1. El pisito
Compiuti con mediocri risultati gli studi medi nella città natale
(Milano), Marco Ferreri si iscrisse alla facoltà di veterinaria, ma a venticinque anni la passione
per il cinema lo spinse a fondare una rivista filmata di cultura, fallita la quale il giovane irrequieto, che
nel frattempo ha anche prodotto un film a episodi di Zavattini, abbandona la madrepatria per andare a
impiantare un commercio di attrezzature cinematografiche. Fallita anche questa iniziativa, e ridotto alla
fame, Ferreri incontra lo scrittore Rafael Azcona, erede della secolare tradizione spagnola di humor nero,
che gli suggerisce il soggetto per il suo primo film, El Pisito (1958).
La situazione esasperante di due fidanzati che non possono sposarsi
perchè non trovano un appartamento viene assunta a pretesto per una rappresentazione macabra e
grottesca (lui sposa un'anziana padrona di pensione per ereditarne la casa, ma la vecchia non muore mai)
e per una feroce satira del matrimonio (lui si affeziona alla vecchia, materna e comprensiva, mentre alla
sua morte la nuova moglie instaura un regime autoritario poco invitante), che si può leggere
anche come metafora eversiva nei confronti delle istituzioni, dell'ordine, della normalità.
L'ipocrisia borghese (tutti accettano il sacrificio degradante del fidanzato) si annichila però nella
morte: il cimitero si erge come un immane contenitore dei valori borghesi. Il rapporto fra i due sessi
è simbolicamente asimmetrico: il maschio, succube e annoiato, svogliato e sentimentale; la donna,
fredda e calcolatrice, garante dell'ordine borghese, repressiva e opprimente.
2. El cochecico
Il film è un altro insuccesso; per un po' Ferreri sbarca il lunario alle
Canarie; poi torna a Madrid e gira Los Chicos (1958), un film di ragazzini di provincia
sequestrato dalla censura franchista. Dopo un'infausta avventura nel deserto del Sahara il catastrofico
regista dirige il suo terzo film, El Cochecito (1960), sempre con Azcona, conferma di
un'acida caustica anarchica visione del mondo, derivata dai racconti dell'orrore e da Buñuel.
Un anziano che ha passata la vita a sacrificarsi per la famiglia
fa i capricci perchè vuole una carrozzella; potrebbe così unirsi agli amici paralitici che
scorazzano per la città, ma il figlio non vuole saperne, per rispetto del suo decoro borghese e per
taccagneria; il vecchio se la compra allora pagando con i gioielli di famiglia, ma il figlio, venutolo a
sapere, minaccia di farlo ricoverare e interdire, e va a farsi restituire i gioielli; quando i gendarmi lo
arrestano chiede soltanto se in prigione gli lasceranno tenere la carrozzella.
Il film descrive la paralisi e la furia autodistruttiva della borghesia (figlio e
padre desiderano l'uno la morte dell'altro); esalta un atto di tenera e feroce ribellione nei confronti
dell'ordine repressivo e prevaricatore; rivendica uno spazio vitale per gli emarginati; espone il
razionalismo assurdo ma coerente che conduce al crimine, alla follia, alla morte. Ferreri ha ormai
raggiunto lo stile della maturità, che consiste nell'invertire i rapporti fra lgi individui (è il
vecchio sano a invidiare gli invalidi, sono i giovani a morire) e che ritorna sempre a tre momenti
importanti: la morte (la sequenza iniziale nel cimitero), il denaro (con il suo potere costituzionale), la
religione (i crocefissi barocchi che infestano tutti gli interni).
17.
3. L'ape regina
Fatti un po' di soldi, Ferreri li spende girando per l'Europa. Torna in Italia nel
1962 dove riprende e amplia i temi della sua grottesca ideologia sociale, portandosi appresso il fido
Azcona e scoprendo la maschera tragicomica di Tognazzi, destinato a diventare il suo Fernando Rey.
L'Ape Regina (1963) sferra un altro corrosivo attacco contro
l'istituzione del matrimonio e le convenzioni sociali.
Ambientata in un ambiente romano bigotto fino al
parossismo, pullulante di frati e di suore, la storia racconta l'unione fra un commerciante di mezza
età e una vergine devota, la smania di rapporti carnali subito dimostrata dalla sposina, il
progressivo prosciugamento morale e fisico del maschio, l'ultima soddisfazione della donna quando
scopre finalmente di essere incinta, la prostrazione del marito che adesso non viene più degnato di
uno sguardo e viene considerato quasi un ingombro inutile, la morte in solitudine il giorno del parto.
