Rimarra' materia di discussione se l'obiettivo di tale scienza sara' quello di costruire macchine pensanti o quello di comprendere il funzionamento della mente umana, e se prevarra' pertanto la plausibilita' psicologica o l'efficienza computazionale. L'ambiguita' di fondo dell'Intelligenza Artificiale attuale non e' destinata a risolversi, ed e' forse utile che sia cosi': il requisito di essere computazionalmente efficiente appare sempre piu' coerente con la visione moderna degli organismi, modellati dall'evoluzione per essere ottimali nel compiere le proprie funzioni. Quell'apparente ambiguita', insomma, potrebbe rivelarsi semplicemente una prospettiva diversa dello stesso fenomeno.
Il punto debole dell'Intelligenza Artificiale e' semmai il suo stesso titolo: l'"intelligenza" appare sempre piu' un concetto difficile da definire in maniera rigorosa e sempre meno un concetto reale. Nulla nella struttura del cervello puo' essere associato direttamente all'intelligenza. Il test di Turing non definisce un essere pensante, ma un essere intelligente, benche' nella vita quotidiana sia molto piu' definito cosa si intenda per "pensare" che non per "essere intelligente". Bisognera' forse proporre anche un titolo diverso, per esempio quello di Pensiero Artificiale, o, semplicemente, Mente Artificiale, e abbandonare la linea di ricerca piuttosto sterile che ha tentato di definire e misurare l'intelligenza. Piu' che discutere se il test di Turing sia giusto o sbagliato, bisognerebbe discutere se esso sia ancora adeguato alla visione moderna della mente, e, se no, introdurre un paradigma meglio attinente all'obiettivo finale di questa nuova scienza. I progressi compiuti da Descartes ad oggi non hanno ancora gettato alcuna luce sui misteri piu' suggestivi dell'io.