Don Harriss
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Elevations (Sonic Atmospheres, 1987) 5/10
Vanishing Point (Sonic Atmospheres, 1988) 6/10
Abacus Moon (Sonic Atmospheres, 1989) 7/10
Shell Game (Sonic Atmospheres, 1990) 6/10
Mysterium (Sonic Atmospheres, 1992) 5/10
Higher Elevations (Sonic Atmospheres, 1995) 4/10
Europa (Sonic Atmospheres, 1995) 4/10
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Don Harriss è uno dei macchiaioli elettronici della new age che hanno alle spalle un passato intenso nella musica rock.

Harriss, nato a Saint Louis, ma trasferitosi a San Francisco con i genitori, crebbe nell'era degli hippie. Aveva studiato pianoforte classico fino a quattordici anni e aveva persino suonato per un anno nell'orchestra sinfonica di stato, quando lo spirito creativo dei tempi lo distrasse per sempre dalla sua carriera classica. A sedici anni suonava già nei club e a venti lasciò il college per dedicarsi al rock con uno dei primi complessi hippie, i Liberty Street. Alla fine di quell'esperienza Harriss, specializzatosi nelle tastiere elettriche, si trasferì in Canada al seguito prima di Ronnie Hawkins e poi di Pat Travers, quest'ultimo destinato a diventare una star.

Quando la fortuna di Travers cominciò a declinare, Harriss aprì bottega in California come compositore di colonne sonore e di documentari per grandi aziende e commercial televisivi. Affascinato da un lato dalla nuova strumentazione elettronica e dall'altra dalla new age a cui era stato iniziato dagli amici George Winston e Steven Halpern, Harriss ebbe l'illuminazione di fare musica new age per elettronica.

Elevations venne subito accolto con favore grazie a un sound curatissimo e alle melodie quasi folk di Improptu, La Promenade e soprattutto Leaving Sedona. La sua formazione classica emerge chiaramente in una sonata romantica come la title-track (punteggiata da un sequencer). Il panorama è completato dalle inflessioni africane di Reunion e da quelle sudamericane di Mi Cuatito. L'ondulare cadenzato di Motion #4, l'andamento onirico di Caravans e più ancora il lungo excursus esotico di The Tortoise The Temple And The Rain sono brani minimalisti che si conservano lievi, leggiadri, delicati e insolitamente movimentati. Harriss è uno dei primi a capire che esiste un punto d'incontro fra il minimalismo e la musica elettronica guidata dal sequencer, anche se da un punto di vista più ritmico che armonico.

Facendo leva sulle melodie semplici della musica folk e sul colore ricco della musica classica, e sfruttando gli ultimi ritrovati digitali, Vanishing Point pervenne a un pop tanto personale quanto surreale, tanto spontaneo quanto volitivo, per esempio in Invitations and Just Around the Bend. Lo spirito dei Sixties, quel contemplare radioso la maestà della Natura con l'animo stracolmo di sensazioni estatiche, si intuisce in Morning Glory, non lontana dalle atmosfere sognanti degli It's A Beautiful Day, e Sunlight Samples; nonché nella novelty-parodia di The Rajah's Tea Party.

Lo stile di Harriss è ora il manierismo del manierismo, il barocco del barocco della new age. I brani, come l'incantevole Pirouettes And Promises sono danze leggiadre di melodie e di ritmi elettronici, rigurgitano di effetti impressionistici, come nei tintinnii di Just Around The Bend, si dilatano in formalismi sempre più perfetti, come nei cicli di variazioni della title-track.

Che l'arte di Harriss consista sostanzialmente in una manipolazione artificiale delle strutture formali dell'emozione è confermato da Abacus Moon, dove gli effetti sono ancor più calcolati. Melodie memorabili come quelle di Crystal Canyons vengono sfruttate fino all'osso da una delle menti più lucide della new age, che non affida nulla al caso. Ciascuna di queste "canzoni", per quanto semplice e lineare possa sembrare, è costruita con cura maniacale assemblando diversi spunti. Alchemist, per esempio, alterna un ritmo di sequencer a una melodia con contrappunto basso e infine un valzer per pianoforte.

Ma in generale i brani non hanno molto sviluppo in orizzontale, bensì in verticale: Inventions saltella su un tema orecchiabile che viene ripetuto ogni volta con un'"orchestrazione" diversa, ora scimmiottando un'arpa contrappuntata dai tintinnii dissonanti e quasi metallici dell'elettronica ora facendo pensare a un metallofono caraibico; i travestimenti camaleontici dell'orchestra di Cloud sono attentamente calcolati per generare il massimo di emozione da un minimo di ritornello. Sono sempre cascate di suoni deliziosi che si intrecciano l'un l'altro secondo geometrie perfidamente suadenti.

In Porcelain Sky, in Southern Lights e in Escapade (a ritmo di reagge) e soprattutto nella title-track viene invece fuori il pianista, e sembra di tornare alle sonate romantiche di Elevations. In Sea of Storms compone persino un omaggio a Philip Glass. Abacus Moon costituisce forse il vertice della carriera di Harriss.

In Shell Game ancora una volta ad esaltare il suo talento melodico è soprattutto l'orchestrazione caleidoscopica. Questa volta Harriss si avvale di un ensemble di tutto riguardo, capitanato da Peter Maunu alle chitarre. Il sound è più maestoso, sereno, celestiale che mai: le canzoni si susseguono in perfetta armonia, ricamando nel nulla le loro lente silouette e lasciandosi alle spalle una traccia lieve e impalpabile di ritornelli. C'è però un tocco esotico più marcato in Arabesque e nella title-track. Blue Dancer si apre all'insegna del jazz e dei Caraibi ma presto si apre in un corale estatico che in breve lascia spazio al tema melodico del pianoforte. Il languore estremo di The Quiet Pool e il sinfonismo tragico di Gates of Atlantis redimono comunque qualsiasi caduta di tono. Bridge Across The Night corona il disco con un ritono al metodo delle mille variazioni di Abacus Moon.

Mysterium continua la progressione verso un suono sempre più composito ed elaborato eppure all'insegna della semplicità. Le sue melodie sono ancora più orecchiabili, al limite della filastrocca per bambini e delle marcette militari. Lo spessore sinfonico e la purezza cristallina della produzione contribuiscono all'effetto di immediatezza.

Qualche brano (Julian) ha la forza, l'intensità, l'irruenza di un concerto di pianoforte e conferisce al disco nel suo insieme un carattere più drammatico dei precedenti. E' un suono che sa come spalancarsi in spazi romanticamente orchestrali e classicheggianti (When Statues Dance). Anche le melodie più orecchiabili, come Return To Half Moon Street (un altro dei suoi capolavori), sono velate di una tenue malinconia. La title-track conferma questa tendenza verso toni più "scuri" e "spessi", ma si concede anche qualche licenza di effetti sonori più spaziali del solito (peraltro moderati da un ritmo sofficissimo di piatti). Di umore invece decisamente solare e disimpegnato è la marcetta di Isle Of Light, che apre il disco.

Un canzoniere che vanta gemme del calibro di Elevations, The Tortoise The Temple And The Rain, Vanishing Point, Bridge Across The Night, Abacus Moon, Inventions e soprattutto Crystal Canyons costituisce uno dei risultati più importanti della new age per invenzione melodica e maturità espressiva.

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