- Dalla pagina sugli Who di Piero Scaruffi -
(Testo originale di Piero Scaruffi, editing di Stefano Iardella)
Gli Who sono stati uno dei più grandi gruppi britannici degli anni '60, insieme ai Rolling Stones e ai Kinks.
Poche band incarnavano lo spirito ribelle dei giovani disadattati urbani come gli Who, la più celebrata delle band "mod". I Can't Explain (1965) e My Generation (1965) "erano" pura rabbia e disperazione. Quei geyser di energia giovanile rivelarono anche il talento del più grande cantautore di quella generazione, Pete Townshend. Mentre gli Who continuavano a sventolare la bandiera della rivolta generazionale con Magic Bus (1968) e We Won't Get Fooled Again (1971), Townshend procedette ad affinare le sue abilità compositive con suite sempre più complesse, come A Quick One (1966) e Rael (1967), e alla fine coniò un formato completamente nuovo con le sue influenti opere rock, Tommy (1969) e Quadrophenia (1973).
Tommy parla di un ragazzo che, traumatizzato dopo aver assistito a un omicidio, diventa sordo, muto e cieco. Nel corso della loro carriera, gli Who hanno costantemente rispecchiato lo stato d'animo della loro generazione. Il loro intero repertorio può essere visto come la lunga ed epica autobiografia scritta da un'intera generazione. Nel tentativo di erigere il mito della loro generazione, inventarono anche una musica ancorata a colossali riff di chitarra, batterie martellanti e voci operistiche, che dieci anni dopo verrà ribattezzata "heavy-metal".
Mentre Rolling Stones, Animals e i Kinks erano radicati al passato (sia rhythm and blues che musichall), gli Who hanno inventato uno stile che era il futuro del rock and roll.
La parabola degli Who è una delle più intrepide e interessanti degli
anni '60 britannici. Il gruppo iniziò nei panni dei mod, dei giovani teppisti
di London, con un sound chiassoso e testi arroganti (due spanne sopra tutti
gli altri), ma poi scoprì la propria
vocazione nella rock opera (secondo una tradizione britannica che risale
almeno a Dickens, e che era stata trasposta nel rock dai Kinks) e infine trovò un curioso equilibrio fra spirito polemico e spirito
"progressive", fra rock e classicismo.
Di quella generazione sono probabilmente i più vicini al punk-rock del 1976
in tal senso quelli che sono invecchiati di meno.
La musica degli Who è una delle più autobiografiche dell'epoca. Se i
Kinks furono ossessionati dalla società in cui erano
cresciuti, se gli Animals furono ossessionati dai
dilemmi della propria generazione, gli Who furono ossessionati dall'inizio
alla fine da se stessi.
Nel primo periodo (quello degli inni generazionali) gli Who sfogavano la propria
frustrazione con lo spirito
di una squadra di teppisti ubriachi. Nel secondo periodo
(quello delle opere rock) gli Who trasposero
in chiave psichedelica e teatrale la loro vicenda generazionale.
Nel terzo periodo gli Who rifecero all'infinito il verso a se stessi con testi
che erano spesso pura auto-celebrazione,
All'inizio (1963) si chiamavano High Numbers e suonavano Dixieland jazz e rhythm and blues (il loro primo 45 giri fu I'm The Face di Slim Harpo nel 1964). Ma la loro vera ispirazione furono i rocker virulenti e ribelli come Eddie Cochran e Gene Vincent, al cui tragico destino tutta l'opera degli Who è indirettamente dedicata. Un'altra chiara influenza furono Johnny Kid & The Pirates, forse il complesso più originale in Inghilterra prima dei Rolling Stones, i primi a usare una formazione di chitarra, basso, batteria e cantante e i primi a suonare un ruvido e potente rock and roll chitarristico. Ma Pete Townshend emerse subito come un compositore vibrante e originale, per cui gli Who non ebbero bisogno della lunga serie di cover che caratterizzò altri gruppi dell'era.
Ribattezzati Who dal loro manager, i quattro inventarono un nuovo genere
musicale con
I Can't Explain (gennaio 1965), l'epico grido che per primo rivendicò
un'identità per i giovani britannici, uno "shout" che incorporava
il "baby talk" accorato di
Buddy Holly e il riff di You Really Got Me dei Kinks,
con il drumming funambolico
di Moon che oscurava quasi il canto.
