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Giovanni Pastrone, cresciuto in una delle prime società
cinematografiche italiane, realizzò nel 1914 il dramma greco-romano-punico di Gabriele
d'Annunzio Cabiria, servendosi di una scenografia monumentale e di immani masse di
comparse, il capolavoro del kolossal storico-mitologico. La storia di Pastrone e le didascalie del vate, dalle
quali più che le commoventi peripezie della giovane Cabiria (due volte sul punto di essere
sacrificata agli dei) risaltano le mirabolanti imprese dello schiavo Maciste; scomodati Archimede (che
come da copione incendia le navi romane) e Annibale (che valica le Alpi in groppa agli elefanti), nei
migliori numeri della storia greca e romana, Pastrone si abbandona a tumultuose scene di massa (i riti nel
tempio, la caduta di Cartagine) crogiolandosi nel fasto della cartapesta e dei marmi (la battaglia navale,
l'eruzione del vulcano).
Dopo Cabiria, che aveva introdotto nel cinema la carrellata e la panoramica,
oltre a un uso accurato e suggestivo delle luci, Pastrone si dedicò al personaggio di Maciste, il
più popolare del cinema italiano, erculeo e coraggioso schiavo di colore che sopravvisse al suo
autore ed ebbe numerose risurrezioni fino al secondo dopoguerra.
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