Summary.
The most authentic reincarnation of the spirit of
Bob Dylan, Lou Reed and Jim Morrison, poetess and rocker
Patti Smith was first out of the blocks of the new-wave generation.
The songs of Horses (1975) were little
more than free-form accompaniments of Smith's poems, but
Radio Ethiopia (1976), her masterpiece, and Easter (1978)
added epileptic rock'n'roll numbers and introduced a wild, visceral, feverish
of screaming her lyrics, halfway between a medieval witch and a gospel preacher,
That hysterical and emphatic register soared over
a boogie bacchanal in crescendo while broadcasting epic confessions of frustration and alienation that rediscovered Chuck Berry's old trick of transforming the issues of a generation into mythological stuff.
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Patti Smith fu una delle voci piu` autentiche del movimento new wave e
ispiro` gran parte del fenomeno che l'aveva creata.
Giunse a New York ventunenne, un'intellettuale provinciale come tante alla
ricerca di una vocazione negli ambienti underground.
Era gia` ragazza madre e scriveva poesie.
Per otto anni sbarco` il lunario con svariate attivita` culturali,
ora commessa in un negozio di libri,
ora critica di una rivista musicale, ora drammaturga.
Ebbe la determinazione e la fortuna di entrare in contatto con
l'intellighenzia che conta, da Andy Warhol a Bob
Dylan, da Sam Shepard a Johnny Thunders.
Durante la sua relazione con Allen Lanier, scrisse alcune canzoni per i
Blue Oyster Cult. Ma la svolta cruciale fu quando comincio` a scrivere musiche
per le proprie recitazioni libere, una tradizione di New York che in lei
trovo` una delle voci piu` potenti e una delle poche in grado di complementare
le proprie parole con musiche trascinanti
(merito anche del chitarrista e musicologo rock Lennie Kaye).
Quando la new wave esplose, Patti Smith si trovo` nella posizione ideale
(e nei circuiti ideali) per cavalcarla. In breve Patti Smith divenne la
reginetta della new wave.
Non furono soltanto il suo stile isterico di canto e le sue liriche free-form
a farla conoscere. Patti Smith era una personalita` completa, una di quelle
per le quali il confine fra vita e arte e` molto labile.
Pervasa dallo spirito dei maledetti del rock, da Lou Reed a Bob Dylan, da Janis
Joplin a Jim Morrison, e dotata di una voce secca e stridente,
malata e feroce, disperata e rabbiosa, trascinante e febbrile, che trova il
suo tono naturale nel recitato invasato o in tiratissimi rock and roll senza
fronzoli, Smith era una visionaria contesa fra la Bibbia e Rimbaud,
fra catechismo e boheme.
Trentenne ossuta strega che si proponeva di salvare il rock, blaterando sulla
morte presunta del genere, atteggiandosi a profetessa di un revival cristiano
e pavoneggiandosi come ragazza qualunque che ha avuto soltanto piu` coraggio
delle altre, impose un cliche` prima ancora che uno stile musicale.
Come tutti i miti della musica rock, aveva quel tanto di esibizionismo che
le consentiva di magnetizzare il pubblico,
nonche' spettacolari doti d'interprete.
La sua ideologia era peraltro molto fumosa: fedele al proprio paese, ragazza di strada
redenta dal Concilio Vaticano, proclamava migliori performer di tutti i tempi
Jagger, Cristo e Hitler (cioe` i piu` abili a conquistare le masse), e
predicava il rock come forma di comunicazione delle anime.
Pur chiacchierata per le idee professate, conservava tuttavia il fascino della
sacerdotessa generazionale, seducente e impotente, aggregante e illudente.
Gli schemi musicali erano invece sempre gli stessi: il lungo delirio
con suspense, oppure una sorta di gospel conciso e isterico, l'equivalente
di un salmo biblico a tempo di rock'n'roll.
Spesso il chitarrismo distorto e trascinante di Lenny Kaye aveva
piu` consistenza del suo vomito in crescendo.
Il suo primo singolo Piss Factory, uscito il 31 luglio 1974, segna di
fatto la nascita della new wave, ed e` un esempio canonico delle sue
declamazioni libere su jam chitarristica free-form.
Il primo album, Horses (1975 - Arista, 2005), segno` per la musica rock un ritorno allo stile
dei tempi eroici, a Bob Dylan e ai Doors, alle epiche confessioni di
frustrazione e alienazione.
In realta` il disco spiegava semplicemente come "leggere" i suoi poemi:
la voce incalzava in un crescendo emotivo, il complesso rock imbastiva un
boogie piu` o meno velato.