Townshend componeva ritornelli elementari, ma la sua chitarra e la batteria
di Moon li trasformavano in qualcosa di epico.
Townshend scriveva anche liriche più o meno ispirate a Dylan, ma adattando
la pomposa prosa dylaniana (pensata per gli intellettuali dei sit-in e gli
hippies delle marce della pace) al prosaico gergo dei teppisti di strada.
Dylan scriveva salmi, comizi e profezie: Townshend scriveva inni.
Daltrey era un cantante
solenne, anche se poco originale rispetto agli
Eric Burdon (Animals),
Van Morrison (Them)
e Mick Jagger (Rolling Stones) ma forse proprio
per questo finiva per suggestionare di più.
L'inno anarchico di Anyway Anyhow Anywhere (maggio) faceva leva su
un boogie mozzafiato oscillante fra momenti di suspense e deflagrazioni
cacofoniche.
Alla fine dell'anno (dicembre)
l'atroce, marziale, balbuziente e prepotente slogan di My Generation,
lacerato da sincopi, distorsioni, clapping e jamming generali,
in un fragoroso e apocalittico satori atonale, cambiò per sempre la
storia della musica rock.
Quei primi 45 furono rivoluzionari da qualunque prospettiva li si esamini. Dal punto di vista sociopolitico, gli Who furono gli unici a esordire direttamente con gli inni generazionali. Gli altri, da Dylan agli Stones, c'erano arrivati poco alla volta. Gli Who nacquero con l'inno generazione, con la chiamata alle armi, con l'atto di rottura. Gli altri erano stati una più o meno lenta/brusca progressione dalla tradizione verso il rock. Gli Who non proponevano nessun ponte con il passato, soltanto un uragano di suoni elettrici e percussivi.
Facendo leva sul rock and roll, quella serie impressionante di detonazioni
scardinava del tutto la struttura del Merseybeat (una struttura già incrinata
dalla guerriglia urbana dei Rolling Stones).
My Generation, in particolare, segnò una vera rivoluzione musicale:
l'ingresso in classifica della distorsione sconvolse l'estetica della
musica di consumo, e il verso "hope I die before I get old" funse da
dichiarazione di guerra ufficiale contro il mondo degli adulti.
Con queste epiche bordate gli Who conquistarono, all'interno della nazione mod,
il predominio della zona occidentale di London (dall'altra parte c'erano gli
Small Faces).
Questi capolavori a 45 giri costituivano la colonna sonora di una
guerra combattuta dai giovani agli inizi degli anni '60 per imporsi e farsi
rispettare come classe sociale a se stante.
Quei brani riscoprivano in pieno l'essenza violenta e ribelle del rock and roll,
quell'essenza che gli idoli telegenici prefabbricati come Presley e Beatles
avevano ridimensionato. Come i primi rockers del 1955, anche
gli Who erano lo sfogo di rabbia di una generazione di giovani che era conscia
della propria impotenza a cambiare le cose e reagiva tentando di sfasciare
tutto.
Fracassando gli strumenti sul palco, gli Who chiudevano quel circolo di
ribellione che Chuck Berry e i Rolling Stones avevano tracciato a metà,
e che sarà la bibbia degli artisti più travagliati del rock.
Con gli Who la storia del rock and roll ricominciava da zero.
A quella base sonora gli Who accoppiavano un impeto scenico terrificante.
La loro fama crebbe di pari passo con l'efferatezza del loro show,
un'esibizione di violenza gratuita senza precedenti sui palcoscenici
del compassato Regno Unito.
In tal modo gli Who portarono sul grande palcoscenico del Merseybeat lo schifo
e la paura dei sobborghi. La sottocultura mod trovò in loro i suoi martiri,
disposti ogni sera a fracassare gli strumenti al termine di act scatenati.
E la vita di strada trovò i suoi demagoghi.
La furia, il sadismo, la rabbia, erano il prodotto autentico di una turbolenza
generazionale di cui gli Who furono effettivamente analfabeti portavoce.
