- Dalla pagina su Jun Yan di Piero Scaruffi -
(Testo originale di Piero Scaruffi, editing di Stefano Iardella)
Il compositore cinese Jun Yan (1973) è uno dei musicisti della laptop generation che esplora la convergenza tra le tecniche di scultura del rumore che provengono dalla concrete musique e le tecniche di improvvisazione che provengono dal jazz.
Improvisation in Shanghai (Kwan Yin, 2004) è stata una collaborazione dal vivo tra Yan (su elettronica, campionamento e registrazioni sul campo), il duo Other Two Comrades (Huan Qing su kalimba e chitarra digitale e Chen Zhipeng alle percussioni) e il quartetto Top Floor Circus.
Tie Guan Yin è un duo con Wu Quan dedito alla musica improvvisata dal vivo, documentato su Viva La Vaches (Kwan Yin, 2006) e Live at 798 Cubic Art Center (Kwan Yin, 2006).
Sono lunghe sequenze creative di suoni artificiali, sinfonie concrete che possono variare dal quasi silenzio alla cacofonia assordante.
Impossible Live at Thinker Cafe 2003 (Sub Jam, 2006) documenta un'improvvisazione dal vivo con FM3 e Wu Quan.
Jun ha anche formato i Pisces Iscariots con Dajuin Yao e Li Jianhong.
Live At 2pi Festival 2004 (Sub Jam, 2006) documenta uno dei loro spettacoli dal vivo, una performance continua di 44 minuti: un vento freddo che emerge lentamente dalle colate di lava è interrotto da campioni di conversazioni e strumenti atonali.
Music For Listening On The Moon (Subjam, 2011) era la versione di Jun della musica cosmica e ambient, un aggiornamento intelligente per il nuovo secolo dell'elettronica degli anni '70.
Yan ha anche suonato nel Tea Rockers Quintet, un supergruppo con il cantante Xiao He, il suonatore di cetra guqin Wu Na e il polistrumentista Li Daiguo, documentato per la prima volta su Ceremony (EnT-T, 2012), apparentemente una versione in otto fasi della cerimonia del tè, guidata dal maestro del tè Lao Gu. Dopo l'ouverture di quasi silenzio (One, le languide note della cetra danno origine a un po' di contrappunto e strimpellate vivaci in Two. La pizzicata pigra è interrotta in Three da ululati sciamanici, droni elettronici appena udibili e percussioni trance, creando un effetto più simile alla musica psichedelica che alla musica classica cinese, e il tutto si trasforma in una frenesia clownesca in quello che è uno dei gesti più criptici dell'album. Four riparte dal nulla: il suono di una goccia che ticchetta in una grotta, a cui la cetra risponde con pizzicate irregolari e il cantante con un modo di cantare simile a un mantra.
Nonostante le abilità virtuosistiche di ogni suonatore, la specialità del quintetto è assemblare suoni come se fossero gioielli preziosi, uno alla volta, senza mai affollarli in spazi ristretti, senza mai sovrapporli uno sull'altro. E' quello che fa Seven, che sembra per loading più un antidoto ai densi arrangiamenti multistrato che erano diventati popolari nella musica rock. Tutti questi pezzi evocano stati d'animo piuttosto che azioni reali di una cerimonia. Ciò cambia con l'ultimo pezzo, Eight, dove gli archi intonano una sorta di balletto e i suoni gutturali del cantante fluttuano attorno a essi. All'improvviso questa diventa una vera e propria danza popolare, ma anche questa scompare rapidamente in un mare di nulla elettronico.
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