel cappio che dondola dalla guglia affilata
s' inarca una spiga di crepuscolo, suppurante
in nero marciume. Il torrente travolge
e depura i ciechi spiriti sonnambuli.
L' impronta del vento sugli alberi disarcionati,
nubi brulle e stelle cadenti
nell' ultima goccia di occhio,
annunciano la venuta del demone senza volto,
seguito di un' ombra che non ha nome,
putrido rimbombo di vicoli abbandonati dall' umanita`,
laido fruscio per le rampe in fiamme della scala a chiocciola,
cupa stella senza gravita` che aleggia nell' orbita
come un aquilone morente sullo splendente abisso,
voluta traboccante di luce che rende effimero il sole,
vano e immenso il silenzio degli uomini.


All' Altro



E' apparso sotto il mio viso un uomo mai nato,
' come a tanti poeti esseri morti. Lo avvolgo
adagio nel mantello delle mie vergogne:
la sua bocca mi bacia e suggella l' inganno.
Nell' ombra tumida e sbiadita
ride pallido e inerte, immerso
per oscuri sentieri nei miei occhi sciancati.
Scarto l' involucro di raggi e di miraggi:
gli aleggio intorno, chino la fronte
sulla gelida fiamma, accarezzo le timide sembianze
fuse in torrenti di fuoco, mi avvinghio
alla sua glauca paralisi, gli inietto
con uno schiocco la mia vita nelle vene,
mi ritiro in silenzio.
La nostra sordida colpa rimbomba,
distillata da polline di stella,
contro i foschi venti autunnali.
Mi e` rimasto appiccicato addosso
un suo livido, scosso da un tremito sinistro.
Dal mio corpo colano spine atroci,
viluppi di vermi velenosi, e dalla sua grande voragine
scorrono senza posa immense tenebre vischiose.
Spiccano il volo come i polipi nella tempesta.
Con un balzo impetuoso si avventa contro di me.
Un muro di cipressi gli sbarra la via
in un pascolo di croci. Tintinna un' ombra furtiva
dentro il suo cranio, un predone di rottami.
Nella caverna risuonano
l' urlo del condannato e il rimorso
del suo carnefice.


Al Fato



Scendo la scala a chiocciola
che tanti poeti hanno salito
dentro il ventre diroccato della torre.
I miei passi rimbombano sulla via del ritorno
nell' alone sfocato del vicolo deserto.
Sospiro muto alla luna di crisalide
che tanti poeti hanno tormentato
dai gradini ardenti del tempio.
Amo davvero la gioia del nero.
Ruggisci uragano, ruggisci
finche' la tua ombra avra` dissipato
il latteo cristallo, l' azzurra corazza
e il caldo fiato, i languidi rintocchi,
il sacro lamento del neonato,
ed estinto l' oscena demenza del fato,
che non concede rivincita.


All' Infanzia



Dentro la culla che dondola a ritroso nel tempo
brillano soltanto un cranio di velluto
appoggiato sul cuscino e due piccole mani nere
aggrappate ad artiglio alla fodera bianca.
La pioggia di fuoco che romba sul padiglione deserto
illumina il torciglio di membra, la bambina cadavere
come un giocattolo rotto buttato in un angolo:
una risata oscena risuona in ogni cavita` del suo corpo,
vibra su ogni osso del suo scheletro.
Il topo che sguscia dalla bocca
corre rapido a disseppellire un' altra carogna.
La mia mamma trattiene il fiato,
semicieca nell' acquazzone di raggi lunari.
Cammino in bilico su un' esile ala di libellula,
nel silenzio fosforescente che e` calato
sulla piazza gremita; infilo il capo nella cruna,
sollevo una gamba di fenicottero. Ogni notte
lo stesso sole cova stelle a catinelle sul mio mantello.
Rigurgito fino a mezzanotte le limpide membra madusee.
La mia povera blusa celeste sbatte
in una ragnatela di arcobaleni.
Il cocchiere alza la frusta,
le criniere si avvitano nella tormenta,
il filo ondeggia sul vuoto,
la mia mamma si comprime gli occhi
con le palme insanguinate.