Ma gli Who scoprirono involontariamente un mercato gigantesco, che non era
mai stato sfruttato: quel sound affascinava anche i kids più borghesi e
conformisti. La voglia di suono "duro" era generale.
Gli Who, naturalmente, avevano anche origine da una forma di reazione alla ipocrita civiltà Merseybeat (Beatles e compagni), a quell'anticaglia di coretti graziosi e chitarrine timide in cui si riconoscevano ben pochi giovani dei bassifondi.
Nessuno dei quattro era un virtuoso al proprio strumento, ma ciascuno dei quattro era un genio al proprio strumento. Sotto l'influenza di Link Wray, Pete Townshend inventò uno stile barbaro e isterico alla chitarra, e fu uno dei primi a usare radicalmente il feedback (ma avrebbe usato qualsiasi cosa gli consentisse di produrre rumore). Roger Daltrey si faceva largo nel baccanale dei compagni con versi animaleschi che fungevano da vere e proprie urla di guerra e con un tono "vissuto" in cui si riconoscevano i kids della suburbia. Keith Moon non aveva nulla della sofisticazione jazz e blues (da cui provenivano quasi tutti i batteristi dell'epoca) ma sommergeva le canzoni di battiti quasi tribali e il moto perpetuo della sua batteria inventò presto un nuovo stile. John Entwistle completava la formazione con le sue vigorose frasi di basso. Il compositore del gruppo era Townshend, geniale nel comprimere tanta violenza in ritornelli, acrobatico nello stipare accordi grezzi e assordanti dentro la forma-canzone.
La chimica era perfetta. Daltrey impersonava il vero mod dei quattro, l'anima perversa degli Who. Entwistle rappresentava l'altro polo, quello melodico. Moon era il drogato e il pazzo del gruppo, ma sovente la linfa vitale dello show. Townshend l'agente catalizzatore, che fagocitando le altre personalità ne innescava e controllava le reazioni, l'intellettuale dotato di una acuta capacità di sintesi che riuscì a creare una "maschera" emblematica della propria generazione, l'"Everykid" (il ragazzo qualunque).
Grazie a questa estetica alternativa, gli Who furono i primi cultori del caos, i primi consapevoli profeti dello "stato brado", i primi rumoristi intransigenti, le prime stelle del rock amatoriale (che diventerà poi garage-rock e punk-rock).
Una stagione era però già alla fine e lo dimostrano gli hit del 1966,
tutti dedicati a un'analisi semi-seria del mondo degli adolescenti:
Substitute (marzo),
un melodico con una leggera inflessione soul e frastornante lavoro di batteria,
I'm A Boy (agosto), un ritornello surreale su un adolescente incompreso
dalla madre (con ritmo di trombone e grancassa), e
Happy Jack (dicembre), un mezzo vaudeville sullo scemo del villaggio, con
progressioni ritmiche mozzafiato e ritornello in falsetto.
Si tratta di brani molto più moderati dei precedenti. Sul primo album,
My Generation (Brunswick, 1965), compaiono anche
una The Kids Are Alright, con coretti degni del Merseybeat
ma sempre con impeto selvaggio, e la psichedelica
The Ox (con Nicky Hopkins al piano e un uso cosciente del feedback);
mentre sul secondo, A Quick One (Reaction, 1966),
spiccano le eccentriche armonie di Boris The Spider
e debutta la suite di dieci minuti A Quick One (un'anticipazione
della rock opera).
L'impatto della psichedelia si fa sentire sui brani del 1967: Run Run Run, Pictures Of Lily e Doctor Doctor, che fondono elementi disparati come le fiondate quasi hard-rock di Townshend, il drumming martellante di Moon, melodie soffici e i primi timidi effetti elettronici. Al festival di Monterey di giugno gli Who sembrano scaricare le residue energie.
Gli Who si rifanno una reputazione, da analfabeti a intellettuali della
suburbia, con Sell Out (Track, 1967),
che è strutturato come un collage di canzoni
e una parodia degli intermezzi pubblicitari.
L'album sembra un incrocio fra Freak Out di Frank Zappa e i
dischi dei Kinks degli stessi anni.
