Diamanda Galas è una delle cantanti che hanno rivoluzionato il
concetto stesso di "canto" attraverso l'uso dell'elettronica e un'espressività da ossessa.
Galas, nata a San Diego nel 1955 da immigrati greci, ha studiato opera e pianoforte
e si è poi cimentata nella performance. Nei primi anni '70 suonava a Los Angeles con jazzisti
d'avanguardia come David Murray, Butch Morris e Mark Dresser. Ma conduceva anche un'esistenza
precaria e pericolosa, sempre sul filo del rasoio con i suoi abusi di droghe e le sue molteplici esperienze
sessuali. A scoprirla come cantante fu il Living Theatre, che la invitò ad esibirsi nei manicomi. Il
compositore Vinko Globokar la assoldò per la sua opera "Un Jour Comme Une Autre". Fu quella
l'esperienza fondamentale, in cui maturò la sua idea di musica e di canto.
Il primo album esplose sulla scena della musica elettronica con il fragore
dell'opera che fa epoca. L'arte canora di Galas si presentava come un incrocio fra tragedia greca, teatro
espressionista e seduta psicanalitica. Le due composizioni per voci sovraincise ed elettronica dissonante,
estremamente convulse e opprimenti, ispirate da un concreto pretesto politico, sembravano scaturire da un
coacervo di forze primali ed erano sottese da perverse liturgie sataniche. Galas riusciva a fondere
subconscio, magia e storia in un flusso sonoro altamente emozionante.
Wild Women With Steak-Knives è un assolo canoro di
dodici minuti che costituisce quanto di più radicale sia mai stato cantato: a blocchi di grida
orrende, rapidissime e concitate, si alternano vagiti disumani, da assatanati, da partorienti, da bestie al
macello. Tutto il vocabolario di disfunzioni vocali fa parte del suo repertorio: singhiozzi, spasimi, vomiti,
nitriti, movimenti di labbra e di guancia, gargarismi, lamenti strozzati, sibili, balbettii isterici.
Le sue urla sono le più abominevoli e viscerali, spesso seguite da
scariche epilettiche di fonemi animaleschi. Per produrle, controllarle e modularle la cantante necessita di
una concentrazione sovrumana. Ispirandosi al pianto di Medea e all'orrore di Ecuba, ma anche al senso di
impotenza e di isolamento del "Gluckliche Hand" di Schonberg, Galas mette in scena uno stile assai
più teatrale di quelli austeri e raffinati delle altre "vocalist" sperimentali. Il canto di Galas
è anzi votato all'eccesso.
Ma, per assurdo, le sue affabulazioni scomposte sono più vicine alla
realtà quotidiana di quanto lo siano gli astrattismi di Meredith Monk e Joan LaBarbara; sono anzi
prese direttamente dalla vita, costituiscono una colonna sonora del dolore in tutte le sue manifestazioni.
Galas non si astrae dal mondo reale, ma anzi vi immerge totalmente la propria psiche, con risultati
apocalittici.
Nelle Litanies Of Satan Galas recita i versi maledetti di Baudelaire
più enfatica e sguaiata che mai, mentre un tamburo batte colpi funerei, l'elettronica solleva folate
gelide e altre voci filtrate borbogliano in sottofondo. La ripetizione sempre più ossessiva e
scalmanata trasforma i versi in esorcismi, fino a quando il suono della voce si decompone in una bolgia di
disturbi sonori. In una nebulosa di acuti soprannaturali la cantante declama allora un assolo
raccapricciante da indemoniata, con alcune delle sue tipiche mitraglie epilettiche di fonemi e tutto il
campionario di spasimi. Il brano termina sui cento echi elettronici della sua voce che recita di nuovo i
laidi versi in francese.
Il secondo album, Diamanda Galas,
il suo lavoro più politico, contiene altri due
lunghi brani per voce ed elettronica, ciascuno un "muro dell'urlo" non meno imponente.
Tragouthia (october 1981),
su Diamanda Galas (Metalanguage, 1984),
è un vibrante grido di dolore per le
vittime della dittatura greca, che si coagula in una massa vocale prevalentemente corale, alla quale il
tremito violento di Galas imprime un moto continuo ascendente, in maniera concitata, al limite del
collasso nervoso. Gli echi polifonici della sua voce salgono come il lamento di una massa di dannati
agonizzanti. Gli acuti altissimi, le frenetiche scariche di sillabe e i trilli gutturali formano un sottofondo
demoniaco per la recitazione spastica e traumatizzata della voce maggiore. Quando tutte si distendono in
volteggi di soli acuti, ne risulta un requiem solenne e allucinato, quintessenza dell'oltraggio e della
disperazione.
