Summary.
Juliana Hatfield, already the Blake Babies' bassist and vocalist, continued to offer a moderate view of youth's troubles. Hey Babe (1992) was a masterpiece of whim and contrarian morals, penned by girlish voice, modest melodies, and graceful guitar rock. The self-pitying and self-loathing themes that recurred throughout the album painted a charming and anthemic biography of a teenager growing up. That existential implosion began to show a muscular side on Become What You Are (1993), whose sound ranged from folk-rock to hard-rock, and Hatfield definitely lost her (musical) virginity with Only Everything (1995), which submerged her artful whining with loud and furious riffs.
Suffering with manic depression since her late teens, Hatfield had to undergo
therapy during the second half of the 1990s.
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I Blake Babies si formarono nel 1986 alla Berklee School Of Music di Boston,
nel pieno del risveglio musicale della citta`, per iniziativa della diciottenne
Juliana Hatfield e del chitarrista John Strohm (che aveva suonato anche la
batteria nei Lemonheads), ai quali si aggiunsero la batterista Freda Boner
e il bassista Seth White. Fin da Nicely Nicely (Chewbud), l'EP pubblicato
l'anno dopo, il gruppo si segnalo` per le tenui armonie di pop chitarristico e
per il canto di Hatfield, che unisce le inflessioni da ragazzina debole,
insicura, spaventata alla Suzanne Vega a testi feroci, ultra-femministi, che
vivisezionano i traumi delle ragazze della sua generazione.
Proprio i bozzetti di vita del college come
Let Them Eat Chewy Granola Bars, Swill And The Cocaine Sluts,
Better'N You fecero la fortuna dei Blake Babies, che divennero presto
beniamini del pubblico locale. Dietro la tematica sociale si celava in realta`
un enorme talento pop, come in Wipe It Up, all'insegna di un
elettricissimo garage-rock.
Inedita fino al 1992 rimase Boiled Potato (con Evan Dando al basso), che
peraltro indicava come si
sarebbe mossa Hatfield da grande: e` una filastrocca da bambina canticchiata
con tono incantato su un accompagnamento scarno.
Quel talento venne a galla in tutto il suo fulgore sul primo album,
Earwig (Mammoth, 1989), registrato con Evan Dando dei Lemonheads al
basso. Cesspool e Lament sono due dei
loro capolavori pop, e ritornelli non meno memorabili si trovano in
Rain (una delle loro primissime composizioni, scritta da Strohm) e
Alright. I legami con la tradizione country sono evidenti
in Grateful e Your Way On The Highway, fra inflessioni REM e
imitazioni dei Grateful Dead. A far epoca sono comunque ancora una volta le
denunce amare e violente di Don't Suck My Brain,
Take Your Head Off My Shoulder e
Outta My Head, e non stupisce che in quest'ultima invettiva
Hatfield finisca per gorgheggiare come Joni Mitchell.
L'accompagnamento di Strohm in punta di piedi, per tocchi minimali, non
potrebbe essere piu` discreto e talvolta evanescente, ma l'insieme risulta
invece magicamente maschio e vitale. Il contrasto fra la dolcezza del sound e
la violenza dei testi non potrebbe essere maggiore.
Il secondo album, Sunburn (Mammoth, 1990),
con Hatfield ormai assestata al basso,
ha piu` grinta e velocita`, sfiorando talvolta il sound abrasivo del powerpop
e talaltra l'impeto psichedelico delle Bangles. Hatfield sfoga il suo velenoso
stato d'animo in I'm Not Your Mother e Star, ma tocchera` toni ancor piu` duri in
Gimme Some Mirth, con un riff alla AC/DC.
Questa volta il suo registro infantile dilania canzoni che hanno piu`
spessore, anche se forse troppe sono ridondanti.
A contendersi il primato di miglior canzone dell'album sono Look Away, un
agile numero pop con arrangiamento lunare, e Out There, una delle ballate
folkrock piu` perfette della loro carriera.
Strohm trova finalmente un po' di spazio e compone Train, che potrebbe essere
un singolo dei Modern English.
