A History of Cinema

by Piero Scaruffi

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Indice generale

Il cinema d'appendice

La fotografia, un processo basato su una semplice reazione chimica, era diventata di dominio comune dopo l'invenzione del dagherrotipo di Daguerre (1839). Applicando il principio di Plateau (1829), secondo cui ogni immagine colta dall'occhio umano persiste per un decimo di secondo, si poterono mettere a punto diversi apparecchi in grado di fornire l'illusione del movimento facendo scorrere più di dieci disegni al secondo davanti allo spettatore. Soltanto quando (1885) George Eastman inventò la pellicola di celluloide (al posto delle antiquate lastre di rame) le due scoperte si poterono fondere: Thomas Edison costruì (1888) il cinematografo, una macchina fotografica che riprendeva rapidamente molte fotografie una dopo l'altra su un'unica striscia di pellicola, e il cinetoscopio, una grande ruota sul cui bordo erano attaccate le fotografie e che lo spettatore faceva girare con una manovella mentre guardava dentro un buco fisso in un punto del bordo. Il decennio successivo fu ricco di invenzioni tese a perfezionare la tecnica, una vera frenesia dell'immagine in movimento che si inseriva nella più generale frenesia per le macchine, in quegli anni venivano brevettati nuovi apparecchi per i più svariati usi, dall'agricoltura alla guerra, praticamente a getto continuo.

I fratelli Louis e Auguste Lumière coniarono il termine "cinematografo" e costruirono nel 1895 la prima sala cinematografica al "Gran café" del Boulevard des Capucines a Parigi (28 dicembre 1895). A differenza degli altri precursori, i Lumière concepirono il nuovo apparecchio come qualcosa di più di un mero strumento per proiettare immagini in movimento; quello che gli altri considerano un semplice esperimento ottico per i Lumiere diventa subito un'occasione di spettacolo e un investimento commerciale. Anche i pochi che si erano cimentati in pubblico con le loro invenzioni non erano andati al di là di un debole surrogato del varietà, delle marionette, del circo; esponevano il mostro per stupire e divertire con la novità, e facendo leva unicamente sulla curiosità, ma ovviamente il pubblico dopo la prima volta non aveva motivo di tornare a vedere la stessa cosa.

I Lumière invece capirono che l'interesse per il trabiccolo in sé durava poco, mentre cresceva l'interesse per ciò che veniva proiettato (fumetti, sketch, documentari); neanche loro ebbero comunque la consapevolezza dell'importanza dell'invenzione.

Il successo vertiginoso dei Lumière (a gennaio aveva conquistato Parigi senza l'aiuto della stampa, a febbraio a Londra, a marzo a Bruxelles, ad aprile Vienna e Ginevra, a giugno Madrid Belgrado e New York, a luglio San Pietroburgo e Bucarest; prima della fine del 1896 i loro operatori erano sbarcati in tutti i continenti, e a New York non bastavano ventun operatori per soddisfare le richieste del pubblico. Sbaragliati i concorrenti, Edison per primo e fra gli altri anche Reynaud, i Lumière furono però a loro volta duramente colpiti dalla tragedia dell'incendio del Bazar de la Charité, in cui perirono un centinaio di spettatori, con la quale il cinematografo, ancora non ben accetto dalla stampa e dai ceti alti, si guadagnò una pessima reputazione, tanto che, rilanciato in grande stile dall'Esposizione Universale, fino al primo dopoguerra rimase al livello di intrattenimento per i ceti inferiori.

I Lumière uscirono di scena nel 1900, quando vendettero i diritti dell'invenzione all'uomo d'affari Charles Pathé, convinti che il cinema non avrebbe avuto lunga vita. In realtà molte cose stavano cambiando: era nata una nuova concorrenza, non di inventori ma di autori che proponevano pellicole più interessanti di quelle ormai antiquate dei Lumière; continui progressi tecnici rendevano sempre più piacevole ed efficace la proiezione. Il commercio e l'industria erano attratte dall'incredibile popolarità che il nuovo spettacolo si era conquistato in pochi anni; nei salotti culturali si discuteva sulle possibilità artistiche del cinematografo; si apriva sulla stampa la polemica sugli effetti del nuovo tipo di spettacolo; la mentalità dell'uomo comune, messo di fronte a una perfetta riproduzione di sè stesso in due dimensioni, subiva un trauma inconsapevole, paragonabile a quello di un uomo che si veda per la prima volta allo specchio; il cinema mutava il rapporto tra il proprio mondo e il mondo di tutti, come ogni forma di informazione, com'era successo con i giornali e come sarebbe successo con la radio, mutando i rapporti di spazio e di tempo; si offriva come contributo fondamentale alla conservazione del passato (sia in chiave nostalgica sia in chiave storica), ben oltre la scrittura e la fotografia, e come potente strumento della fantasia, un facile mezzo quindi per sfruttare il valore della memoria e del sentimento, e formidabile agente psichico; le reazione del pubblico (l'ilarità dirotta davanti a banali incidenti quotidiani, la viva emozione davanti a sciagure e sofferenze, la partecipe attenzione davanti a scene di vita comune) portavano ad immaginare il cinema come una possibile estensione del teatro, mentre la facilità di svolgere un'azione portava a considerarlo il naturale successore del romanzo.