Un altro saggio di recitazione traumatizzante si ha in Panoptikon
(february 1984),
su Diamanda Galas (Metalanguage, 1984),
quando Galas alterna il silenzio elettronico a subitanei
scoppi di grida, e lascia che girandole di voci contrastanti, sparse lungo uno spettro vastissimo di registri,
vengano distorte e amplificate in modo maniacale.
Galas agisce nelle vesti dello sciamano che trasuda in catalessi
metempsichiche le voci interiori di un mondo impenetrabile. Oracolo dell'apocalisse, sparge le sue lacrime
di pathos e angoscia su un paesaggio desolato. Il suo lamento claustrofobico si svolge in spirali di magia
nera e degenera in un teso soliloquio con le forze dell'aldilà. Educata tanto dagli acuti di Maria
Callas quanto dalle colonne sonore dei film dell'orrore, Galas accumula pulsioni estreme giovandosi di
un'ampiezza vocale di tre ottave e mezzo in una bolgia di riverberi elettronici. E le mille
personalità che ne risultano si scontrano con la violenza di tifoni.
Così Eyes Without Blood (1985) è un morboso
delirio di sesso e omicidio, dove sadismo, necrofilia e metafisica si compenetrano creando tensioni
spasmodiche.
Divine Punishment, il suo album più medievale, è
una parafrasi esoterica delle Sacre Scritture, intrisa di profezie demoniache e di anatemi osceni. Il
parossismo blasfemo della cantante penetra nei manuali della chiromanzia per estrarne un distillato di
pessimismo cosmico e di odio nichilista.
Nella suite Deliver Me From Mine Enemies in sei movimenti, fra salmi gregoriani e
lamentazioni ellenistiche, proverbi ebraici e formule magiche in un italiano arcaico, l'angelo del male
enuncia il suo catechismo della perdizione eterna, attraverso scene musicali che ricordano
alternativamente il volo solitario di una strega o il lamento di un dannato in un girone dantesco, con
sottofondi che evocano il lento avanzare di schiere di demoni o un caos di anime derelitte nei miasmi
infernali.
Il canto di Galas, sempre alla mercé di un turbine di turbini
elettronici, impersona tutti i personaggi di questo affollato "grottesco" medievale, ciascuno con un
timbro diverso, alternando i toni incalzanti della danse macabre (This Is The Law Of The Plague
a ritmo in crescendo di processione nera, con finale d'intensità wagneriana) a vocalizzi astratti,
ora dilatatissimi, quasi allucinogeni (Deliver Me From My Enemies), ora infernalmente gutturali
(la miasmatica e bruttissima Yiati), ora misticamente puri (le vertiginose acrobazie da muezzin di
Esedoyme), ora spettrali (il sibilo angosciato di Psalm 22), che si inabissano nei recessi
più profondi della psiche, con risultati sempre sconvolgenti per intensità drammatica e
suggestione sonora. Il suo canto sa tramutarsi in rantolo agonizzante, in formula esoterica, in soffio
impercettibile dell'oltretomba, in vento, in magma, in fiamma.
Le quattro lamentazioni macabre e blasfeme di Free Among The
Dead sono capolavori di questa recitazione interiore, che nel Psalm 88 sibila perversa e
incalza demente in una suspence e un crescendo marziali e in Sono L'Anticristo imita un vero e
proprio esorcismo, con tutto il suo corredo di versi animaleschi, al cupo rintocco del piano. Questi deliri
invasati costituiscono l'apice del suo stile cerimoniale, avvolto in atmosfere tetre e minacciose e in arcani
testi pseudo-biblici.
Saint Of The Pit, con testi in francese dei tre poeti "maledetti"
Baudelaire, Corbiere e Nerval, è la sua messa dei morti, il suo requiem per l'umanità
afflitta dall'AIDS. Galas confonde le sue pose da tragica greca, da chanteuse espressionista, da soprano
d'opera. All'inquietante ouverture strumentale La Trezieme Revient, sullo stile di un "sanctus",
fanno seguito il canto altissimo di Esedoyme, il conciliabolo grottesco di
L'Heautontimoroumenos, e il gran finale di Cris D'Aveugle, vera e propria liturgia nera
con cadenze fosche di organo e tripudi corali di streghe e di demoni wagneriani, cantata con grottesche
evoluzioni da muezzin e da invasata, in una terribile visione del giudizio universale, e, placata l'orgia, con
gli ultimi versi pronunciati (per la prima volta nella sua carriera) con voce pateticamente normale, quasi a
supplicare pietà.
E' questa la sua opera più oppressa dal senso della morte. Il canto
di Galas è meno rocambolesco che nelle prime prove, più concentrato a trasmettere il
messaggio e a sfruttare gli effetti melodrammatici del suo Grand Guignol. Ossessionata dall'epidemia
dell'AIDS, Galas è passata dall'antica Grecia al Medioevo delle superstizioni e delle eresie.
