- Dalla pagina su John Cale di Piero Scaruffi -
(Testo originale di Piero Scaruffi, editing di Stefano Iardella)


(Testo originale in italiano di Piero Scaruffi, modificato da Stefano Iardella)

John Cale (Carmarthenshire, 1942), la viola psichedelica dei Velvet Underground, avviò negli anni '70 una carriera solista che mise in luce la sua personalità di intellettuale europeo, imbevuto di esistenzialismo ed espressionismo, ed educato alle avanguardie del Dopoguerra.
Scettico e distaccato davanti all'oltraggio chic dei Velvet Underground, che in fondo fu un fatto adolescenziale scarsamente eversivo, indifferente all'esplodere del punk, sulla cui paternità poteva rivendicare non pochi diritti, Cale si addentrò invece in un'arte adulta e autunnale. La contraddizione che anima tutta la sua musica, quella fra il rock decadente dei bassifondi newyorkesi e il compositore classico dei conservatori britannici, è stata tanto la forza creativa che ne ha fatto un caso unico nella storia del rock quanto il limite delle sue opere, talvolta pretenziose e forzate.
Il suo tentativo di creare una nuova forma di ballata romantica dalla sintesi fra rock e classica gli riuscì molto meglio sui dischi di Nico.

A vent'anni il gallese John Cale era, con Cornelius Cardew e pochi altri, uno degli animatori dell'avanguardia di Londra.
Dopo aver vinto una borsa di studio, nel 1963 si trasferì a New York per completare gli studi e fu studente di Iannis Xenakis e John Cage.
Qui entrò presto a far parte del Theatre Of Eternal Music di La Monte Young, (con Terry Riley, Tony Conrad e altri) e strinse amicizia con Lou Reed, insieme al quale suonò agli angoli delle strade nel più bizzarro duo folk dell'epoca (viola e chitarra).
Young lo presentò ad Andy Warhol, santone dell'arte pop che a quei tempi era alla ricerca di talenti musicali per allestire uno spettacolo multi-media. L'esperienza con Warhol servì a farlo passare dall'altra parte della barricata, quella dell'arte "bassa".
Lasciati i Velvet Underground nelle mani di Reed, più interessato alle liriche che alla musica, Cale incise Vintage Violence (Columbia, mar 1970), un lavoro di psichedelia horror, rivelandosi chansonnier sofisticato invece che sperimentatore scellerato (Adelaide, Amsterdam, Ghost Story).

Alla musica classica tornò con un'opera in coppia con Terry Riley, Church Of Anthrax (feb 1971). Riley vi suona l'organo elettronico in maniera minimalista, o il sassofono, mentre Cale si alterna alla viola, al clavicembalo e al piano. La title-track, di nove minuti, è una Rainbow In Curved Air accelerata a ritmo rock, farcita da un po' di dissonanze e contrappuntata dagli orientalismi del sassofono. Il suo contraltare, Ides Of March, si sviluppa lungo il duetto improvvisato fra i due pianoforti, i quali "minimalizzano" spunti tratti dal music-hall, dal boogie, dalla musica classica e dal jazz. La produzione di Cale alterò tanto profondamente i nastri originali che Riley ripudiò l'opera.

Un altro esperimento di musica classica in rock fu l'album strumentale Academy In Peril (Reprise, jul 1972), una raccolta di bozzetti romantici per strumento solista, ensemble da camera e persino orchestra sinfonica.
Due composizioni si ispirano al minimalismo trasfigurato di Church: il suggestivo blues per chitarra scordata The Philosopher, che si sviluppa in progressione marziale fra lunghe note alienate di tromba e dissonanze libere delle percussioni, e il samba psichedelico King Harry per xilofono, chitarra acustica, flauto, viola, marimba e organetto, una bailamme in crescendo alla In C.
Il disco è però popolato soprattutto dagli spettri della musica da camera dell'Ottocento: un paio di sofferte e pretenziose sonate per pianoforte (Brahms e Academy In Peril) e un angoscioso poema sinfonico in tre parti (Orchestral Pieces) creano un clima funereo che trova conferma e sublimazione nel finale, l'agghiacciante concerto per un pianoforte tragico e un'orchestra d'archi stazionaria John Milton.
Presunzioni e cerebralismi inficiano il valore dell'opera, come quasi tutto il rock sinfonico dell'epoca, ma i due brani "folk-minimalisti" sono spunti geniali.