A Me Stesso



Il lessico mitologico del crimine
rivolge i suoi aculei nel ventre
di specchi della sfera di cristallo:
il mio occhio riflesso che si dilegua nei veli
e nelle chiome del sacro grembo di fuoco,
le ali che battono al trillo di un carillon,
le due lancette recise dal viso dell' orologio a muro.
I pezzi degli scacchi galleggiano su un oceano di mercurio,
la deriva della memoria risale il passato perpetuo
ed immutabile, come una zattera di stagnola trainata
con invisibili liane da uno stormo di gabbiani.
Agli abitanti dei luoghi abbandonati dall' umanita`:
non toccate la mia vita, i fiori
del deserto appassiscono alla prima goccia.
Tu che cammini al mio fianco e stringi nel pugno
il pennello ancora unto di rugiada dopo l' eruzione
di un arcobaleno, sei tu forse dio ? No, mi risponde
addossandosi a una rupe che prima non c' era e aprendo
le palme insanguinate, sono colui che l' ha rapinato
e poi ucciso. (Il lento estinguersi della mente:
un frammento di discorso umano
interrotto da una bestemmia divina)
Sei un altro sogno che mi abbandona, giocattolo disarticolato
dagli occhi rotanti, feto sepolto in epoca preistorica,
il mostro perverso che ringhia nella boccia, sotto la tenda
guarnita di lampade e scudi, le fauci dilatate a bolla
su tutta la superficie trasparente; e sull' altro emisfero
uno specchio deformante riflette il plasma organico
che divora i pezzi del tuo volto: la torre, l' alfiere,
la regina ... prima di essere inghiottito dalla morte.


Al Natale



Nel cavo dei suoi occhi stellari brilla
un presepe di scheletri senza nome.
(Raduno` le montagne
in una conca di sabbia
e strappo` ai picchi
con voce tonante
le ali di ghiaccio .
Stette a guardare
il sole carico di brezze
sciogliersi sui pendii
e nel recinto di specchi
azzuffarsi col gelo
il riflesso dell' estate).
Il viso imbrattato di trucco della sposa
si decompone contro il suo fiato
in un singhiozzo blasfemo e vorace
La bava oblunga della cometa
galleggia pallida sul lago di perle
e fa lume ai magi, inerte fuoco fatuo
fra i fiori magnetici degli aeroliti.
Il piacere si trasmette da pupilla a pupilla,
senza svegliare i pastori riscaldati
dai falo` di cristallo, e nella nicchia
di tegole il lebbroso riverso sull' arpa.
Nell' estasi oscura del ventre sepolcrale
scintillano e cigolano le sue iridi d' indaco,
le due rose mature gonfie di rugiada.
(Si allontano` ringhiando contro il tramonto.
Vibro` un colpo ad occhi chiusi
e giacque stecchito sulla duna.
Venne un gabbiano d' argento
a beccargli il cuore, la corteccia calda
e il sorriso, dietro le crepe, intatto).
Si guardano morti allo specchio dell' alba,
succhiano il sangue iniettato nell' amplesso,
sprofondati senza sesso nella mangiatoia (polvere
che scola nella clessidra dalle travi del rudere),
si accasciano sulla croce vomitando preghiere,
ritorcono l' amo contro il pescatore, scrosciano
sulla foresta disseccata come pioggia nelle tane dei morti ,
luminosa l' eburnea corazza secreta da arcani metalli.
Pieni di sole attraversano la neve e riaffiorano alla luce
dal cavo della pupilla di un gelsomino di cobalto.


Al Suicicio



Un mantello a brandelli volteggia
sul cadavere sbranato dai rettili,
annaspa nei tappeti di sabbia
che s' impennano come biondi cavalloni
alla frusta del ghibli.
Cammino scalzo su una distesa
di taglienti pezzi di mente,
a stento emetto dalla bocca
un miasma gelido e fioco.
Il mio sogno, intorpidito ai piedi
dell' icona, si divincola dagli artigli
dell' orizzonte. Piccola vagabonda
che ti imbratti del mio sangue,
lucertola fosforescente, diamante alato,
viso di spugna che assorbi le mie paure,
tu porti incisa sulla fronte una parola muta
che non posso decifrare in assenza di dio.
Affondo il becco nel ventre.
Una, due, tre volte ...
Campane di neve e piramidi di aurora
sormontano la luna che, inginocchiata
in quel piccolo ciottolo di cielo,
lenisce l' agonia della putrefazione.
Bolle a forma d' occhi prendono il volo.
Un galoppo senza meta circonda
il deserto. Venti, trenta, quaranta ...
Vado solo alla deriva in un lago
di cadaveri galleggianti; mi riparo
dentro un iglu di ossa; traverso
la fossa dei leoni in bilico
senza rete su un filo di ragno.
Settanta ...
Gli eremiti sonnecchiano nel tripudio di rovine.
Ho immerso cento volte la lama nel petto.
Una conchiglia invisibile sorvola i tetti silenziosi ,
un ronzio continuo che tormenta la mia estasi,
un rotolo di carta che fruscia sui gradini
ghiacciati del tempio abbandonato.
Ho sentito il frastuono dei vetri dilaniati,
ma non ho visto una sola goccia di sangue
sgorgare da quella grigia sagoma ovale:
ho sgozzato un verme ubriaco.


