Scott Wilkie
(Copyright © 1999 New Sounds)

Abbiamo scambiato due parole con Scott Wilkie, veterano della scena musicale jazz ed elettronica ma giunto soltanto recentemente al disco con Boundless (Narada, 1999), una raccolta di undici atmosferiche e briose composizioni per piccolo ensemble che si distingue dalla media per il livello di professionalita` e maturita` che Wilkie vi dispiega.

Ci puo` riassumere la sua carriera?
"Sono cresciuto nel Michigan e presi lezioni di pianoforte durante tutta la mia infanzia. All'universita` studiai architettura per due anni, ma presto capii che la musica era la mia vera vocazione. Decisi allora di prendere una laurea in musica. Dal 1985 al 1991 guidai anche un complesso elettrico chiamato Separate Checks, che suonava principalmente i brani famosi dell'epoca e che aveva un certo seguito in Michigan. Mi divertivo un mondo: di giorno studiavo teoria musicale e di sera suonavo jazz sui palcoscenici. Nel 1991 un amico che lavorava alla Roland mi trovo` un posto come artista alla Roland di Los Angeles, dove vivo tuttora."

Quali sono state le principali influenze sulla sua formazione musicale?
"Prima di tutto metto il jazz contemporaneo, che e` la fonte principale di tutte le mie musiche. Poi citerei i cantautori che scrivono grandi melodie: Kenny Loggins, James Taylor, Michael McDonald (il tastierista dei Doobie Brothers). Ci sono naturalmente centinaia di musicisti che ascolto e che mi piacciono, ma questi sono quelli che hanno influenzato il mio stile. Il lavoro alla Roland mi ha consentito di sperimentare con gli strumenti, forse a un livello superiore di quanto possano fare gli altri musicisti. Essere "dentro" alla tecnologia ti offre sempre la possibilita` di vedere le cose da una prospettiva piu` tecnica. Prima impari tutto dello strumento, lo fai diventare il tuo miglior amico, ne esplori i lati piu` reconditi, e soltanto quando sei diventato un maestro lo usi per esprimere le tue emozioni. E` un lavoro che mi ha consentito di incontrare cosi` tanti musicisti e mi ha insegnato cosi` tanto dell'industria musicale. Per cui indirettamente ha contribuito enormemente ad ampliare i miei orizzonti musicali, a darmi idee per la mia carriera, a fornirmi le basi per comporre, arrangiare, produrre un brano di musica ai massimi livelli professionali."

Come nasce una canzone?
"E` diverso per ciascuna canzone. E` difficile descrivere il processo compositivo perche' ci sono cosi` tanti elementi che contribuiscono e di volta in volta i ruoli e la cronologia sono diversi. Quasi sempre il tema melodico guida il processo, ma alcune canzoni nacquero come un concetto armonico (una certa progressione di accordi) e la melodia prese forma da li`. Le tastiere elettroniche sono sempre protagoniste. Passo ovviamente molto tempo a rifinire il suono delle tastiere elettroniche. Quello che chiamo "sound design" consiste nello scegliere i timbri giusti, il che` implica provare e riprovare. E` molto piu` difficile di quanto sembri. E talvolta finisco per scegliere semplicemente il pianoforte a coda. Il pianoforte rimane tuttora il mio strumento preferito. Naturalmente la canzone non finisce con la melodia e l'arrangiamento elettronico. Mi sono circondato di grandi musicisti e il lavoro d'ensemble ha contribuito significativamente allo sviluppo delle canzoni. Essere nello studio con gente come John Patitucci e Paul Jackson fa una differenza enorme. Ogni loro intervento e` un atto geniale, e` esattamente quello che ci vuole per quel suono. E` incredibile che in certi casi questi musicisti hanno suonato le loro parti dopo aver ascoltato la base melodica una sola volta. Gli assoli sono improvvisati. Le uniche cose che ho scritto sono le melodie. Ho "diretto" gli arrangiamenti, ma tutto il resto e` piu` o meno improvvisato dall'ensemble. La batteria fu l'ultimo elemento ad essere aggiunto. Durante tutto il processo di composizione e registrazione avevamo usato ritmi elettronici. Penso che sia merito di tutti questi elementi se l'album organico e` venuto cosi` organico."