Hatfield e` piu` che mai portavoce dell'ansia delle ragazze del suo tempo,
per le quali il problema principale rimane quello del "lui", da un lato con i
soliti problemi, mutatis mutandis, del maschilismo e dall'altro acuito da tutte
le ulteriori insicurezze e le brutture che la rivoluzione sessuale ha apportato
negli anni. Sanctify e` l'elegia di quella generazione.
Quella voce cosi` normale, per nulla cattiva, punk, perversa o
altro, e` proprio cio` che puo` convogliare l'emozione nel modo piu` efficace,
e farne grande arte.
L'EP Rosy Jack World, con Temptation Eyes e
la ballata acustica Nirvana, segno` pero` la fine prematura
dell'avventura dei Blake Babies.
In quei tre dischi Hatfield aveva avuto modo soltanto parzialmente di mettere
in luce la sua personalita`. Nata e cresciuta a Duxbury, nel Massachussetts,
sull'oceano, Hatfield puo` vantare una delle poche adolescenze in cui alcool,
droga e sesso non abbiano avuto alcuna parte. Emarginata dai coetanei, si
prese la sua rivincita cantando nei complessi locali, finche' prese la
laurea in canto al prestigioso Berklee College Of Music. Fu allora che inizio`
a scrivere canzoni, che imparo` a suonare il basso e la chitarra, e che decise
di formare un suo complesso rock.
Appena ventiquattrenne, ma gia` diventata un personaggio da culto, Hatfield
registro` allora il suo primo album solista, Hey Babe (Mammoth, 1992),
un tenero
testamento del romanticismo adulto. Il suo melodismo e` un ibrido di
beat e gospel, di pop e opera, di blues e di jazz, di Broadway e di musical,
capace di fondere tutti questi elementi nel modo piu` modesto e timido
in capolavori formali come Lost And Saved (con un ritornello beat
smaccatamente sentimentale e quel registro affannato, da bambina che si
sta giustificando) e Forever Baby (in rapito abbandono), tanto briosi quanto
intimisti, tanto spensierati quanto
pensierosi, tanto casual quanto lambiccati, in un festival di contrasti e di
sfumature che ben rappresenta i turbamenti post-puberali della sua generazione;
senza dimenticare il registro da ragazzina, che trasforma i languori
sentimentali in filastrocche da girotondo, vedi I See You.
Hatfield sperimenta anche bizzarrie armoniche e canore
(come Ugly, un bisbiglio solitario che implora affetto, protezione e
comprensione; No Outlet, con la sua atmosfera onirica;
e The Lights, lenta rapsodia per tre chitarre e una batteria)
che aprono nuovi orizzonti.
Al tempo stesso sa imbastire accordi di hardrock (Quit) ed essere
rabbiosa (Get Off Your Knees), ovvero contraddire quelle stesse premesse.
Ma il suo genere piu` tipico, e piu` spontaneo, e` la ballata malinconica,
genere in cui cesella nuove, eccitanti variazioni sul folkrock come la
deliziosa Everybody Loves Me But You, in cui questa Belinda Carlisle del
liceo dietro l'angolo si sgola perche' lui non ricambia il suo amore.
Sono canzoni cantate da una ragazzina che e`
stata prematuramente immersa nella solitudine abissale e nella grigia
desolazione di un mondo cinico e materialista.
Sospesa in un limbo inesplorato fra la tradizionale cantautrice folk e le
forbite performer di Broadway, Hatfield inventa la musica-diario,
riscoprendo il valore della melodia in quanto mezzo di comunicazione
interpersonale e di esaltazione emotiva dei significati.
Negli EP dell'autunno e dell'inverno di quell'anno Hatfield inseri` anche
Raisins, Rider, Here Comes The Pain, Feed Me, Tamara, che
completano il quadro di questa poetessa dell'animo femminile.
Become What You Are (Mammoth, 1993) e` felice conferma dell'immaturita`
(esistenziale e musicale) di Juliana Hatfield. La sua musica e` sempre piu`
un fatto di tenui emozioni, e sempre meno un fatto di tecnica o di stile.