A Dio



Il canto della morte
allieta i miei sogni.
"Voi non sarete
mai piu` !"
"Stramaledico
la tua onnipotenza,
l' infinita malvagita`
delle tue brame,
il vizio orrendo
di canibalismo
che t' indusse
a crearci,
la corona tempestata d' anime,
la bacchetta magica del tuo sesso,
e la tua stessa anima, sepolcro
dei secoli,
e la vita che estingui.
Che una lama di rimorso
possa ghigliottinare
i tuoi singhiozzi disperati
quando saremo tutti morti
e tu brancolerai
cieco e solo
nell' eternita` !
Aspettero` in silenzio
sotto il coperchio della mia tomba
di sentirti invocare
la paura della morte.
Usciro` dal mio nascondiglio
e gridero` al tuo volto invisibile,
che non sara` mai esistito:
"Vergognati, vigliacco !"


All' Omicidio



Non invano le catene hanno trattenuto
il firmamento dei sogni al molo brumoso.
Un acquazzone di colori s' immerge
dentro il cadavere sfigurato
sotto l' arco del ponte:
i capelli verdi sul fondale di alghe,
la gonna fluttuante nel lattice opaco,
un filo di sangue nelle pupille sudate.
La luce divampa nel braciere,
si allarga sui rami,
gronda a chicchi,
si avvolge sulle labbra atterrite.
Il brusio della folla
risuona nel tedio stellare
del crepitio degli ormeggi
al chiaro di luna appannato
dell' onda stagnante.
Intingo la penna fossile
nell' inchiostro dell' occhio
per scrivere non so cosa
non so a chi.
Vomito azzurro persino dal costato.
Incido un segno con il temperino
nel riflesso di faro che galleggia
sulla schiuma di alghe morte.
Mi scrollo dal cuore
il cinguettio angosciato
di un gabbiano morente;
e mi affretto
verso la lontananza del tempo,
richiamo antico
che tutti i lupi randagi
riconduce nel recinto.
La caligine rancida dell' uragano
e' cinta da una crosta di farfalle.


Alla Verginita`



Fulminea si tende la mano,
l' artiglio foderato di nylon,
il pungiglione velenoso dell' uomo.
Apre le dita,
le valve dentate,
le chele rotanti.
Uno schiocco lacera l' involucro.
Gangli di fibre
precipitano al suolo,
formicolanti nell' erba
come braci ardenti.
Nei cerchi concentrici del bersaglio
le giunture si fermano.
Si arrotolano da se' sulla spoletta.
Il nucleo vibra fra i due magneti.