Nel frattempo l'acuto da soprano d'opera, il più stridente e
stordente, è diventato il suo mezzo espressivo preferito, mentre sono pressoché scomparse
le voci esagitate nei registri più volgari. Analogamente il passo lento e marziale di pianoforte, che
rende il senso della processione, ha preso il sopravvento sulle fasce elettroniche.
Terza parte della trilogia sulla "pestilenza del secolo", l'EP You Must
Be Certain Of The Devil è un violento e dolente "je accuse" contro la caccia alle streghe in
corso nei confronti dei malati di AIDS. Questa volta i testi sono di Galas stessa, e le musiche si ispirano al
folk sacro dei neri. Moderata nella gestualità elettronica, e supportata per la prima volta da un
complesso rock, è questa la sua opera più accessibile, tanto che ne viene tratto persino un
video-clip, la danza orientaleggiante Double Barreled Prayer.
Il disco applica la sua tecnica di modulazioni demoniache allo spiritual (il
tour de force della title track), a un funk dissonante (Malediction), a un boogie catalettico e
cacofonico (Let's Not Chant About Despair); ma sempre tra un'invocazione satanica, una nenia
strozzata e gargarismi criptici assortiti. Come Monk, adesso Galas imita "voci" diverse, cambiando
registro e personalità di brano in brano. Rispetto a Monk l'accompagnamento è molto
più musicale, facilmente riconducibile a uno dei generi classici. Il clima è ancora di orrore
cupo e opprimente, selvaggio e primitivo, ma i vocalizzi anarchici e free-form degli esordi sono ora
sintetizzati in una forma-canzone degli inferi più fruibile.
You Must Be Certain è un singolare tentativo di
commercializzare l'avanguardia vocale più intransigente. Insieme ai due dischi precedenti
compone la trilogia "Masque Of The Red Death", ovvero la leggendaria "messa della peste" ("Plague
Mass") dedicata all'AIDS e in particolare al fratello (morto di AIDS nel 1986). La messa è stata
registrata dal vivo nell'autunno del 1991 nella cattedrale di San Giovanni a New York.
Masque Of The Red Death Trilogy (Restless, 1989) raccoglie i tre
album della trilogia.
Plague Mass (Mute, 1991) e` una dimostrazione dal vivo delle sue prodigiose capacita`.
Per molti versi (l'appropriazione di simbolismi religiosi, il tono di predica,
l'intensità e la ferocia delle esibizioni, i temi legati a ingiustizie sociali) la sua arte ricorda quella
dell'artista performance Karen Finley.
Negli anni '90 il suo carisma è aumentato per effetto di
un'improvvisa popolarità, ma in realtà la qualità dei suoi lavori è
precipitata. Galas non ha fatto che ripetere stancamente le due idee su cui aveva costruito la "messa della
pestilenza". Fra una raccolta di blues, spiritual e gospel, The Singer, e una prova nell'ambito del
power-trio della musica rock, The Sporting Life, collaborazione con
John Paul Jones che frutta almeno Dark End of the Street, Galas perviene però anche a un nuovo
lavoro di grande spessore, Vena Cava, nuova discesa negli inferi più scuri, nuovo campionario di
boccacce e diluvio di campionamenti, nonostante le cover un po' mediocri
(Amazing Grace, Hush Little Baby) nascoste dentro gli otto pezzi
senza titolo, e nonostante
la registrazione dal vivo non impeccabile.
Le sue stordenti vertigini psichiche, i suoi pannelli di soliloqui maniacali,
le mille voci sconnesse e perverse della sua anti-umanità hanno coniato un vocabolario del dolore
che si è ormai emancipato dall'avanguardia per diventare un classico del nostro tempo. Canto
tragico greco, innodia mediorientale, grida dei matti ed esperimenti dell'avanguardia vocale hanno
stravolto con violenza inusitata il registro "alto" della cantante d'opera.
Le sorgenti della sua teosofia del male datano dai millenni oscuri, si
perdono nei meandri dell'"altra" Storia; ma nelle sue opere l'esibizionismo satanico si è sempre
sposato a un sincero orrore per le tragedie dell'umanità: le violente danse macabre di Law Of
The Plague e Cris e i monumentali deliri free-form di Wild Women, Litanies of Satan
e Tragouthia sono aspetti complementari dello stesso disperato de profundis
l'umanità.
|
Inspired by the "Schrei" opera of German expressionism,
Diamanda Galas was the most extreme
vocalist of the time.
The atrocious free-form hysteria of
Tragouthia (1981), Wild Women (1982),
Litanies of Satan (1982), Deliver Me (1986),
Free Among The Dead (1986) and Cris D'Aveugle (1989)
invented a new form of lieder for voice and electronics, one that references
ancient Greek choirs, medieval "danses macabres", the French "poets maudits",
expressionist theater and, ultimately, sheer terror.
If English is your first language and you could translate this text, please contact me.
|