Nico


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Chelsea Girl (1967), 5/10
Marble Index (1968), 8/10
Desert Shore (1970), 9/10
The End (1974), 7/10
Drama Of Exile (1981), 6.5/10
Camera Obscura (1985), 7/10
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German chanteuse Nico, who sang with the Velvet Underground in New York before returning to Europe, invented a style of singing that has little to do with rock music, a style that belongs to no particular place and no particular time, a style that may as well be medieval or romantic, Indian or Middle-eastern, a style that is mainly "enunciation". a style that sounds by turns like Greek chorus, Shakespearian monologue, Schubert-ian lied, Gregorian psalm, Elizabethan song, exotic chant. Her lugubrious litanies (which invented gothic rock more by accident than by design) sway between the lament of a buried alive and the stately invocation of a priestess. The staging of these funereal cries quotes from Goethe's metaphysical allegory "Faust", from Wedekind's expressionist drama "Lulu", from Brecht's epic theatre, from French noir cinema, from Dali's surreal paintings. She straddled the line between aristocratic and prostitute with the elegance of a ghost.
Her first masterpiece, Marble Index (1968), introduced gothic, archaic, exotic and neo-classical elements into rock music, but it could not be farther from being sensationalistic: Nico sang about a childhood trauma, in the grips of lacerating loneliness, monotonous, slow, too weak to soar, too weak to add emotional or melodic value to her godless liturgy. She sang, perhaps, about the childhood trauma of an entire (cursed, doomed) race. John Cale's arrangements (no percussions, emphasis on keyboards), whose delicate impressionism transformed each song into a chamber sonata, and Nico's androgynous look increased the shock.
Her second masterpiece, and one of the greatest albums of all times, Desert Shore (1970), went even further, evoking the desolation of an icy and empty universe, as if after a colossal catastrophe. Stronger doses of urban neurosis further depressed her voice, but also lifted the shamanic/prophetic tone to another dimension. The sense of ancient became more than a smell of death: a smell of the otherworld. The anemic, moribund, suspenseful atmospheres penned by her church-like harmonium and Cale's viola belonged to a catacomb. By now, it was more than fatalism: it was eternal angst. It was fear, both bleak and majestic, leading to a mental paralysis that was both childish and cosmic. Each song was an enigma, and the singer a sphinx. But she was also an explorer, albeit an explorer of the inner world. Nico's cadaveric, petrified voice wandered through the labyrinth of a wasted mind, scouring inner landscapes made of nightmares, visions and nameless shadows for the ultimate meaning. Or, better, Nico lived on another planet, and was the Homer who sang about the apocalypse of planet Earth, as viewed from up above.
Her rosary concluded with The End (1974), Drama Of Exile (1981) and Camera Obscura (1985) that tried to modernize her sound (the ultimate oxymoron).
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Nico invento` uno stile di canzone che aveva poco a che fare con la musica rock. Era uno stile apolide e atemporale, che poteva appoggiarsi indifferentemente alla passacaglia medievale o al raga indiano. Era uno stile, infatti, preminentemente di "dizione", pertanto teatrale. In esso confluirono elementi della tragedia greca, del monologo shakespeariano, del "Faust", di "Lulu", del teatro brechtiano. Nico aumento` la tensione della recitazione elaborando un recitar cantando poliglotta, che partiva dal lied romantico di Schubert, dalla salmodia responsoriale, dai "Carmina Burana", dal song elisabettiano, per arrivare alla chanson noire e alle litanie dei muezzin. Le sue tenebrose cantilene di sepolta viva (che per puro caso inventarono il rock gotico) non hanno eguali nella storia della musica per suggestione e assoluto.

Nata a Koln nel 1938 e cresciuta fra le rovine della seconda guerra mondiale, Christa Paeffgen comincia giovanissima a muoversi per l'Europa: e` a Roma come comparsa nella "Dolce vita" di Fellini, a Parigi come indossatrice (e gia` ragazza madre), qua e la` per il continente come apprendista folk-singer. A ventun anni incide il suo primo disco, un 45 giri, a Londra, grazie all'amicizia di Brian Jones e Jimmy Page, ma, visto l'insuccesso, parte alla volta di New York, dove fa amicizia con Andy Warhol, che la impiega nei suoi show e la inserisce nei Velvet.