E` difficile trovare un tema unitario in questa raccolta. Si passa dalla travolgente galoppata funky di Sporty alla tenera nostalgia di Home Again, dalla swingante e giocosa Sailcats al boogie cadenzato Chasing The Dream, dalla fanfara esuberante di Those alla delicata serenata di Song For Shari, dalla frenetica ed elettrica Poolside alla fantasia sincopata di Water Balloons. Soltanto Nothing Yet rispetta le convenzioni del "soft-jazz". E Reverie sembra un brano dei pianisti acustici di musica new age.
"Le canzoni sono state composte nell'arco di dieci anni. E un secondo album e` gia` pronto, e spero di rimanere sempre un album avanti rispetto a cio` che ho pubblicato. Spero di poter sempre selezionare le canzoni migliori che ho e offrire il meglio di me. La varieta` stilistica e` pero` uno dei miei principi di vita. In futuro cerchero` di ottenere gli stessi risultati. Mi piace l'idea che l'ascoltatore sia sorpreso da ogni brano. I dischi che mi piacciono di piu` sono quelli in cui il musicista ti tiene costantemente sveglio, non quelli in cui smetti di ascoltare perche' e` sempre lo stesso stile."

Alcuni di questi brani strumentali sono praticamente "cantati" dalle tastiere, per esempio Rivertown
"La melodia costituisce la parte piu` importante della mia musica. Non so se "cantare" sia il termine giusto, ma le tastiere conducono la melodia, attorno a cui si sviluppa tutto il resto. Non c'e` musica senza melodia."


Artie Traum
(Copyright © 1999 New Sounds)

intro
Artie Traum e` sulle scene dagli anni Sessanta. Con il fratello Happy fu infatti titolare di un duo di musica folk che animo` i palcoscenici del Greenwich Village durante la grande stagione del "Greenwich Movement", e poi di un complesso di folk-rock, i Children Of Paradise, che registrarono un solo album, Bear (MGM, 1967). Happy Traum era amico di Dylan, che infatti gli concesse una rara e ancora celebre intervista dopo l'incidente di motocicletta del 1967. Nel 1969 usci` il loro primo album in duo, che venne salutato dalla critica come uno dei capolavori del genere. Il duo continuo` per tutti gli anni Settanta a sfornare album di ottima qualita`, ma ormai i tempi erano cambiati. Negli anni Ottanta, Artie Traum debutto` come solista e, dopo un paio di album dignitosi ma senza acuti, Life On Earth (Rounder, 1974) e From The Heart (Rounder, 1980), sfondo` con Cayenne (Rounder, 1986), una raccolta di dodici brevi acquerelli per chitarra acustica. Artie aveva appreso a suonare la chitarra dai grandi chitarristi jazz e quel disco rivelo` la sua capacita` di improvvisare. Da allora ad oggi il suo stile si e` fatto sempre meno folk e sempre piu` jazz. E il suo e` un jazz atmosferico, impressionista, molto interiore. La sua fama di superbo chitarrista ha un po' oscurato i meriti degli album solisti degli ultimi anni, Letters From Joubee (Shanachie, 1994), The View From Here (Shanachie, 1996) e il recente Meeting With Remarkable Friends (Narada, 1998).

Come si e` sviluppato il tuo stile chitarristico dai tempi del movimento folk agli ultimi dischi solisti?
"Per la verita` anche quando suonavo folk mi piacevano soprattutto il blues e il jazz. Si dava semplicemente il caso che io fossi un musicista bianco, e a quei tempi tutti si aspettavano che un chitarrista bianco suonasse il folk e non il blues. Ma io passavo le serate ad ascoltare dal vivo gente come John Coltrane, Miles Davis, B.B. King. La mia formazione eclettica fu eclettica perche' i miei gusti erano eclettici. La massima influenza fu forse quella del chitarrista jazz Jim Hall. Ero un musicista folk, ma sentivo dentro di me il bisogno di espandere il mio stile al di la` della musica folk. Negli anni Ottanta numerosi chitarristi acustici sentirono lo stesso bisogno. Cito per tutti Tony Rice, che ha suonato anche con David Grisman e registrato numerosi album solisti. Poi scopersi i chitarristi brasiliani. Tutti questi elementi contribuirono a spingermi in direzioni sempre piu` creative."