Il tema
di fondo e` una forma morbosa ma innocua di frustrazione giovanile, che trova
il suo corrispondente piu` naturale non in un movimento letterario o artistico,
ma nelle lettere di adolescenti pubblicate da "Sassy".
Il piglio e` per lo piu` triste e solitario, ma la maggior parte delle sue
storie sono dei "sotterfugi esistenziali" tramite i quali riesce a trasmettere
un messaggio universale senza compiere il relativo sforzo intellettuale.
Non a caso qualche volta torna alla mente Jonathan Richman (per esempio in
Spin The Bottle, una delle filastrocche piu` orecchiabili). Metaforici sono
anche i suoi atteggiamenti da bambina, al tempo stesso maliziosa e impaurita,
audace e vergognosa. E` tutto un trucco, astutissimo, per parlare della vita e
della condizione umana.
Musicalmente, Hatfield ha coniato un genere di canto che approccia con il
massimo dell'umilta` i piu` arditi vocalizzi free-form (esemplare la nenia di
Supermodel, cullata in frasi lente ed eteree e protratta in gorgheggi al
limite dell'acidrock). E` quella forma di canto nobile e piano a trascinare la
musica.
Gli arrangiamenti sono anzi minimali, sanno di amatoriale e di approssimativo.
Seguono con tessiture lievi la cantante nei suoi teneri melismi,
contrassegnano con una ritmica violenta i frequenti passaggi sincopati, nei
quali lei sembra scandire uno slogan piu` che cantare una canzone (come
This Is The Sound, che sembra canticchiata da una bambina mentre gioca in
cortile) prima di distendersi in un ritornello
spaziale; creano contrasto drammatico accompagnando il registro piu`
mellifluo di Hatfield con onirici tintinni folkrock e poi anteponendogli
aggressivi riff elettrici.
In questo senso My Sister, una sua tipica parabola di vita "non vissuta",
rimarra` uno dei vertici.
La sua e` peraltro una musica che sa essere anche incalzante e rumorosa, come nella
partitura grunge di A Dame With A Red, che deve sottolineare una melodia
ondulata, quasi jazz; o nel veemente blues-rock di Addicted (tipica posa
da ragazza innamorata e tradita); o quando
Hatfield proclama fiera e vigorosa il suo anthem personale, I Got No Idols.
Ancora una volta le composizioni sembrano disposte in maniera calcolata,
affinche' l'ascoltatore sia prima costretto a entrare nel suo mondo di
contorte emozioni e soltanto poi possa godersi le melodie piu` ariose di
For The Birds (cantico delle meraviglie naturali contrapposte agli orrori
dell'umanita`) e Little Pieces (commovente ed orgogliosa confessione di
cuore infranto). Album piu` commerciale, ancor piu` lontano dai Blake
Babies, segna un ulteriore stato della regressione esistenziale di Hatfield,
uno stato di bambina sperduta.
La grande novita` di Only Everything (Mammoth, 1995) e` che
Hatfield ha perso la verginita` (musicale): con un complesso di feroce
hardrock alle spalle, con uno stile di canto piu` modulato e meno spigoloso,
con cadenze piu` veloci, questa non e` piu` la ragazzina sconsolata che si
lamenta in continuazione su un paio di accordi dimessi. Nei testi Hatfield da`
Le canzoni sono dedicate ai piccoli drammi sentimentali della sua vita (veri o
immaginari?), che attorno al "lui", ora adorato, ora denigrato, ora rimpianto,
ora sognato, con non poche allusioni di natura sessuale. Il disco nel suo
insieme si presenta anzi come un ciclo di canzoni erotiche (autobiografiche o
meno che siano).
What A Life da il la` al disco con il suo rock and roll a tutto volume:
la sua vocina da bambina, che sembra concentrata nell'imbastire girotondi
sempre piu` arditi, viene sommersa dai chitarroni e si lascia trasportare
da quegli immani rumori. Lo schema viene ripetuto in maniera piu` banale per
il rave-up di Ok Ok e per il valzerone di Congratulations, fino
al massimo di contrasto in Dumb Fun, la filastrocca piu` innocente, incalzata
da un altro riff colossale, e in You Blues, il sussurro finale, intriso di
romanticismo adolescenziale, tristissimo, e altrettanto spaesato in cotanto
frastuono.