Dopo il primo album a loro nome, Nico lavora ancora per Warhol, recitando in Chelsea Girl. La colonna sonora di questo film (1967) costituisce il suo esordio solista, sul quale sono raccolti cinque avanzi delle session con i Velvet Underground e tre composizioni di Jackson Browne. Gli arrangiamenti da musica classica sono un ben meschino surrogato delle devastanti orge sonore di Cale e Reed: il canto di Nico vi perde i connotati sinistri e la sua gelida emotivita`, non trova appigli drammatici fra archi pastorali e flauti bucolici. Soltanto il raga ipnotico e dissonante di It Was A Pleasure Then lascia trasparire le potenzialita` espressive di Nico, qui angelica muezzin.

Trascorso un altro anno nell'entourage di Warhol, Nico si impiega in un night club di Saint Mark's Place, e conosce Jim Morrison che le insegna a poetare in musica. Evita i festival e le altre mondanita` rock, a cui preferisce i teatri meno affollati di periferia. Facendosi aiutare dai pochi amici, riesce ad incidere i due dischi della maturita`, Marble Index (Elektra, 1968) e Desert Shore (Reprise, 1970), ritratti seducenti della anomala personalita` di questa chanteuse fatale d'indole patrizia. Si stabilisce a Parigi, dove prosegue anche la sua attivita` di attrice cinematografica in pellicole underground di nessuna forza commerciale. Le sue apparizioni si fanno sempre piu` rare, ma nel 1974, in seguito a un concerto inglese che e` un avvenimento per il numero e il prestigio dei partecipanti, incide un nuovo disco, The End, dedicato al maestro della fine. Di nuovo svanita nei club d'avanguardia (di Manchester, sua nuova residenza), riemerge al principio degli anni '80, quando finalmente la critica e il pubblico si accorgono di lei. Questa per sommi capi la storia di una delle personalita` piu` sconcertanti del rock: bellissima e profondamente sola, apolide, imperscrutabile, un volto enigmatico da tragedia greca e il fascino ambiguo di una vita intensa. Con due dischi per decennio Nico e` certamente una delle figure meno prolifiche e piu` riservate del rock. Il suo intero opus non arriva a cinque ore di musica.

Fin dall'inizio Marble Index si presenta come un'esperienza traumatica. Gli arrangiamenti suggestivi di John Cale (con l'assenza di percussioni, frequenti rimandi all'avanguardia dissonante e minimale, citazioni folk di tutte le epoche e le zone) e il fantasma della voce di Nico che si aggira senza pace nei dedali di una mente devastata, affrescano paesaggi irreali e stregati, certo paesaggi interiori, fatti di aria, di luce bianca, di visioni ineffabili, di ombre senza nome. Le atmosfere dei brani, tenui, labili, apatiche, anemiche, moribonde, vengono diffratte e deformate come in un labirinto di specchi. Le canzoni evocano la desolazione di un mondo gelido e deserto, come dopo un'immane catastrofe. E Nico sembra davvero cantare sotto un trauma terribile nella solitudine piu` totale: il suo canto non ha la forza di levarsi in inflessioni emotive e si contenta di un solfeggio al ralenti`, spesso deturpato da echi sinistri. E` qualcosa di piu` profondo e definitivo della nevrosi urbana cio` che ha fatto regredire Nico a questa forma di musica cerimoniale da catacombe; e` una weltanschauung intensa, un'angoscia incurabile, un fatalismo latente e perenne.

Cale inventa il giusto sottofondo strumentale facendo tesoro della musica classica rock di Academy In Peril. Anche qui gli arrangiamenti compongono delle piccole sonate da camera, ma e` il canto cadaverico di Nico a conferire un senso al tutto, annullando le ambizioni sinfoniche e ampliando l'orizzonte al folklore orientale.

Gotico fino all'esaurimento nervoso, il disco non indulge pero` mai nell'horror. Se e` vero che ogni lied e` una piccola danse macabre, e` anche vero che Nico la strania infarcendola di eventi sonori come giostre, organetti, testiere onomatopeiche (vortici d'acqua, sibili di vento) e dissonanze astratte.