Il nuovo album, Meeting With Remarkable Friends (Narada, 1998), sfoggia collaborazioni con personaggi come Band, Tony Levin. Com'e` nata l'idea di un disco di collaborazioni e come sono stati selezionati i collaboratori?
"E` gente che ammiro da tantissimi anni. Alcuni di loro mi hanno profondamente influenzato, altri sono semplicemente dei modelli di riferimento. Conosco molta gente nell'ambiente musicale. Ho provato a pensare ai migliori musicisti strumentali che fossero anche degli amici. Questo album e` per me molto personale, e` un album molto emotivo. Volevo stare con amici, comporre in un modo rilassato e intimo."

Il nuovo album e` tanto vario quanto raffinato. Si passa dalla dolente rapsodia tzigana di Catskill Thunder alla bossanova felpata di Serpa, dalla complessita` armonica di Long Journey alla sognante melodia di 14 Turtles. Traum si ricorda del blues in Swing Shift (uno show virtuosistico per sola chitarra) e in Yankee Swamp. Gli arrangiamenti si avvalgono di armonica, violino, mandolino...
"Ho deciso io tutti gli arrangiamenti, ma questo genere di personaggi si presenta in studio con delle idee, per cui alla fine tutte le canzoni sono state riviste, e in gran parte improvvisate in studio. Sono stato condizionato dai miei ospiti anche a un altro livello: ho voluto comporre cio` che poteva interessare loro suonare. Mentre componevo le canzoni, pensavo a chi le avrebbe suonate. Sono tutti personaggi con una storia alle spalle. Il pianista di Long Journey fu direttore musicale degli Steely Dan (e pertanto il brano e` molto jazzato). 14 Turtles e` un duetto con John Sebastian, a cui piace la musica tradizionale americana (e pertanto ho scritto una parte per chitarra che andrebbe bene in una "jugband" degli anni venti). Per Catskill Thunder ho dovuto scrivere una parte per il violino di Jay Unger. Su Serpa suona Tony Levin (quello dei King Crimson) e infine su Yankee Swamp c'e` la gloriosa Band (che si e` recentemente ricostituita senza Robbie Robertson).

Lei ha sempre preferito il formato del breve brano strumentale. Ha mai pensato a comporre suite?
"E` vero che la mia musica si presta a continuare per piu` di quattro/cinque minuti. In teoria potrei continuare a improvvisare. Direi che la ragione principale per cui prediligo i brani corti e` che il formato breve e` piu` facile. Richiede meno sviluppo melodico di un pezzo lungo. Per comporre un pezzo lungo, devi avere una melodia e sottomelodie, devi studiare l'armonia a un livello molto piu` complesso. Poi non dimentichiamo che io vengo dalla musica folk e pop, non ho esperienza con composizioni ambiziose. Le mie sono in fondo canzoni senza parole. Pensa a come compongo. Mi siedo alla chitarra in salotto e suono idee e riff. Il piu` delle volte mi fermo perche' mi rendo conto che sto riciclando un cliche`. Allora provo a innestare accordi piu` interessanti. Sperimento nuove idee di continuo. Non c'e` canzone che non sia nata da un sacco di sperimentazione. La tecnica chitarristica in se' non mi interessa piu` di tanto. Mi interessa molto di piu` l'armonia di un pezzo, mi interessa scovare accordi interessanti. In tutto questo processo l'idea di comporre un brano lungo non sarebbe molto naturale."

E il futuro?
"Vorrei poter fare un altro disco di collaborazioni, piu` o meno con lo stesso stile. Mi piacerebbe mettere insieme altri dieci musicisti, e penso a gente come Tony Rice e Alex De Grassi e qualche jazzista di grido."