Il bersaglio preferito di Ferreri è quello di Buñuel: la borghesia
cattolica e conservatrice; il suo maschio vittima e la sua femmina divoratrice non rispecchiano comunque
il maschio vergine-bruto e la femmina vergine-martire di Buñuel, ma entrambi i registi tendono a
imperniare i loro film sull'asse che congiunge i due ruoli astratti. Ferreri ha messo a punto la struttura
dell'apologo; i personaggi stanno perdendo il loro spessore psicologico per diventare pure astrazioni; la
trama porta fino in fondo il paradosso dell'assunto, e sbocca inevitabilmente nella morte; se l'umorismo
macabro, la satira di costume e l'allegoria sociale, il realismo grottesco sono i costrutti fondamentali del
linguaggio cinematografico di Ferreri, l'anarchia atea e antiborgehse (buñueliana), la misoginia
(antropologica) e la paura della morte ne definiscono la semantica.
Molière, il teatro dell'assurdo, Pirandello, Zavattini concorrono qua e
là alla rappresentazione, ma è soprattutto nell'espressionismo beffardo e paranoico dei
racconti di Kafka che è riposto il senso di questi film, in cui si fronteggiano sempre un mostro (la
personificazione dell'ordine sociale) e un escluso (il piccolo borghese maschio succube e inerme). La fame
e la morte dominano, come in un affresco medioevale o in un trattato antropologico, i rapporti fra gli
individui.
4. La donna scimmia
La Donna Scimmia (1964) capovolge i ruoli e dirige contro la
disumanizzazione pratica affaristica.
Un napoletano che vive di espedienti scopre in un convento
una donna brutta e pelosa; la prende con sé e allestisce un numero d'attrazione, che consiste nel
presentarla al pubblico come una donna scimmia; la poveretta accetta mitemente di essere rinchiusa in
gabbia e di dover mugolare al pubblico (la imbarazza soltanto doversi mostrare poco vestita),
perchè ha bisogno di affetto e sogna che lui la sposi; finisce che lui deve cedere, se non vuole che
lei rifiuti di continuare la mascherata; però, quando ormai è diventata un'attrazione
internazionale, muore di parto con il neonato; il marito si tiene i due cadaveri imbalsamati per allestire un
nuovo spettacolo.
Nei due anni successivi, per problemi con i produttori, Ferreri gira soltanto due
episodi:
Il Professore [(1964) satira di vita borghese] e Break-up [(1966)
esperimento linguistico e dramma capitalista].
Il fantascientifico
Marcia Nuziale (1966) comprende quattro
episodi sulla decadenza dell'istituto matrimoniale e in particolare sulle aberrazioni causate dal ritualismo
dell'intimità (Tognazzi sposa una donna robot).
Il film successivo viene alterato in fase di doppiaggio, snaturando il signicato
originale: L'Harem (1967) chiude la trilogia del matrimonio e segna anche la fine del
primo modo stilistico di Ferreri.
18.
Una ragazza colta ed emancipata alla vigilia delle nozze
confessa al fidanzato di avere due amanti e di non voler rinunciare ad essi, secondo un privilegio
tradizionale dei maschi; in casa si instaura quindi un harem alla rovescia, con una femmina e tre
concubini (più un amico); quando però lei decide di piantarli tutti e tre, si accordano e la
scaraventano giù da una rupe.
5. Dillinger è morto
Dillinger è morto (1969) inaugura la nuova fase del cinema
di Ferreri, caratterizzata da uno stile neutro, da reportage fiabesco,
astratto nello spazio e nel tempo, vicino al "noveau rómàn"
francese. L'opera indaga il tema della crisi d'identità e
dell'alienazione dell'uomo enlla società industriale, dove la morte
è frutto di un'autodistruzione progressiva e cosciente, dove la morte
è l'apoteosi dell'angoscia e del fallimento. La caustica ironia di
Ferreri rivela sotto la superficie un amaro pessimismo esistenziale sulle
capacità di sopravvivenza dell'uomo nella civiltà tecnologica.
In particolare Ferreri ritrae la borghesia abulica, soffocata
dall'infelicità quotidiana nell'ambito domestico, regredita a uno stato
d'imbecillismo permanente, e istiga all'eversione violenta.