I



Ho tutto da dire.
Canto, prigioniero nei sotterranei del mondo,
la convulsa fuga per le vie deserte,
tutte luna e marciapiedi,
e come, inseguito da torve mani,
cercai scampo nei frastagli d' ombra,
lungo il vuoto silenzio dei muri,
e come, appiattito nel groviglio d' indelebili buii, fui scovato;
quando dalle inferriate erompe
il gran baccano del sole al tramonto,
che sciala spietata estate
e reclama la sua vittima:
come un dito puntato segna la mia cella,
come uno specchio fruga il mio volto,
le mie ceneri solleva a ritroso,
la trafila di turpi odii mi rinfaccia sibilando sfrenato.
mi sporgo sul cielo col capo all' ingiu`,
e alito sull' aquilone impigliato a un tetto
che resiste e s' impenna all' assalto del vento.
Scontero`, com'e' giusto, la mia calunnia:
il mio cuore legato ad un albero si sgola e delira
nell' ombra rappresa d' un buffo di nubi,
nel dirotto brusio della pioggia spettrale
che da tempo si sbriciola ai miei piedi.
Bacio una goccia che m'e' rimasta sul palmo,
lucida molle trepida favilla,
pigro palpito che sprofonda nel letargo:
come invidio quel placido disfarsi incurante
dei fondi arroventati brani d' infinito.
Dal carcere dimenticato invano s' avventa
un altro sguardo nel fango del cosmo,
oltre i barbagli, le larve macilente,
viscosa ragnatela di lenti abissi
che attimi di crepuscolo scalfiscono appena.
un' onda di pianto e di niente
divora tante logore ciance:
sono scomparso brancolando lungo un filo di ragnatela,
nell' alone incrinato dal silenzio tintinnante di povero azzurro;
luccica stenta ai miei piedi l' alba,
al cui soffuso brulicar sulle creste sussulta impaurito,
braccato da tutti i domani,
un evaso dalla vita.

II




mendico lo sfacelo di quel tumido insetto
spicco un' elitra diafana che si dibatte senza posa
s' alza il trillo stravolto che aspettavo
trafiggo il formicolio di pupille con la punta d' uno spillo
strappo una zampetta alla volta e poi le antenne
aspetto che muoia adesso piero
morira`


III




E, come dall' alto d'un campanile il rintocco,
per brezze che frugano di muro in muro la citta`,
a onde gronda sulle ombre senza riparo
che contro quei muri inermi s' afflosciano,
e come indomito il sole la morte rinserra
in una bolla di rugiade, il cuore invano,
deserta goccia, vacilla sospesa al ramo;
dei giorni che nel pugno avanzo
il vento volge al molle nulla,
finissima polvere fra le dita mi sfugge:
di tanti granelli non sara` mai diletto
quel che nel palmo rimane. Il nitore,
tutto pieno d' intima corruzione,
del rancore bambino che pel mondo serbo,
e che sulle labbra m' irrora il pianto,
lambisce una ciglia d' oro lunghissima,
e incrina l' orlo dell' iride sanguigna,
celeste lacrima in luna ogni tramonto
muta, vuoto in vuoto la luce travasa,
e in un brivido di campane s' impiglia.


IV




nell' atollo diroccato
(un bocciolo acquattato
nei cespugli d' altre nevi pago
resiste all' insidia del tempo
cercando dal chiaro di luna
sotto l' esile foglia riparo
mentre cieco nella sabbia nera
degli avanzi dell' onda passata
s' arrotola il sospiro ribelle
che scompiglia tutte le foglie
e lo stelo curva sotto il peso
di tutte quelle spine)
non ci sono che io

e i miei occhi stanno scoppiando


V




che dalla fessura tu possa distinguere ancora il tuo carro scagliato fuori dall' aurora e infine lo schianto contro la notte; e fiera aspettare il domani

ma dalle rovine di un animo non puo` crescere vera vita: nel mio cranio ficco le mani e non saprei dire che cosa e` la poltiglia borbogliante che ne traggo fuori: troppi vermi sguazzano in quel fango e sgusciano dalle orbite vuote

ho una voglia pazza di rodere la luna coi miei incisivi guasti e sputare in terra la buccia sbocconcellata; vorrei violare col mio silenzio il silenzio dello spazio (ma li senti tu, li senti tu, questi giorni mormorare senza pudore alle mie spalle le verita` che io, neppure io, vorrei conoscere di me ?)

bestemmio, parlo d' un rotolo con l' elenco dei miei peccati e primo due volte sottolineato il piu` mortale, ma in un angolo della cella l' ultimo frammento balena inumano: la` davanti e` ancora la mia impronta quel segno impresso nella sabbia: sono gia` stato qui !

prima di scomparire di la` dal tempo, confuso con tutti gli altri frammenti senza meta, vorrei tagliare il filo che guida le mie membra, e traversare a piedi la scena di cartapesta per cogliere in flagrante il battito del mio cuore sul riso del burattinaio

la mia voce si sfalda e riprende strozzata: "mi hanno stipata nel mondo, ma ne valeva davvero la pena ?"; lo sguardo fugge, con un guizzo, di la` dal cespuglio, inferocito come un cane alla catena

l' eco di un "no" insormontabile mi gonfia le vene, mi sfracella i timpani: cosa vuol dire quel fiume sterminato atroce, bava schiumante di grumi sanguigni, quel tuono rovente che cade senza bavaglio nella vertigine cogli artigli protesi a straziare la preda di morsi immondi ?