I Can See For Miles, Armenia City In The Sky,
Mary Anne With The Shaky Hand sfoggiano un melodismo etereo e
quasi parodistico, debitore del musichall quanto del rock and roll.
Rael è un'altra lunga suite, un'altra fantasia melodico-strumentale a
ruota libera.
Per gli amanti della psichedelia e della canzone "progressiva", questo
rimarrà il capolavoro del gruppo.
Tommy (Track, 1969) è in parte la continuazione di quel progetto
e in parte un voltafaccia clamoroso, essendo sì progressivo e psichedelico,
ma al tempo stesso melodrammatico e pomposo, al tempo stesso affermando
la statura artistica del gruppo e rinnegando le proprie radici di ribelli.
Tommy è innanzitutto la rock opera per eccellenza, la
rappresentazione musicale di una storia che un'allegoria per la loro
generazione.
La vicenda ha per protagonista un mago del flipper che ha la sventura di
essere diventato cieco sordo e muto da bambino dopo il trauma causato dall'aver
assistito a un omicidio.
La musica che l'accompagna ha perso gran parte della spontaneità (e quindi
dell'aggressività) dei primi 45 giri. Anzi, è palesemente pianificata a
tavolino, attenta ai dettagli, puntuale nei contrappunti e delicata nei
fraseggi.
Il riff, la foga corale e il ritmo d'assalto, che erano stati la struttura
portante dei loro inni, vengono fusi ad arte con
un lattice di pathos che indulge nel trionfalismo epico piuttosto che
nello scatto fulmineo e rabbioso.
è soprattutto lo show personale di Townshend, che dimostra abilità
nel comporre e nel dirigere, anche se talvolta l'opera
scade nel feuilleton, nella retorica, nell'ingenuità.
I capolavori del disco sono probabilmente i brani che meglio fanno da ponte
fra le due ere:
I'm Free, uno dei loro riff (ma di piano) più epidermici ed anthemici;
Pinball Wizard, con l'impeto vocale e le fratture ritmiche dei bei tempi;
e The Acid Queen, cattiva e insinuante.
Ma non meno pathos è nascosto nelle fibre eleganti e nervose di
Amazing Journey, Go To The Mirror, Wère Not Gonna Take It,
che sprecano enfasi melodrammatica.
Il nuovo metodo è anche troppo in vista nell'Ouverture e nella lunga
Underture, i due episodi più pomposi. Sono fantasie
melodiche solo strumentali che riprendono a collage le arie dell'opera e
sono i movimenti in cui davvero sembra di essere all'opera.
A Quick One e Sell Out
erano state prove generali, e si sente:
temi musicali e parti strumentali sono ripresi dalle loro suite
(in particolare l'Underture da Rael).
Ma soprattutto Townshend attinge a piene mani dall'inesauribile patrimonio
del folk bianco (Sally Simpson, Can You Hear Me).
Lungi dall'essere perfetto, Tommy vanta però alcune delle melodie più
originali dell'epoca, non corrive
come quelle dei Beatles e corredate da spunti strumentali originali.
Nel frattempo però gli Who continuano a cesellare brani rivoluzionari,
non solo nel tema ma anche nella struttura:
Magic Bus (1968), il capolavoro lisergico e tribale di Moon, un ossessivo
delirium tremens alla Bo Diddley, una
selvaggia tregenda, una valpurgisnacht
che rimarrà uno dei vertici della psichedelia britannica;
The Seeker (1969), un cattivo e febbrile blues-rock da saloon.
Questi Who "alternativi" a quelli ufficiali e austeri della rock opera
sono documentati soprattutto dal Live At Leeds (1971), da molti
considerato nell'Olimpo degli album live insieme al primo live degli Allman
Brothers e a quello di Dylan & Band, con due epiche versioni di
My Generation e Magic Bus (la riedizione su CD aggiunge ben
quaranta minuti di musica).
Who's Next (Track, 1971) è anzi uno dei loro capolavori, e uno
dei capolavori del rock and roll. Parte del materiale deriva da
The Lifehouse Chronicles, che doveva essere un'altra rock-opera
ma verrà realizzata soltanto vent'anni dopo.