Il marito frustrato uccide per gioco e s'imbarca per avventura.
Un impiegato di mezza età rientrando la sera ha la ventura di trovare la
moglie a letto con un'emicrania e, mentre cerca di prepararsi la cena, di
imbattersi in una vecchia pistola; trascorre un po' di tempo in un'accurata
opera di restauro, guarda la televisione, cerca invano di parlare con la moglie;
fa l'amore con la cameriera; l'insonnia lo spinge di nuovo in salotto: vernicia
la pistola di rosso e la carica; va in camera da letto e spara tre colpi alla
moglie addormentata; all'alba fa le valigie e fugge; dalla spiaggia osserva un
funerale marino; raggiunge il veliero a nuoto, s'informa sulla destinazione
(Tahiti) e si offre di sostituire il defunto.
6. Il seme dell'uomo
Il Seme dell'Uomo (1969) amplifica a dismisura i temi della
morte e dell'autodistruzione, prefigurando l'apocalisse della civiltà umana come estremo e totale
rifiuto del sistema.
Il film prende l'avvio quando la fine è già
cominciata: in tutto il mondo la gente sta morendo; due sopravvissuti, un uomo e una donna, si sono
isolati in una capanna in riva al mare, alsciandosi alle spalle le macerie delle metropoli e le cataste di
cadaveri insepolti; giocano sulla spiaggia, rivedono le immagini del cataclisma; lui cerca di conservare la
loro civiltà, della quale la loro casa dovrebbe diventare un museo permanente, e decide anzi di
farla continuare, mettendo al mondo altri esseri umani; ma lei si oppone decisamente all'idea di avere un
figlio; e quando arriva una ragazza disposta ad esaudire i desideri del maschio, non esita a squartarla e a
servire le sue carni come pietanza; il maschio allora la feconda con la violenza (nel sonno dopo averla
drogata); una mina li fa saltare in aria.
Ferreri condanna l'intera umanità alla distruzione, e a conclusione di
un lento processo di tortura reciproca; dilaniati dal terrore dell'estinzione (lui) e dalle ripulse della
coscienza (lei), si tormentano l'un l'altro invano: un'esplosione li spazza via in un attimo. La ragione
anarchicamente illuminista di Ferreri nega anche lo stato di natura, nega sé stessa, nega l'intera
umanità; il processo in corso di dissoluzione dei valori non può che determinare il crollo
dell'ultima fede: quella nella sopravvivenza della propria razza. Con atroce rigore denuda gli istinti
bestiali dei suoi protagonisti, il loro attaccamento alle proprie convinzioni, feroce fino al
cannibalismo.
19.
7. L'Udienza
Dalla fantascienza apocalittica al "Castello" di Kafka.
L'Udienza (1971) è un apologo sul rapporto di incomunicabilità
instauratosi fra l'umile cittadino e un potere che è ormai un mostro abnorme e indecifrabile di
dogma e di paradosso.
Un giovanotto arriva a Roma per comunicare al Papa un
segreto di vitale importanza; nessuno lo prende sul serio, anche se tutti lo trattano con benevolenza;
l'attesa si protrae per i corridoi del palazzo vaticano come una lunga agonia, finchè il giovane
muore; un altro visitatore sta cominciando la stessa trafila.
La solitudine e l'impotenza: l'angoscia.
Un altro testo letterario, un racconto di Ennio Flaiano, ispira
La Cagna (1972) che da una doppia citazione,
il suo Dillinger è Morto per
l'uomo che ha abbandonata la famiglia e scelto di vivere su un'isola e l'antonioniano Zabriskie Point, ricava una favola, al solito grottesca e feroce, che rivolta la crisi della coppia:
L'uomo (Mastroianni) soffre la solitudine, cerca compagnia nel
suo cane, la bella fata (Deneuve) comparsa per incanto sbrana il cane e ne prende il posto a tutti gli effetti.
C'è una volontà viscerale di stare insieme in due; ma i risultati non sono pari alle
intenzioni; dopo un ridicolo tentativo di far prendere il volo al vecchio scassato aereo colorato i due si
abbandonano alla morte per inedia.
Né la solitudine né la coppia, né l'integrazione borghese
né l'eversione anarchica, possono soddisfare l'animo umano; è una riflessione pessimista,
la morale sfiduciata di una favola amara (che è poi la realtà di tutti i giorni sperimentata
da tanti individui), sull'insoddisfazione esistenziale a cui è condannato l'uomo moderno.