Paris 1919 (mar 1973) è invece l'opera di uno spirito più disimpegnato, di un fine chansonnier/dandy, un po' nevrotico ma sempre dignitoso, che ama sporcarsi le mani con certo kitsch di Tin Pan Alley (Andalucia, Half Past France).

A vette altissime Cale tornò con il sound cupo e abrasivo di Fear (oct 1974), album forte e duro che sembra un requiem dell'olocausto nucleare. Fear Is Man's Best Friend è un'epica trascinante, che capovolge il rapporto fra vita e morte stabilito da Jim Morrison in un'orgia di cinismo e umanità, di umano cinismo e di cinica umanità. Altre solenni odi imperlano il disco (il country trascendente Buffalo Ballet) a testimoniare le mai abbandonate ambizioni "serie", ma l'opera vanta soprattutto ballate oblique alla Brian Eno, come Barracuda e Monamma Scuba, impreziosite dal chitarrismo atonale e surreale di Phil Manzanera, e un doo-wop ironico a ritmo vaudeville come The Man Who Couldn't Afford To Orgy, nei quali il suo humour tenebroso ha modo di emergere. Cori nostalgici e violini struggenti (Emily), oppure organo minimalista, piano liturgico e batteria marziale (Ship Of Fools), forniscono spunti per ridefinire la canzone rock secondo standard più "classici". La maestosa e ipnotica Gun riesce a fondere i due modi in un boogie sferzante e claustrofobico che a tratti ricorda l'incedere martellante e distorto di Sister Ray (con, probabilmente, il miglior assolo della carriera di Manzanera).

Il suo canto tenorile, come quello di Jim Morrison, sa oscillare con maschio vigore fra i registri estremi della malinconia e della rabbia, infondendo alla ballata decadente una forza straniante e sinistra, quasi metafisica, cha manca a Lou Reed.
I due album dell'anno seguente, Slow Dazzle (Island, Marzo 1975), arrangiato con limpidezza e compattezza alla Phil Spector (Mr Wilson), e Helen Of Troy (Island, Novembre 1975), cupo e depresso epitaffio dei tempi (Leaving It Up To You, I Keep A Close Watch), completano la trilogia aperta da Fear. Sono anche album in cui si avvertono avvisaglie del punk-rock da venire (Cale aveva appena prodotto il disco dei Modern Lovers).

Nei sei anni successivi Cale realizzò molto poco, per quanto l'epica Hedda Gabler, sull'EP Animal Justice (Illegal, 1977), Sabotage, Mercenaries e Doctor Mudd, 1979), sul live Sabotage (Spy, 1979), Dead Or Alive e Riverbank, su Honi Soit (A&M, Marzo 1981), vanno aggiunte al repertorio di quello che è uno dei più intensi canzonieri dell'epoca, sempre in bilico fra la splendida desolazione di Syd Barrett, la metafora soprannaturale di Jim Morrison, l'elegia nevrotica di Neil Young e lo spleen fiabesco di Kevin Ayers.

Il Cale della mezza età celebrò nel modo più paranoico la sua angoscia dell'incomunicabilità con il plumbeo sound alienato di Music For A New Society (Island, Agosto 1982), in particolare nello psicodramma nonsense di Damn Life e nella visione classicheggiante di Chinese Envoy, esempi austeri di quella forma di musica da camera che Cale aveva perseguito fin dai primi giorni.
Nelle solenni romanze di questo album, arrangiate in maniera spettrale e cacofonica (Taking Your Life In Your Hands), reminescenti del song rinascimentale (Close Watch) e della ballata marziale (Broken Bird), talvolta permeate di imponenza e maestosità degne di un requiem (If You Were Still Around), si scarnifica il concetto di canzone rock, fino al limite del brano-conversazione free-form (Santies) e del delirio allucinogeno (Thoughtless Kind).
Cale si erge più che mai come nero messia della solitudine metropolitana.
Il suo sound triste, lugubre, criptico, grigio e claustrofobico, con le liriche che fluttuano sfocate in un caos di associazioni mentali ossessive e dolorose e con il declamato alto, quasi epico, da teatro espressionista, assomiglia sempre più a una forma moderna e vernacolare di meditazione trascendente.