Innumerevoli direzioni di sviluppo si presentavano agli aspiranti uomini di cinema; e il cinema, nato fra scienza e capitalismo (le due branche più spietate e pertinaci della civiltà novecentesca), si apprestava a percorrerle tutte.

Il primo a sfruttare le possibilità espressive del cinema e ad andare oltre lo stereotipo "Lumieriano" di un minuto fu Georges Melies, mentre i primi a sfruttarne seriamente le possibilità commerciali furono Leonard Gaumont e soprattutto Charles Pathe';, l'uno fabbricante di macchine fotografiche, l'altro commerciante di fonografi. Dal 1896 produssero film in concorrenza servendosi di laboriosi artigiani come Ferdinand Zecca, correndo dietro i gusti del pubblico e invadendo in breve i mercati mondiali.

Il cinema del 1900 era fatto da uomini di teatro, ma copiava il romanzo d'appendice; commedia e tragedia trasferiti sullo schermo si trasformavano in puntate ricche di episodi, o troppo goliardici o troppo truci, troppo sentimentali o troppo eroici, di facile presa sul pubblico, che sovente aveva una continuazione; Louis Feuillade portò alla massima perfezione il cinema d'appendice tragico, mentre Mae Linder fu il primo comico a puntate, ed Emil Cohl applicò la prassi al disegno animato.

Nel 1908 venne istituita la Société Film d'Art, che si proponeva di trasferire sullo schermo i capolavori teatrali. Per anni l'Europa fu così invasa di riduzioni letterarie, che divennero ovunque le opere più viste. La Société ebbe il merito storico di rendere rispettabile il nuovo medium...

Fino alla fine della prima guerra mondiale il cinema francese dominò il mercato mondiale; ma poi declinò velocemente, battuto dalla concorrenza americana, e molti suoi registi finirono per trasferirsi negli Stati Uniti.


Louis Lumière e Ferdinand Zecca

L'inventore del cinematografo fu anche l'autore di una quarantina di pellicole (negli otto anni, dal 1894 al 1903, in cui si dedicò alla produzione cinematografica); le prime dieci, presentate nella celebre serata del 1895, erano brevissimi documentari di vita quotidiana (come La sortie des usines Lumière à Lyon), ma già un mese dopo faceva parte del repertorio una scenetta comica, L'arroseur #arrosé, con la gag più famosa del mondo (il monello che schiaccia il tubo di gomma, il giardiniere perplesso che porta all'occhio l'imboccatura del tubo, il monello che toglie il piede, il giardiniere innaffiato), e negli ultimi anni Lumière tentò anche trasposizioni storiche e letterarie; fu il primo a usare il primo piano (Le déjeuner de bébé) e la profondità di campo (d'un Arrivée train).

Ferdinand Zecca, braccio destro di Pathé, diresse anche, fra il 1901 e il 1906, decine di film corrivi, in cui seguiva, più che l'ispirazione, i gusti del pubblico; specializzato in commedie borghesi, drammi passionali e soggetti storici, che si distinguono per il brio e il taglio brutale di certe scene (elementi di più facile presa sul pubblico poco raffinato delle sale popolari), scelse i soggetti dai settimanali illustrati, affrontando i problemi che più impressionavano la gente (Histoire d'un crime) e trasse sovente lo spunto dai romanzi di Zola (La victimes de l'alcoolisme)02; la sua opera più impegnativa fu La vie et la passion de Jésus Christ, di insolita lunghezza; Zecca fu il propugnatore di un realismo tragico, e su questa strada indirizzò i registi che ebbe in seguito ai suoi ordini, dando inizio a una scuola importante del cinema francese.


Georges Melies
Louis Feuillade
Emile Reynaud e Emile Cohl

I pionieri del cinema d'animazione furono, oltre a Méliès, Emile Reynaud e Emile Cohl.

Il primo, sperimentatore ottico fin dagli anni settanta, allestì nel 1888 un ingegnoso "teatro ottico" mediante il quale proiettava strisce di disegni che egli stesso realizzava con commovente passione (ciascuna era costituita da circa settecento immagini colorate); in esse trattava i soggetti che avrebbero ispirato anche i primi registi: la vita quotidiana, gli episodi storici, le scenette comiche. Pittore e poeta dotato di grande sensibilità fu tradito dal pubblico che al suo prezioso artigianato preferì la diabolica invenzione dei Lumière e, dopo aver distrutto tutte le sue opere, (salvo Pauvre Pierrot, protagonisti maschere nei ruoli tradizionali, e Autour d'une cabine, ambientato sulla spiaggia fra lirici stormi di gabbiani e comiche zuffe di bagnanti), finì in un ospizio, dove morì come Méliès, povero e dimenticato.