8. La grande bouffée
La fame e la morte straripano nella pagana rappresentazione de
La Grande Bouffe/ La Grande Abbuffata (1973), allegoria "rabelaisiana" delle tendenze
autodistruttrici della borghesia nella società del benessere, atroce
profezia apocalittica, grottesco provocante e repellente.
Quattro amici dell'alta società organizzano un week-end dissoluto in una
vecchia villa, basato su un banchetto ininterrotto durante il quale mangiano
ogni sorta di specialità gastronomica; quando cominciano ad annoiarsi,
invitano tre prostitute e un'insegnante; l'orgia di cibo e di volgarità
degenera però a tal punto che dopo un paio di giorni le prostitute se ne
vanno e l'insegnante rimane sola a soddisfare le voglie dei quattro maschi;
presto però la festa comincia ad essere intorbidita da nausee con vomito,
da indigestioni con deiezioni, da dissenterie con abbondanza di escrementi;
dopo otto giorni e otto notti di tanta goduria, ingozzati di cibo, muoiono uno
dopo l'altro, e l'insegnante rimane sola.
Questo suicidio collettivo assume tinte tanto più sinistre quanto
più degradante sono le loro morti e quanto più determinata la loro
volontà di andare fino in fondo. Il cerimoniale consumistico viene
rispettato alla lettera, il cerimoniale mondano
invece scompare nella libera anarchica soddisfazione dei propri appetiti.
Ferreri è all'apice del suo humor nero e della sua acredine moralista.
Tutte le morti immaginate da Ferreri seguono un itinerario criminale che
porta all'omicidio premeditato,
passa per l'incidente e approda al suicidio volontario; e per infierire ancor più ferocemente sulle
sue vittime, Ferreri fa precedere il suicidio da un supplizio; è un'escalation della violenza che si
rivolge sempre più direttamente contro il criminale stesso, fino al punto che non gli basta
più togliersi la vita, vuole prima
vomitarla e defecarla per essere ben certo che non gliene rimanga traccia alcuna.
Alla donna Ferreri riserva ancora una volta il ruolo di serva del potere, di angelo distruttore.
9. La derniére femme
Con la parodia dissacrante del western
Touche pas la Femme Blanche/ Non Toccare la Donna Bianca (1974)
Ferreri si concede un altro
capriccio di citazione.
Questa volta il tema è preso dalla leggenda del West:
la strage di Little Big Horn; Ferreri trasferisce l'episodio nelle Halles di Parigi, un quartiere in via
di demolizione, mascherando da indiani i sottoproletarie senza casa e da soldati gli speculatori edili;
l'allegoria è trasparente; e bidirezionale: demistifica la cavalleria e denuncia i massacri
metropolitani; ma il film è un divertissement bonario con partecipanti di lusso (Tognazzi,
Mastroianni, Deneuve e tanti altri).
La Derniere Femme/ L'Ultima Donna (1976) ritorna invece ai rapporti fra maschio e
femmina e all'allegoria sul potere.
Un ingegnere separato dalla moglie s'innamora di
un'insegnante del figlio (Ornella Muti); fra i due ha inizio un tormentato rapporto in un modernissimo e
claustrofobico appartamento-alveare della periferia parigina; lui famelico, lei frigida, i due si torturano a
vicenda; alla fine l'uomo, frustrato dall'abulica indifferenza della compagna, si evira con un coltello
elettrico.
Entrambi hanno un ruolo ambiguo. Lei rappresenta da un lato la trasgressione
nei confronti del potere e dall'altro la società alienante e frustrante; lui da un lato il potere
arrogante e conservatore, dall'altro l'individuo che cerca di conservare la propria natura umana nella
società industriale disumanizzante. La logica autodistruttiva di Ferreri si realizza in questo circolo
vizioso, in questo doppio rapporto sadomaso che affonda nella torbida spirale di un doppio suicidio
sessuale: l'ostentata frigidità di lei e l'evirazione di lui. L'atto sacrificale dell'uomo li riconcilia,
spezzando il cerchio e rimuovendo di netto lo strumento mediante il quale si esercita o si fa subire il
potere; i due piangono, ora soltanto più vittima entrambi.