L'introspezione drammatica di Birdland, "lento" dilatato in ipnosi
psichedeliche e fraseggi da cocktail lounge che esplode in un'epica
e invasata sarabanda da messa gospel;
l'incubo nevrotico di Land, variazioni sul celebre tema di Pickett
e primo saggio di come l'esile, liturgica Patti sappia lottare allo
spasimo con le note grazie a una vasta gamma di sfumature, una retorica tutta
istintiva e una tensione espressiva al limite dell'esaurimento nervoso, e
costruire cosi` atmosfere allucinate che deflagra poi nelle sue titaniche
progressioni;
e il solenne tormento "doorsiano" di Break It Up, dove si sublimano
le sue doti di attrice capace di creare suspence, emozione e disperazione,
furono i primi capolavori dell'artista.
Gli accompagnamenti free-form, ma molto rockeggianti, capaci di tendersi
come elastici e di esplodere all'improvviso con potenza e violenza da
hard-rock, di Kaye e Richard Sohl (piano) costituiscono una novita` tanto
rivoluzionaria quanto il suo stile isterico di canto/recitazione.
Canzoni piu` regolari come il reggae Redondo Beach, la caracollante
e ipnotica Kimberley e la funerea Elegie che chiude l'opera
passarono pressoche' inosservate pur vantando costrutti e interpretazioni
originali.
Con quest'operazione Smith replicava il trucco operato da Dylan alla generazione
della "contestazione": costruire con il proprio stile di arte e vita
l'immaginario dei propri fan affinche' essi potessero soddisfare il bisogno di
realizzare il proprio immaginario nel suo stile di arte e vita. Mettendo
il suo genio visionario al servizio delle frustrazioni della sua generazione,
Smith diede voce ad un'epoca. E' una voca torturata e insicura, affannata e
sofferente, che non sa piu` ne' librarsi nei voli epici di Slick ne' affondare
nel roco pianto di Joplin. E' piu` selvatica e spontanea di entrambe,
tecnicamente debole, dilettantesca. Non emula ne' l'utopismo radioso della
prima ne' il realismo depresso della seconda: i suoi sono deliri confusi,
volutamente vaghi, volutamente astratti.
In Radio Ethiopia (Arista, 1976) la poetessa volle seguire la strada
del maestro "maudit" (l'Etiopia fu la seconda patria di Rimbaud).
Per esprimere sensazioni di vita vissuta, Smith modello` un linguaggio piu`
esasperato, dalle brevi epilessi di Ask The Angels e
Pumping My Heart, un boogie dinamitardo (dove l'apprendistato heavy presso
i Blue Oyster Cult mostra la sua utilita`), cantate con voce tagliente e
straordinaria energia psicomotoria, alle disperate agonizzanti dissonanze
di Radio Ethiopia, sputi di suono marcio che raggiungono vertici
di ossessione e sperimentalismo in un sabbah allucinato condotto dalla chitarra
hendrixiana di Kay nella miglior tradizione psichedelica dei sotterranei
newyorkesi.
Litanie free-form come la sinistra e apocalittica Ain't It Strange e
la piu` serena Distant Fingers, ed elegie quasi religiose come
Pissing In A River non aggiungono nulla al breviario di Horses.
Easter (Arista, 1978) e` l'album della definitiva maturita` artistica e commerciale
di Patti Smith. Il sound e` ormai un cocktail di sound classici (Dylan, Reed,
Morrison, Stones, Who) e le liriche sono piu` mistiche e visionarie che mai.
La concisione e si traduce in riff piu` grintosi e melodie piu` centrate
e finisce per beneficiarne anche il canto, non piu` da muezzin delirante ma
feroce e neroide.
La grinta esplosiva di vocalist e chitarrista pennella
potenti e accurati rock'n'roll (Rock And Roll Nigger, la progressione
piu` terrificante, un gospel-boogie cannibalesco ed epilettico da invasata,
Set Me Free, altro concentrato di cadenze e riff epidermici)
concedendo ampio spazio ai toni ritualistici (Space Monkey e
la Ghost Dance, due esagitate sceneggiate su cadenze macabre ed esotiche), liturgici
(High On Rebellion)
ed enfatici (Till Victory, Because The Night di Springsteen)
che l'avevano resa celebre.
L'approdo alla forma-canzone non toglie nulla all'emotivita` della sua
drammaturgia: Smith si sgola senza pieta`, gracchia e rutta, lancia urla
gutturali e acuti selvaggi, in una specie di negazione sistematica del
"bel canto".
Wave (Arista, 1979) e` un'umile appendice di canzoni in quello stile
(Dancing Barefoot, Fredrick).
Se Horses fu il disco della poesia free-form, se Radio Ethiopia
fu quello del flusso di coscienza, Easter e` quello del rock e
Wave e` quello dell'elegia.
A questo punto Smith rinuncio` alla musica e
si ritiro` a vita domestica a Detroit, moglie di Fred Smith (MC5).
Il chitarrista Lenny Kaye ne approfitto` per registrare il suo primo
disco solista, I've Got A Right (Giorno, 1984),
oscillando
fra power-pop (I've Got A Right) e country-rock (Luke The
Drifter).