Come spesso capita nella carriera di Cale, l'album successivo è uno scherzo fra amici, Caribbean Sunset (Ze, 1984).
Artificial Intelligence (Beggars Banquet, 1985) è più serio, ma è di nuovo deludente (Dying On The Vine).

Words For The Dying (sep 1989) lo riporta alle romanze sinfoniche di Academy, persino con una suite orchestrale su testi di Dylan Thomas, Falklands Suite.

Songs For 'Drella (Sire, 1990), con Lou Reed alla voce e alla chitarra, è un insolito requiem rock per Andy Warhol.

Wrong Way Up (Opal, 1990) è una collaborazione con Brian Eno, ma le canzoni sono per lo più di John Cale, dalla soave, pigra e malinconia In The Backroom alla ballata solenne Footsteps e al vivace boogie Crime In The Desert. Il formato pop di Lay My Love, Spinning Away e Been There Done That è privo di pretese e senza ambizioni.

Sull'erudita collaborazione con Bob Neuwirth, Last Day On Earth (MCA, 1995), un ciclo di lieder elettronici commissionato da un'istituto d'arte, Cale sperimenta un'orchestrazione per piccolo ensemble ed elettronica. La fusione fra classico e pop origina alcune delle ballate più solenni e cupe della sua carriera (Who's In Charge, Angel Of Death) che continuano tutto sommato il programma tetrissimo di "Drella": questo è il Cale della maturità, un dotto sciamano che aspetta la morte come una forma di liberazione dai fantasmi che lo ossessionano. Lo spirito del disco è più di Neuwirth che di Cale: il tema apocalittico viene esaminato dal punto di vista dei personaggi che si aggirano in un fantomatico "Cafe Shabu" di un altro spaziotempo. Il folk di Paradise Nevada e l'epos di The High And Mighty Road, all'incrocio fra Jackson Browne e Warren Zevon, sono la quintessenza del suo magico meta-stile.
La storia, come tutte quelle di Neuwirth, è affascinante in quanto profonda e allegorica: nell'omerico (o "calviniano") viaggio dal caffè alla cittadina di Paradise, in Nevada (lo stato di Las Vegas), il protagonista continua a chiedere la strada alle persone che incontra (pittori, filosofi, filantropi, banchieri e così via), ma invano.
A un certo punto si sente rispondere che tutte le cartine geografiche del mondo sono obsolete. Si incammina, allora, sulla strada che lo riporterà al punto da cui era partito.
Applausi.


(Tradotto da Jimmy Vecchio, modificato da Stefano Iardella)

Paris S’Eveille (Crepuscule, 1993) contiene esperimenti assortiti che ritornano a Academy come i diciassette minuti di Paris S’Eveille e i 18 di Sanctus.

Seducing Down the Door (Rhino, 1994) è una retrospettiva della sua carriera.
Even Cowgirls Get the Blues (ROIR, 1991) e Fragments of a Rainy Season (Hannibal, 1992) sono album live.

Cale, inoltre, compone una manciata di colonne sonore.

Walking on locust (Hannibal, 1996) è, probabilmente, il disco peggiore di Cale, una fiacca collezione di canzoni pop.

Eat Kiss (Rykodisc, 1997) raccoglie le colonne sonore che Cale ha composto per i film di Andy Warhol.

Sun Blindess Music (Table of the Elements, 2001) raccoglie le prime composizioni di Cale: l’improvvisazione minimalista dei 44 minuti di Sun blindess music (oscillante tra la musica ronzante di LaMonte Young e quella per percussioni di Steve Reich), la psichedelica Summer Heath, l’elettronica Second Fortress.

Stainless Gamelan (Table of the Elements, 2001) raccoglie esibizioni di John Cale prima dei Velvet Underground, alcune delle quali con Sterling Morrison e Angus MacLise. Il pezzo centrale è costituito dai 25 minuti dell’ipnotico muro di rumore di At About This Time (con Sterling Morrison alla chitarra).

Dream Interpretation (Table of the elements, 2001) contiene due duetti tra Tony Conrad al violino e John Cale alla viola e all'organo: Dream Interpretation e Ex-cathedra (1968).