Rispetto all'altro film da camera (per interni) Dillinger, questo finale
è pervaso di ottimismo e di rinnovata fede nella
solidarietà umana. Bergman e Antonioni sono saltati dal bisogno disperato di combattere la
solitudine da "cella di alveare":
pur di abbattere l'incomunicabilità, pur di ottenere
comprensione, pur di riempire quel vuoto, si può anche sacrificare la parte antropologicamente
importante del proprio corpo.
10. Ciao maschio
Con Ciao Maschio (1978) Ferreri ambienta nella metropoli per
eccellenza, New York, un altro grottesco della solitudine, rispolverando
l'animalismo allegorico dei primi film italiani.
Protagonista è un giovane elettricista dal cuore d'oro
che si divide fra un museo delle cere, ricostruzione animata dell'antica Roma, e un teatrino off-
Broadway; ogni giorno esce dallo squallido scantinato in cui abita e gira in bicicletta alla ricerca di
materiale per il museo; il giorno di Natale uno scherzo con le femministe del teatro degenera in diatriba
antimaschile: colpito alla nuca, viene condannato ad essere stuprato dalla più docile delle ragazze,
che per la verità ne è anche innamorata; i suoi amici, a cui concede caritatevolmente il
suo tempo libero, sono tutti anziani: una vedova, un negro e un italiano (quest'ultimo un patetico anarco-
individualista asmatico che coltiva un orticello in mezzo ai grattacieli); passeggiando con loro scopre sulla
spiaggia la carcassa del gigantesco gorilla King Kong, e una scimmietta indifesa che adotta seduta stante
e a cui procura anche una madre, la ragazza che l'ha stuprato e che va a vivere con lui, senza peraltro che
intercorrano fra loro altri rapporti sessuali. La metropoli è invasa dai topi, il giovane fa
l'amore per compassione con la vedova, il direttore del museo
viene obbligato a truccare le statue da uomini politici contemporanei, l'italiano si impicca nominando suo
unico erede lo scimpanzè, la ragazza gli rivela di essere incinta (in conseguenza dello stupro) e lo
lascia quando lui le consilgia l'aborto (non ha il coraggio di allevare un figlio in questo mondo), lo
scimpanzè viene sbranato dai topi, il direttore impazzisce e si fa pugnalare dal giovane contro la
statua di Nerone cammuffata da Nixon, il musseo prende fuoco e il giovane si lascia bruciare vivo; seduta
nuda sulla spiaggia, la ragazza gioca con la bambina neonata.
Il passaggio delle consegne dal mostro King Kong, maceria della civiltà
di plastica, e la bambina originata da uno stupro, speranza di un mondo migliore, avviene attraverso la
morte di due figure di Gesù moderni: il giovane, quasi chapliniano o desichiano nei suoi eccessi di
bontà, e lo scimpanzè, caricatura di Gesù bambino; il primo si lascia perire
nell'incendio simbolico della sua civiltà, il secondo viene divorato dai topi, peraltro anch'essi
simolo della civiltà deforme che li ha generati; la civiltà romana e la civiltà
americana, il museo di cere e New York, agonizzano l'una nella sua atrofizzata longevità, l'altra
nella sua orrenda disumanità. Altrettanto significativi i suicidi dei due poli sociali opposti:
l'emarginato (italiano, anarchico, vecchio) e il capitalista (borghese, uomo di potere); la lotta di classe si
disintegra nella macina della Storia: proletariato e capitalismo sono residui fatiscenti di una
civiltà in via di estinzione.
Il film termina in una strage di innocenti, tutti maschili: sei morti (contando
anche King Kong e lo scimpanzè) contro zero; e l'essere che gioca fra le rovine è una
bambina. Ferreri nega ogni futuro al maschio (Ciao maschio, appunto). L'antinomia
maschio-femmina è il simbolo-cardine del sistema logico di Ferreri: il maschio conserva la parte
di umanità attiva, nel bene e nel male, la parte che tenta di mutare i rapporti con la natura,
responsabile di tutto ciò che di nobile e di indegno l'umanità ha creato nel corso della
Storia; mentre la donna rappresenta la parte di istinti naturali, la natura umana come stimolo genetico, a
estinguersi o a procreare, ad amare o ignorare, a vivere o a morire, a comportarsi passivamente secondo
un'ineluttabile legge di selezione naturale.