Più fortuna ebbe Emile Cohl che esordì nel 1907 e introdusse il disegno animato nel cinema, inventando di fatto il cinema di animazione nella sua veste definitiva; più che per il tratto nitido e i nuovi procedimenti tecnici, i cortometraggi di Cohl si distinguono per la vivace fantasia che li anima, facendo sovente ricorso al repertorio dell'assurdo (disegni che si creano da sè), e per l'umanizzazione degli animali, una delle sue tante idee che divennero degli stereotipi del genere. Pescò in ugual misura dalla letteratura classica e dalla vita quotidiana, ma eccelse soprattutto dove seppe piegare questi spunti alla sua fantasia surreale: Drame chez le fantoches, Le baron de Crac. Meno sperimentatore e meno poeta di Reyneaud, è già autore classico, tutto teso all'azione e al comico.


Il cinema romantico storico

Il Colossal

Il cinema si diffuse in tutta Europa e in America grazie dapprima alle numerose proiezioni dei Lumière all'estero e alle diverse invenzioni della concorrenza. In questa prima fase il cinema è gestito direttamente dagli inventori stessi, Lumière e Edison in testa. Ma in breve la generazione degli artigiani viene superata da una generazione di commercianti e piccoli industriali, che gettano le basi per un'industria cinematografica. Sono modesti capitalisti molto intraprendenti che allestiscono dei capannoni per le riprese, assumono un personale per lo più non qualificato, e organizzano a poco a poco delle strutture di distribuzione. I primi registi sono autodidatti provenienti principalmente da due categorie: ottica e teatro; i primi giungono al cinema sviluppando sovente proprie invenzioni, i secondi tentano di imporre il cinema come un'evoluzione del teatro (di prosa o di varietà). Diretti a un pubblico di estrazione proletaria o piccolo borghese, il cinema non vanta comunque personalità di grande statura intellettuale. Il film conquista rapidamente le platee di mezzo mondo per due motivi: l'immagine muta è un linguaggio comprensibile a tutti, senza distinzioni di lingua, di costume o altro; il fatto che il film sia fatto da personaggi di cultura medio-bassa fa sì che la sua sintassi risulti assai semplice (documentario, comica o racconto). Il cinema è uno spettacolo facile, divertente e dopo la prima grossolana industrializzazione, poco costoso.

Negli Stati Uniti, dove la forte immigrazione aveva come conseguenza una popolazione eterogenea con non pochi problemi di comunicazione e il benessere economico metteva in grado anche i meno abbienti di spendere in divertimenti, il cinema trovò il suo mercato più vasto e naturale. L'industria europea si diresse quasi subito verso il mercato americano, ma fu sbaragliata in breve tempo da quella locale; sicché, quando il fenomeno si invertì e fu il cinema americano a invadere l'Europa, molti registi preferirono passare dall'altra parte della barricata, cioè emigrare. Mentre negli Stati Uniti nasceva il trust cinematografico e si scatenava la battaglia per il suo monopolio, in Inghilterra la nuova arte si diffondeva grazie all'iniziativa di amatori, come quelli della scuola di Brighton; mancando una seria organizzazione, la cinematografia inglese fu facile preda di quella francese prima (Pathé e Gaumont) e di quella americana dopo. Gli inglesi si erano specializzati nei reportage romanzati e nello sketch del varietà; dal primo genere (che propinava una dovizia di incendi e rapine) avrebbero attinto il cinema realista americano (Porter) e tutti i film ad inseguimento, mentre al secondo si sarebbe ispirato Chaplin. Il cinema inglese ebbe anche il grosso merito di spargersi per il Commonwealth, in Canada, Australia e India in particolare.

In tutta Europa dilagarono le riduzioni letterarie; a parte l'Inghilterra, che puntò molto sulla trasposizione di soggetti teatrali come rimedio contro l'invasione straniera, il cinema letterario ebbe grande successo in Italia.

I generi che si svilupparono in Italia, dove il cinema era spartito fra aristocratici e teatranti, furono le messe in scena maestose, i melodrammi passionali e i serial sentimentali. Questo cinema romantico toccò il vertice alla vigilia della prima guerra mondiale; il cinema italiano poi, sfasciato dalla guerra e dal fascismo, si sarebbe spento lentamente.

Il kolossal, nato come film storico in costume (Gli ultimi giorni di Pompei di Caserini) e trovata nell'antica Roma l'epoca ideale (Quo vadis di Grazzoni), trionfò con i film di Pastrone; era la naturale esibizione dell'antica grandezza di Roma da parte di un'aristocrazia in via d'estinzione e la continuazione sullo schermo dei fasti dell'opera teatrale. Le storie d'amore che nascevano dall'incrocio fra tardo romanticismo, verismo borghese e decadentismo dannunziano e che univano, su soggetti per lo più famosi (dalla Signora delle camelie alla Anna Karenina), il passionale e il mondano (sentimentalismo e lusso) lanciarono le dive fatali (Francesca Bertini), attrici bellissime e ambiziose, drammatiche e sensuali fino al ridicolo, modellate sulla falsariga della grande Eleonora Duse e Sarah Bernhardt. La loro rivalità stuzzicò il pubblico più di quanto lo affascinassero le vicende dei loro filmacci. Il capolavoro di questo genere fu Ma l'amor mio non muore di Mario Caserini. Martoglio anticipò invece il neorealismo con Sperduti nel buio (1914), dramma verista incentrato sull'amore di un cieco per una giovane della malavita che vorrebbe redimersi, analogamente la Bertini con Assunta Spina.