la mia bestemmia scuotera` queste pareti, si torcera` sotto il soffitto, e ridera` del castigo con tanta furia in fondo agli occhi lividi per notti e notti insonni sino alla catastrofe; scavero` la fossa con le unghie: non vedo l'ora di esalare l'ultimo respiro

tu non consumi il medesimo rito di sospendersi dalla vita e tingersi di nero gli occhi, la bocca sfasciata dal cuore codardo; e non dubito


VI




l' abitudine di vivere, irretiti dal guizzo d' azzurro che viola l' ombra bigia della volta, impigliati nel fitto deserto di sguardi taciturni e di impronte sconosciute, e sperduti a zonzo tra i cuori sfatti, braccati fra le macerie che sovrastano la citta`, tra le rovine di tanti soli caduti, dal silenzio testardo della morte, esitanti nel folto delle ombre a riconoscere la propria, frantume senza parola che ritarda alle nostre spalle, tremola e si spegne, sommersa dalle altre

chi puo` accusarmi di abusare della morte ? insorge perversa la mia vita, che quella febbre consuma

il mio passo si trascina rasente il soffio della notte, quando un' ondata di cielo viscido m' investe senza scampo

chi mi vuole guidicare ? chi vuole condannare piero ?

ma e` rugiada questo luccichio che rotola di foglia in foglia, punteggiando l' iride sbiadita dell' aurora come una folata di festuche ?

la mia vita non ha altro scopo che quello d' essere, sempre, guidicata, e, o prima o poi, condannata

il palpito declina, inchiodato alla pietra, fardello per orbite via via piu` lontane dal punto che occupo: ha gia` divelto il filo spinato che cinse i miei passeggi( e se la terra fosse un feto nel ventre gravido del cielo e il sole un germoglio d' ombelico, di noi alla deriva nel parto, effimere gocce che sarebbe ? il giorno che nacque la luna chi era affacciato a guardare ?)

tra i miei misteri la cecita` e` il piu` presago: diradando i lumi, m' incantano i buii, minacce di quel che rimarra` della mia vita: gongolo per un sorso di sonno, avvisaglia del letargo

un' ala furtiva frulla tra le colonne diroccate e s' avvita tra le ultime stelle, scavando un vuoto a capogiro nell' eco morente dei miei passi; ma ronza un polverio di soli, sollevato forse da qualcun altro in fuga, contro il cieco sguardo che appunto nella pioggerella fumida

quel che sono oggi, contro loro e contro tutto, contro questo mondo unto di sputi e bave di pianto, si affanna contro un muro che non ha brecce; e mi consuma nei crocchi la noia, nella solitudine la paura di vivere (una voce minuta mi bisbiglia all' orecchio e io l' ascolto con gli occhi magri svuotati dalla luna e penso che nessuno e` padrone del mio silenzio)

torcete il mio cuore: la pieta` e` una stridula pettegola (un chicco d' ombra tace sulla mia pupilla sveglia),

la verita` e` che alla fine di ogni stupido delirio non chiediamo di meglio che scomparire nel sonno e di giorno in giorno non ci rimane che


VIII


(infinito vibrante)
e quella notte
che non comincio` mai
in conche di nebbia
in conche di viottoli a ritroso
(presto bisbigliato)

(per strada questa polvere
di bufera quei chicchi
di sera sotto il palpito ubriaco
delle foglie apparizioni
d' inverni mai sazi)
(infinito sospeso)

per le scale del nulla
in bilico sull' ultimo
desolato ghirigoro di gradino
fermo fronte a fronte
(presto insinuante)

con lei (lei cambia la notte
lei pigra indolente si fa incontro
divampa rogo di tempo -
il passato inutile riparo
non fiata con la solita cadenza
(infinito pacato)

piu`) in un cammino
di silenzi, in ghiacci di fuoco
(presto grazioso)