È la donna perciò che, istintivamente, senza disquisizioni o
stimoli ideologici, ma semplicemente ubbidendo alla sua natura (sempre mascherata da femminismo),
crea il futuro. Mentre il maschio illuminista, depositario della ragione, dopo aver cercato sollievo
intellettuale in un'identificazione fra dio uomo e scimmia, dopo aver invano ipotizzato un ritorno
all'età della scimmia, vittima della deformità della società, stravolto dal
fallimento, lui solo sensibile alla crisi dei valori, si suicida.
La fantasia iperrealista di Ferreri ha composta con Ciao Maschio una
sinfonia tumultuosa, densa di sketch e di personaggi, in due movimenti: un
"adagio" sentimentale e un "presto" apocalittico. In questo secondo movimento soprattutto il
cinema di Ferreri si rivela come cinema di sottile equilibrio: equilibrio fra realtà e
immaginazione, equilibrio fra naturalismo marcusiano e idealismo hegeliano, fra socialismo e
individualismo, fra archeologia e fantascienza, fra farsa e tragedia, fra filosofia e poesia, fra maschio e
femmina. Ferreri incastona la storia umana (da Nerone a Nixon) dentro la storia naturale, e svuota di ogni
significato l'apocalisse di una società per seguire il millenario evolversi della specie.
Dal punto di vista figurativo Ferreri tocca l'apice della sua arte
nell'affrescare l'immane cimitero fallico di New York, ridotto a officina di
demolizione di miti (da King Kong a Nerone), necropoli, castello kafkiano,
labirinto borghese.
11. Chiedo asilo
Giunto dalla satira antiborghese a una religione biologico-cosmica
dell'apocalisse, fondata su un singolare bipolarismo sessuale antropologico-sociologico, Ferreri punta tutto
sui ragazzini, gli innocenti del Vangelo, non ancora alienati e corrotti dalla società tecnologica, e
soprattutto asessuata.
Chiedo Asilo (1979) racconta la storia di un
giovane maestro d'asilo anticonformista, Roberto Benigni, che tenta di applicare metodologie pedagogiche
più naturali, tali da preservare la sincerità e la spontaneità dei bambini ed
è benvoluto da tutti; la sua ragazza tra l'altro è incinta, ma lui è più
affezionato a uno scolaretto che si rifiuta di parlare e di mangiare, forse perchè questo bambino
sembra più deciso degli altri a non lasciarsi sedurre dal mondo degli adulti, a non voler crescere; e
a un precoce violinista scappato di casa, che il maestro ospita nella sua umile abitazione; quando la
ragazza partorisce sulla spiaggia, il piccolo muto parla, invitando Benigni a suicidarsi con lui in
mare.
La tenera e malinconica maschera di Benigni accresce il senso di assurdo ma
addolcisce il cinismo di Ferreri. D'altro canto il mondo dei bambini si integra bene sia con l'ideologia
pangenetica di Ferreri sia con il suo stile cinematografico, per strisce e gag, con tutti gli squilibri (di
immagine e di dialogo) del genere. Il mondo dell'infanzia gli consente incursioni nell'immaginario
televisivo, in quello favolistico, in quello cinematografico; e si presta anche per il marcato contrasto con la
società (la fabbrica in cui lavorano i genitori, oggetto di una gita scolastica). Inoltre il bambino
è ciò che rimane dopo che i membri della coppia si sono annientati nella loro sterile lotta
per il potere; il bambino è infine il futuro; il ricambio generazionale.
Se la donna e l'uomo percorrono il loro solito itinerario simbolico (lei
naturalmente spinta a procreare, lui destinato a morire dopo aver compiuto il suo dovere e aver cercato di
cambiare la società), si delineano due nuove costanti del cinema di Ferreri: il maschio buono e
innocente (il Totò desichiano, lanciato verso il Chaplin di The kid e il
Gesù dei Vangeli, profeta anarchico) e il mare (limite estremo del mondo reale e della vita).
I film di Ferreri si fanno sempre meno grotteschi, ma sempre più
psicanalitici e sempre più sentimentali. In fondo non fanno che ripetere, con tono sempre
più disperato, l'angoscia di morte del regista.
12. Storie di ordinaria follia
A sorpresa il film seguente,
Storie di Ordinaria Follia (1981),
è un coacervo di oscenità (verbali e gestuali) tratto da racconti di Charles Bukovskij.