Nel serial solo Emilio Ghione ottenne risultati originali con i suoi pittoreschi film gialli ad episodi in cui interpretava Za la Mort, un criminale sentimentale e gentiluomo, sulla falsariga di Fantomas (I topi grigi, 1917).

Il futurismo di Marinetti contaminò poco il cinema coevo, eccezion fatta per Thais (1916) di Anton Giulio Bragaglia che, quale estrema fusione dei due generi principe, melodramma e Kolossal, integrò con la libertà linguistica emanata dai manifesti scene drammatiche e scenografie allucinanti anticipando il tetro gusto espressionista.

Ma furono il kolossal e le dive a rendere celebre il cinema italiano all'estero; entrambi influenzarono direttamente quello di Hollywood e furono quindi strumentali nello sviluppo della nuova arte. Allo scoppio della guerra il cinema italiano godeva di una popolarità internazionale senza eguali.

Il Cinema Fascista

Il fascismo (andato al potere nel 1922) creò nel 1925 l'Istituto LUCE, che negli anni trenta impose la produzione nazionale. Alla crescita quantitativa fece però riscontro una brusca caduta qualitativa; i film si attestarono o sul fronte propagandistico o sul fronte sentimentale.

Nel primo caso nacquero film retorici di esaltazione patriottica, o eredi dei colossal storici (Scipione l'Africano di Carmine Gallone) o inni alle italiche imprese nelle colonie africane (Squadrone Bianco di Augusto Genina sul tema dell'infelice in amore che parte volontario per un avamposto nel deserto e Angelo Serra pilota di Goffredo Alessandrini, dove Nazzari è un reduce della Grande Guerra che sbarca il lunario facendo il pilota di aerei da turismo e, quando cerca di uscire dall'anonimato con un'impresa storica, fallisce miseramente; deluso, si offre volontario per la Libia, dove si riabiliterà sacrificando eroicamente la propria vita per salvare quella del figlio).

Nel secondo caso videro invece la luce commediole pudiche e strappalacrime (cinema dei telefoni bianchi), aventi per protagoniste dattilografe e sartine spensierate, prototipo è della commedia brillante (La segretaria privata di Alessandrini); Mille lire al mese (39, sceneggiatore Luigi Zampa), cinema di lusso e di evasione ambientato a Budapest nel mondo televisivo; erano tenui vicende di amori contrastati, allegre e patetiche, frutto dell'amore crepuscolare del dopo Bohème, sull'onda del successo di Addio Giovinezza, la commedia del 1911 che fu un po' il prototipo del genere.

L'attore preferito dalle folle era il galantuomo intrepido e ardente, l'uomo buono, forte, generoso e coraggioso cavaliere galante e paladino della giustizia che il regime additava ad esempio e le giovani sognavano di sposare (così Amedeo Nazzari). Il genere passionale durò praticamente fino agli anni 50 (Catene di Matarazzo).

Anche il genere operistico fu rigoglioso (Casta Diva di Carmine Gallone sull'infelice passione del musicista Vincenzo Bellini per un'aristocratica sposata).

In quest'ottica di lancio del cinema nazionale fu concepita anche la fondazione di Cinecittà, la Hollywood di Roma, e fu istituita (1932) la Mostra di Venezia.


Giovanni Pastrone

Il realismo liberale

Il cinema americano nacque nella primavera del 1896, con le prime proiezioni newyorkesi di Edison; Edison si assicurò il monopolio, scacciando, con metodi più o meno leali, gli emissari di Lumière, venuti a presentare al pubblico americano la ben più perfezionata invenzione francese, e poi combattendo a suon di cause i concorrenti locali in una guerra senza risparmio di colpi che durò un decennio. Le moving pictures assunsero perciò fin dal principio una notevole importanza economica, ed Edison le organizzò in una rigida struttura industriale, che stipendiava un nugolo di acrobati e teatranti e sfornava in continuazione pellicole a basso costo da distribuire a piene mani a un pubblico sempre più affamato di film. Realizzate in uno studio del New Jersey (ma con esterni girati anche in Alaska e a Cuba, per riprendere la corsa all'oro e i campi di battaglia) e proiettate nei music-hall di Broadway (ma dal 1898 un po' ovunque anche in sale adibite unicamente allo spettacolo cinematografico), le moving pictures rivoluzionarono in pochi anni la pratica del divertimento di massa in tutte le grandi città americane.