L'album esplose con un altro tardivo brano della serie generazionale:
We Won't Get Fooled Again, capolavoro vocale di Daltrey dopo i singhiozzi
psicopatici di My Generation, e forse
capolavoro dell'intero hard-rock britannico, con l'organo che martella
figure boogie colorate e trascendenti, con la chitarra che erompe raffiche
di riff trascinanti e con un tipico ritornello beat. L'apice di pathos si ha
quando un assolo "minimalista" dell'organo crea una suspense che viene infranta
brutalmente dall'urlo licantropo di Daltrey e da una grandinata di batteria
di Moon.
Poi c'è l'omaggio a Terry Baba O'Riley, che fonde mirabilmente le
pulsioni hard-rock del complesso con il raga minimalista di Riley, ed è anche
un saggio di come Townshend padroneggi le tastiere elettroniche.
Daltrey è diventato un crooner eccezionale, come dimostra il climax della
ballad romantica Bargain.
A differenza degli Stones, che sono rimasti i teppisti sguaiati che erano,
gli Who sono diventati uno dei complessi più eclettici e smaliziati della
propria generazione.
La seconda rock opera degli Who, Quadrophenia (Polydor, 1973),
fa leva proprio sulla statura musicale del gruppo. Le tastiere di Townshend
(con i loro effetti pseudo-orchestrali)
sono più protagoniste della chitarra. Daltrey non urla ma solfeggia.
Gli arrangiamenti sono molto più sofisticati non solo dei loro dischi ma
dello stesso progressive-rock dell'epoca.
Sembra un po' la versione tecnologica e sinfonica di Tommy.
Questa volta si tratta di un affresco della generazione mod e al contempo un
album di ricordi personali.
L'impalcatura monumentale finisce però per esasperare i difetti di Tommy:
verbosità, dispersione e ridondanza.
Se si ode ancora risuonare il riff generazionale in The Real Me
(forse la miglior fusione di arrangiamento sinfonico, riff di hard-rock
ed enfasi rhythm'n'blues),
le vibrazioni dure degli Who si limitano a scuotere
5:15, un boogie pianistico accompagnato da fragorosi fiati
rhythm and blues.
Qualche tic nevrotico affiora anche in
The Punk And The Godfather, Dirty Jobs, Bell Boy.
Epos per epos, quantomeno il melodramma è davvero
marziale in Doctor Jimmy, grazie a un paio di controtempi da brivido,
commoovente nello strumentale The Rock,
trascinante nel finale mistico e patetico di Love Reign Over Me,
degno di una sinfonia di Cajkovsky.
Anche in questo disco non mancano le citazioni country, blues e vaudeville,
ma sono sommerse da strati e strati di arrangiamento elettronico.
Gli Who sembrano aver esaurito le loro risorse creative con questo formidabile sforzo. Entrambe le rock opere godranno di allestimenti teatrali.
Per il resto del decennio il complesso vive di rendita, imitando il proprio sound a ripetizione con Long Live Rock (1974), Squeeze Box (1975), Who Are You (1978).
Keith Moon, uno dei più spettacolari batteristi del rock, muore nel 1978. (E, per ironia della sorte, nel primo tour dopo la sua morte moriranno undici spettatori). Al suo posto viene chiamato Kenny Jones degli Small Faces, ma gli Who sono ormai agli sgoccioli. You Better You Bet è l'ultimo successo, tratto da Face Dances (1981).
Best Of Last Ten Years (Polydor, 1975) e Kids Are Alright (Polydor, 1979) sono valide antologie.
La parabola musicale degli Who riflette tutto sommato quella ideologica della loro generazione: dallo spirito ribelle e dalle pulsioni di auto-distruzione dei primi anni, che interpretano un profondo malessere esistenziale, al rifugio qualunquista nelle droghe e alle patetiche auto-celebrazioni della tarda età.
Gli Who sono stregoni che hanno sempre celebrato riti: al rito propiziatorio della forza bruta (della demolizione premeditata, dell'apocalissi generazionale) hanno in seguito affiancato il rito evocativo della nostalgia. Proprio evocando i fantasmi di quei cicloni sterminatori, di quella balbuzie rock che tempestava nelle vene di una generazione sul punto di esplodere, di quel bulinar microfoni e chitarre per aria come bandiere, di quello sperticare e calpestare gli strumenti affinche' gridassero anche loro con sibili distorti e rombi tribali la rabbia e la voglia di vivere una vita diversa, di quel torturare il suono fino a emettere un verso turpe di bisogno primordiale, gli Who si sono dimostrati i reduci più fedeli delle prime barricate rock.