(Tradotto da Stefano Iardella)

Un John Cale rivitalizzato ha pubblicato Hobosapiens (EMI, 2003), una delle opere più vitali ed esilaranti della sua carriera, una degna manifestazione della sua arte al confine tra pop e avanguardia, ora aggiornata all'era digitale. "Hobosapiens" è il soprannome che John Cale aveva dato a Bob Dylan, ma l'album nasconde la maggior parte dei suoi riferimenti nostalgici sotto uno strato di riferimenti futuristici.
Cale, l'intrattenitore consumato, può scrivere un'impressionante varietà di canzoni: una Reading My Mind rock ed elastica, che ricorda le eccentriche novelties di Kevin Ayers (con interludio di archi e un contrappunto di voci che portano a un incidente d'auto), una Things piena di sentimento e riflessiva (un tributo sia letterale che stilistico a Warren Zevon), una vibrante Twilight Zone, alimentata da un ritmo tribale e da un rumore strumentale, e persino da una canzoncina disco strumentale come Bicycle. Le sue capacità narrative si apprezzano meglio in brani tranquilli che distorcono le strutture musicali in modo quasi psicotico, come Magritte, un ibrido di musica neoclassica (violoncello, violini, pianoforte) e musica religiosa (organo), e Caravan, in cui gli arrangiamenti si accumulano silenziosamente fino a sopraffare la recitazione.
A 60 anni, Cale riesce ancora a disorientare il suo pubblico mescolando suono e metafisica in un modo che si avvicina a un'esperienza religiosa. Le sue melodie hanno la rara qualità dell'inesistenza, della virtualità, dell'astrazione; una qualità che trasforma i suoi temi e messaggi urbani inquietanti e degradati in incubi, piuttosto che in commenti o documentari. Pochi musicisti hanno capito come creare un "cantautorato elettronico" come fa lui nel maestoso inno di Zen (forse una risposta alla sua autobiografia "What's Welsh For Zen?"), tra ritmi sparsi, un debole drone e un coro femminile spettrale; o nell'atmosfera fatalistica di Look Horizon, che fonde un ritmo martellante, un suono di chitarra, archi atonali e una voce femminile; o nel melodramma-collage Archimede; o nello shuffle industriale di Letter From Abroad, traboccante di effetti sonori. Si tratta di costruzioni narrative complesse che non sprecano un solo secondo.
Cale ha costantemente trasformato la contraddizione esistenziale in una nuova forma di sintesi e coerenza, sfidando tutte le leggi della fisica e della logica.

New York in the 1960's (Table Of The Elements, 2004) è un cofanetto di 5 LP che documenta gli inizi della carriera di Cale come compositore d'avanguardia.

Anche alla sua non giovane età, la carriera di John Cale continua ad alternarsi tra ambiziose opere d'avanguardia e raccolte di musica pop di second'ordine.
Black Acetate (Astralwerks, 2005) appartiene a quest'ultima categoria. Insolitamente ampolloso e sbilanciato, sembra il lavoro di un novizio che si sforza di trovare la sua vera voce e fatica a imparare come produrre le proprie canzoni. Fatta eccezione per l'orecchiabile Perfect (forse l'unico motivo per pubblicare questo album) e la ballata Satisfied (che avrebbe potuto adattarsi a Hobosapiens), il resto delle canzoni sono semplicemente composizioni mediocri che risultano sovra/sotto prodotte. È imperdonabile che John Cale a 63 anni possa pubblicare musica così imbarazzante. Stiamo parlando di un vero talento, non di un David Bowie.

Shifty Adventures in Nookie Wood (Double Six, 2012), pesantemente arrangiato, è stato altrettanto deludente. I Wanna Talk 2 U, una collaborazione con Danger Mouse, è banale musica pop.

Nel 2019 ha collaborato con Marissa Nadler per il suo singolo (di lei), Poison.

La maggior parte delle canzoni di Mercy (Double Six, 2023) sono difficili da ascoltare: lounge pop di terz'ordine con molte sezioni orchestrali fuori posto e qualche sezione vocale autotuned molto fuori posto, oltre ad alcuni ritmi elettronici fuori luogo. I sette minuti di Mercy sono l'ideale per addormentarsi. L'ancor più lunga The Legal Status of Ice non è altro che un tentativo di incorporare arrangiamenti "moderni". Si possono salvare Out Your Window (che avrebbe potuto essere su Fear) e l'esperimento ambient gotico Marilyn Monroe's Legs.

POPtical Illusion (Double Six, 2024) è un album molto elettronico che contiene There Will Be No River.


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