Nel 1900 nacquero i nichel-odeon, i teatri popolari in cui per cinque centesimi si poteva assistere a un film (sei anni dopo ce n'erano diecimila in servizio); le moving pictures invasero persino l'Europa, rubando il mercato ai francesi, mentre i generi (attualità, avventura, comico, giallo, romantico, animazione, etc.) andavano proliferando e cristallizzando nelle forme proto-classiche. Alla diffusione mondiale del cinema americano e alla conseguente crisi delle cinematografie europee fece seguito una massiccia immigrazione di talenti stranieri, soprattutto francesi. I progressi tecnici, dovuti a pionieri come James Blackton, consentirono una rapida maturazione dei soggetti, tanto che una personalità come quella di Edwin Porter poté manifestarsi già nei primi anni.

Ma la grande svolta per il cinema americano fu rappresentata dalla corsa alla California, (ricca di paesaggi e indiani autentici), iniziata nel 1908, per effetto della quale Hollywood, un tranquillo sobborgo di Los Angeles, divenne la capitale del cinema mondiale.

Tra gli uomini d'affari, i registi e gli attori che disertarono New York per trasferirsi a Los Angeles, vi fu Adolph Zukor; questi, ungherese emigrato alla fine del secolo, era arricchito cominciando con un umile nickel-odeon e fondò nel 1914 la Paramount, il primo colosso di Hollywood. Seguirono nel 1915 la Universal e la Fox, nel 1920 la Metro-Goldwin-Mayer, nel 1917 la Warner Bros. e nel 1924 la Columbia, quasi tutte rette da immigrati venuti dal nulla. Gli immigrati furono protagonisti anche dei serial americani, nati sull'onda del successo di Fantomas, e Louis Gasnier ne fu il principale protagonista.

Allo scoppio della guerra Hollywood pullulava di studios, ed era già iniziata la guerra fra i produttori. La guerra fu un altro grosso incentivo per la crescita del cinema americano: la propaganda nazionalista e lo spettacolo mozzafiato dei film di guerra attizzarono l'interesse del pubblico nazionale, mentre la nuova crisi delle cinematografie europee favorì un'ulteriore espansione all'estero. Quest'epoca densa di avvenimenti politici, sociali e di costume culminò cinematograficamente con le straordinarie personalità di David Griffith, Cecil de Mille e Thomas Ince. Durante la guerra l'Europa smise di produrre film: se nel 1914 gli USA producevano il 50% dei film mondiali, nel 19#. la percentuale era salita oltre il 90%. La cultura americana, in cui il teatro era poco profondamente radicato, utilizzò subito il cinema come uno spettacolo a sé stante; anzi, per esigenze commerciali tese proprio a differenziarlo dagli altri tipi di spettacolo. Gli americani, avvantaggiati anche da una mentalità più dinamica e moderna, e meno inibiti da pregiudizi nei confronti di un'arte nuova e popolare, seppero sfruttare l'invenzione meglio dei francesi, ai quali peraltro dovevano tutto dal punto di vista tecnico (salvo quello che dovevano agli italiani).

Il cinema fino alla guerra ritrae lo spirito e la vita dell'epoca, l'epoca in cui trionfa l'economia liberale, e in cui la società americana, con la tipica componente individualista, dimostra i suoi primi mali (la violenza, fisica e morale, su tutti).


James Blackton e Louis Gasnier

James Blackton fu il più illustre dei pionieri del cinema americano, quegli avventurosi che giravano film sui tetti di New York e riprendevano documentari della guerra di Cuba; dal 1903 fino alla crisi del 29 decine di filmetti vari, coi quali inaugurava la grande cinematografia americana; del repertorio avevano parte film comici, film letterari, film di guerra (The battle cry of peace) con tanto d'invasione tedesca dell'America, disegni animati (The haunted hotel che lo pone con Cohl e Reynaud fra i progenitori del cinema d'animazione), e soprattutto scenes of true life, in cui per primo pone un freno alla ridicola retorica mimica degli attori. Per quanto ancora a metà strada fra il cinema d'appendice e il cinema realista, Blackton è il primo grande di Hollywood.

Louis Gasnier, francese emigrato prima della guerra, lanciò il serial americano nel mondo con The exploits of Elaine, in tutto una cinquantina di episodi; imperniati sulle avventure di una bionda eroina (Pearl White), i film facevano ricorso agli espedienti soliti del giallo: fughe sui tetti, ladri giornalisti e detective, bombe, gioielli, automobili... uno spiegamento completo dell'arsenale dei trucchi per tenere il pubblico col fiato sospeso, più una ragazza sbarazzina per tingere di rosa il tutto.