(su fili di vuoto
dondola una fila
di passeri muti
li seguo
col pensiero frugo
i loro crani
traboccanti solitudine
attingo giorni
della mia vita
dalla loro lunga notte)
(infinito adagio)

in trasparenze di sogno
(presto calante)

(al limitar dell' ombre vita
intrepida insegue
le prime punte di stelle
di vivere infinito imbevute
intime al gelo
del letargo cosmico
contagio d' albe)
(infinito levante)

profonda festa del buio
e della luce inesistente
(presto pensieroso)

(dalla cruna allentata
si scivola senz' appiglio
nel gorgo di luna rancida
allegria di mezzanotte)
(infinito marziale)

perche' quella notte
non e` finita mai

IX


(ostinato loquace)

se una lacrima di mondo,
colpendomi con ferocia, lacerasse
di colpo l' involucro che mi protegge,
e sole fetido
minuto paziente prendesse a lavorare
la mia pelliccia invernale,
(adagio con sentimento)

saprei destarmi dal letargo, e resistere
all' assalto dei residui,
scrollarmi di dosso le pulci nidificanti
prefiche ripugnanti dalle quali
aggredito mi sento inerme,
(virtuoso; quasi minuetto;
scherzo)

dalle pupille balorde baluginanti spazzare
i trucchi barbini di luna bambina,
fata ragna luminescente sottomarina,
i suoi canti incantesimi affrangere,
nudo rasente lo scoglio
tendendole l' agguato dove
tessuto febbrilmente il fato
liquida musica per coccodrilli spaziali
veste la pazzia del cosmo,
e la paura di essa prevarica,
lapislazuli larve di favo
con la mia ombra disperdere,
come un aquilone senza filo,
librarmi cinerea falena
sugli avanzi del rogo,
piuma di brace, fendere
la morte che bivacca,
resuscitata, ad ogni bivio,
oh desolato cimitero morso
da bruma corrusca brulichio
di moltitudini scellerate
riposte per l' eternita` in alcove
dalle tende di marmo,
(rondo`;
maestoso poco piu` moderato;
finale ma non troppo)

raccogliere quella lacrima acuminata
e restituirla all' occhio, farne inchiostro
per scrivere versi al sole,
disteso e accartocciato, leggero,
piegato dal vento, salire e scendere,
oltramontano,
oblunga macchia volante
districarmi fra nembi di fumo
e notturne falci di falo` spenti,
senza filo ?
(zitto)


(delicato; vivace; appassionato;
allegro; molto allegro;
allegro agitato;
allegro energico con fuoco;
saltarello; presto; forse no )


o`
ti ch ve tto
empo v
ia tido
utagliziobile
o`
o`
o`
o`
o`
...
nidi di zucchero

X


ogni parola
si sgretola fra i denti
e non ha fiato

di tanto in tanto il cuore
da` un colpo sordo,
sotto le grandi arcate
urla il silenzio


XI




l' alba gonfiava il cielo
e una stilla di diamante
stridendo sul lucido vetro azzurro
risali` da oriente e discese
sui miei occhi;
in quel delirio d' ombre
si tendeva convulso
un occhio di vento
sparso di detriti incolore,
e dentro una nube
di sole rappreso,
in un lembo di tempo
disperso, la fine



XIX



la bufera e` finita
al bavaglio di una pioggia velenosa
ma il soffio continua verso la notte
paziente sulla sabbia vivente

una stella scioglie
in sottili punte d' ombra
l' involucro di ghiaccio
che la trattiene

corvi ubriachi
ruzzano nei fiocchi
e di rantoli fugaci ammorbano
la campagna lisa

un grumo di sangue
camuffato nella neve
luccica ultima impronta
di orde venute e andate



XX



basta morire !

vorrei capire
a fior di memoria
tuffato in una breccia
del vortice, divorato
di nulla in nulla,
di minuziosi sottintesi
in morti presunte,
di tomba in tomba
dalla demenza del fato
da cosa fuggo,

e di cosa si muore !



XXV



che vale
aprire gli occhi
per vedere tanto buio ?
nel fondo della notte
uscire a passeggio
e seguire senza fiato
le onde della strada
per cadere nelle trappole
nell' agguato di sempre
e scrivere scrivere
con l' inchiostro della mente
le pagine di solitudine
che nessun falo`
potra` mai ardere ?
che vale
tornare a casa
e dire: "tanto questa
non e` che poesia" ?