Nel suo insieme la mitologia Who-ana (esposta prima nei 45 giri e poi nelle rock-opere) ha reso omaggio all'epica e alla metafisica del teppismo giovanile: se Ray Davies fu il Dickens del rock e Mick Jagger ne fu il Faust, Townshend ne può a buon diritto essere considerato l'Omero.
Sia Entwistle sia Daltrey hanno inciso diversi dischi solisti, ma non particolarmente originali.
Pete Townshend, che era diventato compositore sempre più forbito e intellettuale, e sempre meno rocker ribelle, continuò di fatto quella progressione sui suoi dischi solisti.
Con Who Came First (Atlantic, 1972) Townshend si discostò nettamente dal clichè arrabbiato dei primi Who per abbracciare la teosofia della sua guida spirituale, il guru Meher Baba. Le canzoni a tema compongono un piccolo breviario di meditazione orientale. La musica ne soffre un po', e soltanto Pure And Easy e l'epico blues-rock Let's See Action (1970) appartengono al repertorio maggiore.
Street In The City (con sezione d'archi) e My Baby Gives It Away sono le perle di Rough Mix (1977), una collaborazione con Ronnie Lane in gran parte improvvisata in studio (collaborano anche Eric Clapton e Charlie Watts dei Rolling Stones).
Let My Love Open The Door e Rough Boys sono i due numeri migliori di Empty Glass (1980), seguito dal mediocre All The Best Cowboys Have Chinese Eyes (1982), arrangiato in maniera barocca ma scarsamente incisivo (Face Dances Part Two, Uniforms, Stardom In Action).
White City (1985) è un concept dedicato a un quartiere povero di London. Townshend troverà il successo con il bailamme disco di Face The Face (1985).
Iron Man (1989) è un'altra rock opera allestita con musicisti celebri nelle parti principali (la storia è adattata da una fiaba del poeta Ted Hughes). A Friend Is A Friend è il singolo, Was There Life e A Fool Says sono canzoni sofisticate, ma pochi pezzi hanno l'effervescenza che serve a tener desta l'attenzione.
Psychoderelict (Atlantic, 1993) è un altro concept organizzato come un collage di canzoni (in particolare English Boy), narrazioni e passaggi strumentali. è un formato che assomiglia sempre più a un incrocio fra i musical di Broadway e le "radio play" della BBC. Questa volta la storia è quella di una vecchia star sul viale del tramonto. English Boy ha la verve dei tempi d'oro e canzoni come Now And Then non mancano di classe e perizia.
Nel 1993 Tommy divenne anche un musical a Broadway, ma Townshend cambiò drasticamente il messaggio in maniera revisionista. Cool Walking Smooth Talking Straight Smoking Fire Stoking (Atlantic, 1996) è un'antologia della carriera solista di Townshend.
Il cofanetto da sei dischi The Lifehouse Chronicles (Eel Pie, 2000) contiene la musica originale della leggendaria opera rock ideata da Townshend dopo Tommy e mai realizzata, e anche la versione presentata come spettacolo radiofonico sulla BBC.
John Entwistle morì di infarto mio cardico (causato dall'abuso di cocaina) nel giugno 2002, all'età di 57 anni.
Roger Daltrey e Pete Townshend continuarono come Who.
Il mini-album Wire & Glass (2006) contiene una nuova opera rock, probabilmente la peggior composizione della carriera di Townshend, successivamente incorporata nell'album Endless Wire (2006).
Truancy (2015) è un'antologia delle opere soliste di Townshend.
The Who (2019), il loro primo album di materiale inedito in 13 anni, contiene il singolo Ball and Chain, una rielaborazione della canzone Guantanamo (2015) di Pete Townshend.
Nel 2024 a New York è andato in scena un nuovo musical basato su Tommy, The Who's Tommy, diretto da Des McAnuff.
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