Edwin Porter
David Griffith
Thomas Ince
Cecil De Mille

Attori

Sarah Bernhardt 844

.......Eleonora Duse 858

Lilian Gish 896

Asta Nielsen 883

Ingrid Bergman 915

Greta Garbo.............905# C2729

Pola Negri 897

Emil Jannings 884

Marlene Dietrich 904

Gloria Swanson 898

Douglas Fairbanks 883

Mary Pickford 893

Louise Brooks 00


Rudolph Valentino

Il Cinema Naturalista

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Ole Olsen e Carl Magnusson furono i distributori che, rispettivamente nel 1906 e nel 1909, cominciarono a diffondere il cinema in Scandinavia, in Danimarca il primo, in Scozia il secondo. Mentre i primi registi svedesi subirono in modo determinante l'influsso del naturalismo mistico di Strindberg, i danesi, privi in patria di una simile figura artistica, si sbizzarrirono in tutte le direzioni, compresa sì anche la strindberghiana analisi della vita e dei costumi di provincia, ma senza lesinare incursioni nelle altre letterature europee e tenendo sempre ben presente il modello americano di cinema spettacolare; mentre alla corte di Magnusson si erigeva così una cinematografia di carattere prettamente nazionale, gli sguatteri di Olsen recepivano le istanze del cinema internazionale.

La guerra favorì i paesi nordici (non belligeranti), i cui film circolarono, in mancanza d'altro, nelle sale del continente, facendo concorrenza agli altri speculatori bellici, gli americani. Durante la guerra perciò il cinema svedese godette di un periodo di notevole vitalità, che favorì e preparò l'avvento della grande scuola svedese (Sjostrom. Stiller, Brunius , Molander).

La Danimarca invece continuò a seguire diverse strade, ma nello stesso periodo (dall'inizio della guerra agli anni venti) impose alcune caratteristiche che sarebbero emigrate, con i loro ideatori, a Hollywood, come il dramma mondano e il divismo femminile (August Blom, Urban Gad) oppure che anticipavano l'espressionismo tedesco, (il decadentismo di Holger, Madsen, il surrealismo di Christensen, il simbolismo di Dreyer).

Il cinema svedese continuò sulle tracce del teatro naturalista e della saga nazionale; un cinema capace di riflettere sul dramma e non soltanto di usarlo come elemento spettacolare; un cinema capace di gestire tanto spazi chiusi quanto spazi aperti, tanto spazi vuoti quanto spazi pieni.


August Blom e Urban Gad

The biggest events of the season 1910–1911 were the Danish films

August Blom diede inizio alla cinematografia artistica danese con una serie di riduzioni da opere letterarie e una cospicua collaborazione con i più popolari attori teatrali danesi dell'epoca. Quando cambiò genere e dedicarsi al melodramma, il suo stile di regia emotiva conferì grande risalto agli interpreti, rendendoli famosi sulle platee internazionali.

He directed the 33-minute Den Hvide Slavehandel/ The White Slave Trade (1910), an adaptation of Elisabeth Schøyen's novel "Den hvide Slavinde" (1905), and its 45-minute sequel, Den Hvide Slavehandels Sidste Offer/ In the Hands of Impostors (1911).

Dal dramma sociale (Ved Faengslets Port, 1911) passò alle messe in scena grandiose, con l'ambizioso Atlantis (1913), an adaptation of Gerhart Hauptmann's novel.

Urban Gad diresse the 37-minute Afgrunden/ The Abyss (1910), film doppiamente importante perché capolavoro del dramma sociale danese e perché esordio come protagonista di Asta Nielsen, l'unica diva dell'anteguerra. Il film narra la fuga da casa di una giovane affascinata dal circo, il suo amore per un cowboy, il tradimento di questi e la sua uccisione ad opera della giovane folle di gelosia; il soggetto portava due novità nel cinema: il tema insediano dell'emancipazione femminile e un erotismo spiccato, tipico delle attrici nordiche ma bandito dal puritano cinema americano; l'analisi della passione amorosa e della gelosia anticipa i ritratti femminili del cinema tedesco, e contrasta vivamente col mito domestico della donna hollywoodiana. Nel film viene anche rappresentato l'ambiente del circo, cioè il mondo dello spettacolo.

His wife Asta Nielsen played a child in the comedy Engelein/ Little Angel (1913).

Christian Wahnschaffe (1921), an adaptation Jakob Wassermann's novel, contains two parts: Weltbrand/ World Ablaze (1920) and Die Flucht aus dem Goldenen Kerker/ The Escape from the Golden Prison (1921).


Forest Holger

Forest Holger diresse durante la guerra film caratterizzati da atmosfere oniriche nere e decadenti, e da tecniche di ripresa di grande effetto. Con le seconde anticipò la sintassi filmica dell'espressionismo, mentre con i suoi soggetti contorti e morbosi si situò a metà strada fra un cinema stilizzato ed etereo e il cinema d'avanguardia. Toccò il fantasmagorico (Opium sdrommen),l'occulto (Spiritisten) e la fantascienza (Himmekskibet).


Benjamin Christensen
Gustaf Molander
John Brunius

John Brunius impersona le due facce del cinema muto svedese: lo studio dell'ambiente paesano e la rievocazione storica. Al primo filone appartiene Sjnnöve solbakken, poetico e rigoroso, mentre del secondo genere sono le messe in scena grandiose degli anni venti, fra cui Fänrik stals sägner, in cui folklore nazionale e analisi psicologica trovano il giusto equilibrio.