Continuando la parabola pseudo-dylaniana che l'aveva vista prima profetessa
biblica dell'underground, barda maledetta in gergo beat e mito di una
generazione, e poi soltanto ambigua rinnegata,
Patti Smith torna a sorpresa nel 1988 con Dream of Life (Arista).
Il sound e` meno brutale e piu` elegante, ma fra le righe dell'anthem
People Have the Power, del boogie Up There Down There, dell'elegia
Paths That Cross
e` facile riconoscere la stessa tigre lirica dei dischi precedenti.
L'eta` l'ha pero` resa troppo petulante, ed e` cosi` che a fallire sono
proprio i sermoni piu` ambiziosi, come Where Duty Calls.
Dedicato alla memoria di suo fratello e di suo marito (Fred "Sonic" Smith),
Gone Again (Arista, 1996) ha avuto una lunga gestazione ed e` stato registrato
con l'aiuto dei chitarristi e amici Lenny Kaye e Tom Verlaine.
Come gia` la volta precedente (questa e` la seconda volta che "torna" sulle
scene, per chi si fosse perso la prima), Smith fa vivere il disco soprattutto
dei fantasmi del suo passato. Ogni brano ne fa venire in mente uno di quelli
classici, e allora ci si mette sull'attenti.
Ma Gone Again e Summer Cannibals sono ben poca cosa rispetto alle
Because The Night e Ask The Angels di un tempo, e Fireflies
(quasi dieci minuti), per quanto suggestivo l'accompagnamento, non ha nulla
della carica emotiva delle lunghe improvvisazioni dei primi dischi.
Le liriche, come sempre (e come hanno dimostrato i suoi libri), lasciano il
tempo che trovano. Di poeti come lei l'America ne ha duecentomila. Conta il
feeling, non il testo. E allora, piu` che canzoni di morte, le sue sono canzoni
di compassione, di meditazione sulla tomba prima che calino la bara.
Cosi` eccola a mormorare il requiem di About A Boy (il suo tributo a Kurt
Cobain), un po' logorroico e monotono, eccola a intonare un'Ave Maria come
My Madrigal, eccola a danzare Ravens come a un funerale irlandese.
Questa reduce degli anni '60 (che era gia` fuori tempo a suo tempo, avendo
esordito a trent'anni suonati, e che oggi veleggia verso i cinquanta),
ha perso gran parte del suo fascino istrionico e maliardo. E` rimasta
soltanto una consumata bohemienne e intellettuale, che si lascia illudere
dalla longevita` artistica di Bob Dylan: soltanto che Dylan e` Dylan, e
lei invece no.
Peace And Noise (Arista, 1997) e` il secondo album della seconda stagione di
Patti Smith. Passato il periodo di lutto,
Smith si getta a capofitto nel panorama sociopolitico dell'America di oggi.
Tirati fuori da un ospizio dei vecchi i Lenny Kaye (chitarra) e J.D. Daugherty
(batteria) di un tempo, e assoldati i brillanti giovani
Oliver Ray (chitarra), suo nuovo boyfriend, e Tony Shanahan (basso), Smith non cambia di una virgola,
convinta, come tutti i profeti, di essere nel giusto (musicalmente e non).
Ambizioni e determinazioni si sfogano nel fervore religioso di
Waiting Underground, nel declamato beat di Spell (le liriche sono tratte
dall'"urlo" di Allen Ginsberg che ha sempre costituito un suo modello di
riferimento),
e nell'enfatica Death Singing (l'unica canzone davvero sua dell'album).
Ma sembra di ascoltare la nonna ripetere per la millesima volta la favola
che ci teneva col fiato sospeso da piccoli. Purtroppo siamo cresciuti.
Memento Mori e` la lunga improvvisazione di turno, ormai una tradizione
come il tacchino a Thanksgiving.
La musica si ascolta semmai in Whirl Away, un incrocio fra Pretenders
e Badalamenti, che intreccia passi di flamenco e di reggae, e in Dead City,
un boogie degno di Easter.
Smith apparteneva a un'altra epoca (quella dei poeti beat, quella dei beatnik
degli anni '50) quando comparve per la prima volta sui palcoscenici della new
wave. Adesso sembra appartenere a un altro evo. Antica e antiquata, ha il
fascino dei fossili. Come la maggior parte dei fossili, non e` soltanto
inutile, e` anche noiosa.
Il suo canto animalesco, figlio dei predicatori itineranti piu` che di Stooge,
le sue liriche blasfeme ("Jesus died for somebody's sins/ but not mine"
la piu` celebre di Horses), le sue contorsioni epilettiche (un critico
paragono` una sua performance alle doglie e al parto) rinnovarono
soprattutto il ritualismo rock, rimasto fermo ai baccanali dei Velvet
Underground (con la chitarra di Kaye ad emulare la viola di Cale).
E servirono certamente a imporre l'immagine di una donna "rock", non semplice
cantante o mascotte, ma personalita` forte, autonoma e intelligente.
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