Che alla base di quest'operazione sia un orecchio formidabile per
il contrappunto si vede in Fleur De Lys, costruita stratificando il riff piu`
violento e trascinante del disco, un
ritornello innocente guaito nel modo piu` lezioso,
una distorsione da capogiro (degna della Hurdy Gurdy Man di Donovan) e
una figura di basso molto orecchiabile (impostata dalla cantante in solfeggio).
In molti casi l'elettricita` ha un preciso ruolo drammatico.
Quando esplode il riff glaciale di chitarra, la musica si impenna di colpo
frantumando un'atmosfera delicata che era stata creata dal canto in sordina.
Bottles And Flowers sfrutta questo effetto per costruire un crescendo degno
degli shoegazer, con la voce che salpa sul vortice di distorsioni protesa in
vocali lunghissime, echi dei Cocteau Twins e un languore che sa di fantasia
erotica ("reach inside carefully/ make it last").
Man mano che il chiasso diminuisce, aumenta il fascino del suo infantilismo
vocale, che in Outsider si avvale di uno strimpellio in stile Luna e
in Universal Heartbeat di un vibrafono funky-jazz.
E si arriva cosi` ai due brani piu` semplici e umili, che forse sono pero`
anche i capolavori: My Darling, un'aria pop da anni '50, una melodia tanto
romantica che cantata da un'altra sarebbe una parodia, con versi del tipo
"It's killing me/ my darling"; e Live On Tomorrow, in cui il bisbiglio
piu` fievole che si possa immaginare scende un'ottava piu` bassa per
imbalsamare anche la fibra piu` intima di emozione.
Il limite di Hatfield e` quel continuo piagnucolare sulle proprie sventure
(self-pity, self-loathing),
una forma paranoica di auto-analisi che la colloca sempre in un universo
ostile e minaccioso. Questa psicosi acuta sembra quasi la ragione stessa
di vivere. Il suo motto e`, giustamente:
"a heart that hurts is a heart that works" (Universal Heartbeat).
Dopo la registrazione dell'album, Hatfield dovette ricoverarsi in ospedale
per guarire dalle crisi di depressione che l'affliggevano fin da ragazzina.
Protagonista del rock intimista femminile, Hatfield ha trovato
con i testi standard del suo teatro (Lament, Rain, Look Away, Out There,
Temptation Eyes, Everybody Loves Me But You,
Lost And Saved, For The Birds, A Dame With A Red) la
forma perfetta per trasferire in musica il diario privato delle "riot grrrrls".
Il suo repertorio e` fatto di fantasie private di vita giovanile (fantasia, non
vita vissuta) che utilizzano il gergo adolescenziale e mescolano toni agrodolci,
prediligendo, per ragioni misteriose (visto che sono, per sua ammissione,
soltanto fantasie) le sfumature grige dell'acrimonia e della delusione.
La sua opera e` una sorta di autobiografia immaginaria, ma nella quale tutta
l'enfasi e` nell'ostilita` del mondo circostante. Hatfield e` l'adolescente
ossessionata e impaurita dai messaggi che i media amplificano di giorno in
giorno (dalla seduzione dell'innocente allo stupro per strada).
La sua statura musicale prescinde dalla mancanza del carisma di rock star e
persino dalla mancanza di doti canore straordinarie. La sua voce pochissimo
dotata, peraltro, ha il piglio (se non il registro) delle grandi cantanti blues.
La sua immagine e la sua musica ne fanno un'anti-Madonna (a ventisei anni ha
ripetutamente dichiarato di essere vergine), che non ricorre ne` allo spettacolo
multimediale, ne` all'esibizionismo erotico, ne` agli arrangiamenti
magniloquenti; che rifugge da tutto cio` che potrebbe essere provocazione e
oltraggio, e forse proprio per tale ragione finisce per essere la piu`
provocante e oltraggiosa della sua generazione.
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