Victor Sjostrom
Mauritz Stiller
Carl Dreyer

L'Espressionismo

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Nel 1918 (mentre a Berlino era in corso la rivoluzione comunista e la Bavaria si era proclamata repubblica socialista) i socialdemocratici avevano fondato la repubblica di Weimar; Weimar soffocò in breve la rivoluzione spartachista ed instaurò un regime democratico, per quanto precario (diciassette governi in quindici anni), e non alieno da secolari spinte autoritarie (che tenevano un pugno di ferro tanto le scuole quanto l'esercito).

L'immediato dopoguerra fu per la Germania un periodo di grande vivacità culturale.

Nel 1917 Albert Einstein formula la sua teoria della relatività generale; nel 1919 Walter Gropins fonda il Bauhaus, tempio del razionalismo europeo; nel 1922# il teatro epico di Bertold Brecht assurge a rilevanza nazionale. E nel frattempo continuavano a manifestarsi gli effetti delle grandi idee dell'ultimo ottocento: il marxismo e la psicanalisi di Freud.

Lo spirito dell'epoca è però ancora raccolto nell'espressionismo, nato nei primi anni del secolo; il teatro espressionista (Wedekind, Raiser, Toller) mette in scena un clima visionario e immerge nel buio personaggi ai quali sono stati affidati monologhi esaltati, da ripetere con una recitazione esasperata.

Sino al primo conflitto mondiale il mercato cinematografico tedesco fu conteso fra francesi, italiani e americani. Durante la guerra le tremila sale di proiezione della Germania furono invece appannaggio dei produttori neutrali (come gli scandinavi), ma nel contempo ebbe inizio la produzione nazionale, parte (per esempio nell'opera di Joe Mouy) per imitazione dei modelli stranieri (serial polizieschi, avventure esotiche, melodramma, riduzione storica), parte per fini di propaganda bellica (l'UFA, nata nel 1917) e parte infine per effetto dell'intervento degli uomini di teatro, stimolati dalle istanze dell'avanguardia ad interessarsi a un mezzo artistico tanto potente. Il mito dell'arte totale coinvolse alcune delle maggiori personalità teatrali.

L'epicentro del fenomeno fu inizialmente il Deutsches Theater, dal 1905 impero personale del regista Max Reinhardt. Egli stava sviluppando nuovi metodi di regia teatrale, culminati in grandi spettacoli di luci e marchingegni vari. Oltre a influenzare direttamente molti registi cinematografici della sua epoca, Reinhardt preparò anche una generazione di valentissimi attori, fra i quali Emil Jannings, il Faust più famoso del mondo, Werner Krauss, interprete prediletto da Wedekind, Conrad Veidt, Fritz Kortner, Ernest Lubitsch, Paul Wegener, e, una generazione dopo, Peter Lorre e Marlene Dietrich; oltre alla polacca Pola Negri, da lui importata proprio per il cinema. Dei registi teatrali propriamente espressionisti peraltro il solo Leopold Jesner, fu in qualche modo coinvolto nell'anonima avventura cinematografica.

La nascita dell'UFA e la disponibilità di tanti eccezionali attori generarono un rapido decollo della cinematografia tedesca. La crescita dell'UFA vertiginosa; e negli anni venti fu l'unica a poter competere con Hollywood. I film propagandistici si mutarono in satira e alla fine diedero origine alla commedia brillante (Lubitsch). I film d'arte diedero invece vita sovente a sfondo storico alla grande scuola espressionista, che, oltre a trasferire sullo schermo i tipici codici espressivi del genere teatrale, introdusse nuove tecniche per la scenografia (diventata elemento determinante dell'azione), per la recitazione e per la scrittura del soggetto, sovente ispirato a leggende (tipiche del medioevo germanico), all'annullamento del singolo nella collettività (la concezione tedesca della nazione come grande esercito) e a tutte le forme di anormalità, sessuale o mentale, fisica o morale. Il cinema espressionista sviluppò l'effetto drammatico degli oggetti, dell'illuminazione e dei movimenti della macchina da presa. In una parola fuse tutti gli elementi della rappresentazione cinematografica. Per esempio proiettare su uno sfondo simbolico l'ombra dei personaggi significa anche esplorare la parte nascosta della realtà, soprattutto quando i personaggi sono automi mostruosi e infelici, dilaniati dai sentimenti.

Il cinema tedesco innestò queste tematiche che l'avanguardia nella struttura del feuilletas nero d'origine francese e del melodramma popolare d'origine americana.

Il cinema espressionista si divise in tre filoni:

Il film del terrore: Zelnik Martin, Wegener, Wiene, Galeen, Leni, Lang.

Il film di strada: Grune, Czinner, Martin, May, Metzner, Murnau, Rahn.