Un anziano scrittore di Los Angeles conduce vita dissoluta:
sempre ubriaco, e sempre affamato di sesso (soprattutto di quello adolescente); vive in una misera
cameretta a spese della consorte, prostituta; durante i suoi vagabondaggi incontra una bionda ninfomane
che poi lo denuncia, un'enorme vedova dentro la cui vagina tenta di penetrare con tutto il corpo, e
soprattutto la giovane prostituta masochista (Muti) che va a vivere e a dividere le sue angosce con lui (si
perfora la guancia, tenta di tagliarsi la gola, si cuce la vagina); al ritorno da una squallida visita agli
intellettuali di New York la trova morta; sulla spiaggia recita poesie a un'altra adolescente, che si spoglia
davanti a lui.
La fatiscenza barbara del poeta irrazionale, che cerca di allontanare il pensiero
della morte (quella spiaggia invalicabile) dilapidando il suo sesso, oscurando il cervello, cercando di
ritornare nell'utero materno, contornandosi di giovanissime, si situa nell'ambiente squallido dellAmerica
moderna.
13. Storia di Piera
Storia di Piera (1983) è un altro passo indietro. Ferreri
prende a pretesto l'autobiografia di un'attrice moderna, che ebbe un rapporto particolare con la madre,
una ninfomane ricoverata in manicomio, per lasciarsi andare a una digressione figurativa sul panorama
dell'apocalisse: città vuote e glaciali, la clinica kafkiana, la solita spiaggia. L'ennesima analisi di
una follia, o anomalia, femminile è il pretesto per descrivere l'ennesimo disfacimento dell'ordine
familiare.
23.
14. Il futuro è donna
Il Futuro è Donna (1984) è una
grossa metafora sulla modernità; le peripezie di due donne, l'una (Schygulla) integrata nella
società, con marito affamato di sesso, spese al supermercato, e lavoro in una cineteca, e l'altra
(Muti) incinta, folletto uscito dal nulla per la quale non esiste né passato né futuro ma solo
il suo presente di donna incinta. Alla fine del loro "viaggio" l'uomo muore in modo farsesco, mentre
Schygulla si tiene il bambino e Muti si incammina da sola verso un'altra tappa della sua missione.
L'ennesima astrazione di Ferreri si serve di un ennesimo caos di scene
didascaliche. Il suo universo, per lasciar spazio a tale coacervo di simboli mitologici, si sta però
svuotando di sentimenti.
Ferreri è un visionario anarchico, praticante dell'assoluto negativo,
contraddittorio e volgare, poeta del Caos e fustigatore della moralità. La crisi dei valori lo ha
divertito a lungo: rideva degli spasmi atroci che affliggono la borghesia, giocava con la disperazione degli
alienati; quando l'età lo ha condotto sul litorale dell'infinito, ha capito che quella crisi era parte di
un malessere più universale, davanti al quale la borghesia è maggiormente indifesa, ma
che colpisce tutti quanti.
Sbalordito e spaventato dall'immane disegno della natura, qualunque cosa
cerchi ora di dire finisce sempre su quella spiaggia, là dove era morto King Kong, come
calamitato da un pensiero più forte di ogni altra cosa.
I Love You (1986) segnò il ritorno alla sceneggiatura di
Azcona; è una commedia satirica sulla crisi degli affetti e della virilità che continua la
tragicommedia maschile di Ferreri;
Un giovane si innamora dell'immagine di un portachiavi
elettronico che risponde "I love you" al fischio, ma in un incidente di motocicletta si
rompe i denti e non riesce più a fischiare (allegoria dell'impotenza sessuale); disperato, cerca di
andarsene su una nave, ma la nave se ne va senza aspettarlo.
Come Sono Buoni i Bianchi (1987) narra di
una spedizione in Africa per consegnare agli affamati un carico di viveri.
Vengono ospitati dal governo in
un albergo di lusso in mezzo al deserto e, quando viene loro inaspettatamente presentato il conto,
sacrificano una parte del carico. Della carovana fanno parte un'olandesina frustrata e un camionista
italiano che restano bloccati in un'oasi da un'avaria e si innamorano, ma vengono sbranati dai
cannibali.
Picaresco, polemico nei confronti dell'Occidente "salvatore", sarcastico
nei confronti dei buoni sentimenti.
La Carne (1991)
La Banquette/ Il banchetto di Platone (1991)
La Casa del Sorriso (1991)
Diario di un Vizio (1993)
Faictz ce que Vouldras (1994)
Nitrato d'Argento (1996)
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