Lullaby (Hearts Of Space, 1981), 6.5/10 Perelandra (Hearts Of Space, 1984), 7/10 Western Spaces (Innovative Communications, 1987), 6/10 Galaxies (Hearts Of Space, 1988), 7/10 Desert Solitaire (Fortuna, 1989), 6/10 Secret Rooms (Hearts Of Space, 1990), 6/10 Rain (Hearts Of Space, 1995), 5/10 The Spell (Hearts Of Space, 1996), 5/10 | Links: |
Sassofonista e fiatista prodigio di Chicago, Kevin Braheny iniziò a
suonare giovanissimo in orchestre sinfoniche, complessi rock e big band di jazz. Nel 1971 si
trasferì a Los Angeles a lavorare come assistente per pionieri dei sintetizzatori come Malcolm
Cecil (fondatore della Tonto's Expanding Head Band) e Serge Tcherepnin.
Dieci anni dopo esordì come compositore con Lullaby (Hearts Of Space, 1981), prima delle sue suite eseguite interamente alle tastiere elettroniche. La "prima" venne radiotrasmessa in diretta dal programma "Music from the Hearts of Space".
A renderlo celebre fu comunque la seconda opera, Perelandra (Hearts Of
Space, 1984), riedito come The Way Home (Hearts Of Space, 1987), uno
dei primi e più riusciti kolossal del genere spaziale-elettronico, proteso verso costruzioni
armoniche imponenti che si ispirano a Beethoven e a Wagner prima ancora che a Schulze e
Vangelis.
Seguendo gli stessi principi Braheny contribuisce a Western Spaces (Innovative Communications, 1987) i raga Desert Walkabout e Desert Prayer, rallentati fino a lambire la stasi ed immersi nei silenzi cosmici. Il suo capolavoro, e uno dei capolavori della space music tutta, Galaxies, rivela ascendenze classiche e jazz-rock. Il suo leitmotiv è una fanfara (suonata quasi sempre miscelando un sassofono) che compie una lenta ed elegante metamorfosi, passando dallo struggente tema iniziale (in crescendo fra un tripudio di trilli) alla raffinata melodia di matrice Weather Report del secondo movimento (Starflight), deformandosi funerea in onirici giochi di riflessi (Milky Way Rising) o dilatandosi in estasi corali zen a ondate e respiri di marca Kitaro (Ancient Stars) o ancora immergendosi in ralenti di linee melodiche sovrapposte su registri diversi (Galactic Sky), per stemperarsi di nuovo in temi jazz-rock evanescenti e fatalisti (Lookback Time) e innalzarsi in inni mistici ricolmi di nostalgia (Going Home), finendo per delirare nella festosa danza jazz- latina che chiude l'opera (Down To Earth). Braheny raramente ricorre alle dissonanze e lo fa soltanto per descrivere i
suoni ipnotici che lacerano i silenzi siderali (Winds, Intergalactic Space, Ice Forests
Of Orion). Nell'insieme la sinfonia costituisce una monumentale colonna sonora per un viaggio negli
abissi del cosmo.
Al cospetto di questi capolavori Secret Rooms (Hearts Of Space, 1990) appare come un'opera minore, una dozzina di brevi "canzoni" che, nei casi migliori, presentano una qualità onirica (Til You Get There e Visited By Spirits) e nei casi peggiori incespicano in un misticismo indianeggiante di terza mano. La tenera melodia di Saturn Ballet e il minimalismo cosmico di Magus non bastano a redimere un disco raffazzonato. Anche il suo contributo a Desert Solitaire (Fortuna, 1989), disco condiviso con Steve Roach e altri, che si materializza in uno dei brani più evocativi, Knowledge And Dust, non va oltre il divertissment d'autore, la recitazione a braccio, l'invenzione estemporanea.
E' quella d'altronde anche la direzione di Rain (Hearts Of Space, 1995),
il disco composto in coppia con Tim Clark, ma con una cura immensamente
più certosina.
Il raga di Sun Showers è condotto da un lirico
salmodiare di sassofono su un fitto trepestio di tabla e campanelli, ma Braheny vi dissemina piccole
dissonanze elettroniche e brevi squarci di apoteosi sinfoniche.
Braheny è forse il più colto dei "macchiaioli" spaziali, capace di ripescare il finale della Nona di Beethoven, l'enfasi metafisica di "Also Spracht Zarathustra" o la stasi trascendentale dei mantra e di adattarle all'evo delle saghe spaziali. Braheny si cimenta all'orchestrazione elettronica con mano rinascimentale. Rain (Hearts Of Space, 1995) and The Spell (Hearts Of Space, 1996) are collaborations with Tim Clark. |
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