Il film da camera: Lupu-pik, Robinson, Pabst. Piscator. Mittler, Dudow, Hochbaum von Rickter.

Il primo genere sfruttò fino in fondo i trucchi per generare la paura, con argomenti del tutto fantastici, a volte mediate dalla letteratura gotica di un secolo prima.

Il secondo era un tipo di cinema sociale, già alle soglie del realismo, derivato invece dal teatro di ribellione piccolo-borghese (Georg Kaiser).

Il terzo era la trasposizione del Kammerspiel, il dramma da camera, con pochi personaggi e un'intensa indagine psicologica, che si svolge in pochi interni, possibilmente angusti; il Kammerspiel teatrale fu rappresentato soprattutto da Reinhardt e Strindberg, mentre quello cinematografico si resse sulla figura di Carl Mayer, il più grande sceneggiatore del cinema tedesco, teorico del cinema privo di didascalie e in cui il tempo di proiezione e tempo dell'azione coincidono.

Il cinema espressionista in ogni sua manifestazione ebbe sempre spiccate caratteristiche di arte psicanalitica. E proprio perché espressione del subconscio collettivo, anticipò con sorprendente preveggenza la tragedia nazionale degli anni trenta (incubo nazionale). L'espressionismo fu comunque un fenomeno che si esaurì in fretta, anche se lasciò il segno nelle opere di tutti i suoi protagonisti. I serial tedeschi si distinsero da quelli francesi, italiani e americani per il gusto per il soprannaturale: Hammeulus#, l'uomo perfetto creato in laboratorio.

Nel periodo stabilizzato (intorno al 1930) della Repubblica di Weimar si diffusero moltissimi altri generi:

- il film di guerra (Niemansland di Victor Trivas, in cui cinque soldati fra loro nemici stringono fraterna amicizia);

- il film sui giovani (Mädchen in uniform di Leontine Sagan, sugli irreggimentati collegi femminili dell'epoca, Anne und der detektive di Lanyrecht);

- il film di montagna (Pitz Palü) di Arnold Fanch, esile melodramma sullo sfondo documentario, di grandi distese di neve e picchi inviolati);

- il film musicale (Leise fllehen meine lieder di Willi Forst, o Triebelei di Mac Oplsuls, tipiche operette viennesi) l'operetta vera e propria Der Kongress tanzt di Erik Charell, parodia del congresso di Vienna, e apologia dell'allegro popolo austriaco;

-.Il film biografico (Suarez di William Dieterle);

- il melodramma popolare (Die verrufenen di Gerhard Lamprecht);

- il film favolistico (Prinze achmed di Lotte Reiniger, animazione di ombre cinesi).

Il cinema della Repubblica di Weimar scoppiava di salute, ma non così l'economia della repubblica che, dopo la crisi del 1929, si vide tagliare i fondi internazionali che di fatto l'avevano tenuta in vita

L'avvento del nazismo (1933) significò per l'arte un'involuzione profonda e subitanea: il regime costrinse tutti i veri artisti ad abbandonare il paese, e diresse dall'alto l'operato dei mediocri mestieranti rimasti a corte.

Il cinema di regime comprendeva film sui giovani (Hitlerjunge Auer di Hans Steinhoff) film antisemiti (Jude Güss di Veit Harlan) film nazionalisti (Olympia di Leni Stiefenstahl).

L'estetica nazista predilige le coreografie truci e le masse di comparse, esalta il rituale collettivo, l'ordine e la gerarchia, la supremazia della razza ariana e della nazione tedesca.

Fino al crollo del nazismo il cinema tedesco non potrà progredire.


Paul Wegener
Robert Wiene
Paul Leni
Carl Mayer
Arthur Robinson
Karl Grune
Karl Martin e Paul Czinner
Fritz Lang
Friedrich Murnau
Karl Martin and Paul Czinner

Regista teatrale di grande levatura, Karl Martin si concesse pochissimo al cinema, ma il suo esordio, Von Morgens bis Mitternachts (1920), la trasposizione cinematografica del manifesto ribellista di Georg Kaiser, fornì un valido prototipo per il genere dei film di strada. Caratterizzato da una violenta parafrasi dei miti borghesi (culminante nella crocifissione, fisica e morale, del borghese), da una tensione spasmodica e da simbolismo esasperato, il film risulta forse l'opera più radicale di tutto il cinema espressionista.

Al film di strada appartiene anche Nju (1924) di Paul Czinner, ma con aspetti tipici del kammerspiel. L'introspezione psicologica assume caratteri addirittura intimisti e lo scrupolo per il dettaglio rimanda già a una sensibilità da realismo. Jannings (il marito) e Veidt (l'amante) sono alle prese con una donna insoddisfatta, un compromesso fra Anna Karenina e Madame Bovary; e in effetti il film ricorda sia i romanzi psicologici russi sia quelli naturalisti francesi. La collocazione del dramma in un ambiente agiato conferisce al film un messaggio meno radicale; proprio per questo però i film come Nju influirono sulla maturazione del melodramma mondano.


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