La Nico decadente dei Velvet non esiste piu`. Smessa la lingerie da chanteuse, Nico assume le sembianze dello sciamano che recita un'orazione funebre. Orge e perversioni sono infantilismi del passato, qui occultati da un senso della caducita` di tutte le cose che lambisce la metafisica.

Il vocalismo di Nico si adegua, abbandonando l'enfasi decadente da cabaret di Weimar a favore di tecniche di canto mediorientali, indiane e medievali, ma soprattutto sospendendosi in quella gelida neutralita` che rimane il suo autentico marchio di fabbrica.

In Lawns Of Dawn la sua voce esce da un tintinno che rende il vortice di sole all'aurora; un ritornello millenario si snoda sulle dissonanze dell' harmonium (quasi una fisarmonica) e dell'organo e sulle percussioni casuali, dando l'impressione di un miraggio in dissolvenza. L'impressionismo delicato dell'arrangiamento si sposa al cabaret brechtiano tramite l'organetto trasfigurato della canzone di strada ottocentesca. Ari`s Song e` trafitta da una lunga, solenne nota da organo di cattedrale che accompagna l'elegia da muezzin di Nico, intrecciata a sibili distorti di flauti e clavinette. Un ritmo marziale di pianoforte incalza il riverbero angosciante di Facing The Wind, il cui harmonium vibra in una foschia lisergica di battiti metallici. No One Is There si apre invece come un quartetto d'archi: violino, viola e violoncello confabulano liberamente per frasi brevi e discordi, mentre Nico intona un alto lamento di solitudine (a tratti il violino scimmiotta le ultime note delle strofe oppure le batte il tempo, come nei balletti di Stravinsky). Le qualita` astratte del suo canto brillano soprattutto in Julius Caesar , dove e` evidente la derivazione dal recitar cantando, violentato saltuariamente da melismi arabo-persiani: il canto e` del tutto indipendente dall'indemoniato duetto di viola e harmonium e la sua acrobatica linearita` ne e` anzi l'antitesi. L'incedere solenne della cantilena di Evening Of Light, in un turbinare ossessivo di pipistrelli clavicembalistici e sui rimbombi minacciosi del violoncello, e il suo apocalittico finale, rumoristico e minimalista, suggellano un disco muto.

Dietro ogni brano si nasconde un genere ben preciso: ballata folk (Lawn), musica da camera (No One, Julius Caesar), musica da chiesa (Ari), psichedelia (Facing, Evening); ma trasfigurato con nonchalance da qualche anomalia armonica (pianismi da cocktail lounge, organi minimalisti, archi fauve). Nella monolitica monotonia del suo spartito Nico riesce ad incorporare elementi delle piu` disparate civilta` musicali.

Su tutte le canzoni spira un vendo di antichita` (preistorica, greco-romana o medievale) che complementa le sue visioni di modernita` apocalittica. I testi schizoidi e sinistri che invitano a una nobile e rassegnata disperazione si possono leggere come lamenti sulla bellezza inutile di ogni civilta`, ciascuna inesorabilmente destinata a scomparire in un sordido medioevo che e` gia` in agguato. Il dolore dell'ineluttabile, il senso cosmico della storia, il nulla in definitiva come senso del tutto costituiscono le pulsioni primarie della sua musica. Quel canto alto e neutro e` un'eco scagliata in superficie dagli abissi del tempo. Un universo di dolore preclude la vista dell'aldila`, ma quell'eco perduta ne riporta e preannuncia tutta l'efferata vacuita'.

Il rituale allucinato di Nico ha cadenze che possono ricordare, a piacimento, un requiem bellico, i cantori della tragedia classica, la colonna sonora di un film dell'orrore, una marcia funebre o una messa gregoriana.

Desertshore (1970) e` ancor piu` tragico e opprimente, afflitto da un cupo senso di mistero e di angoscia, I suoi enunciati taglienti, i suoi sussurri equivoci, le sue nenie da bambina, sembrano essere le voci di una malata perennemente assorta in un'attonita paralisi mentale, la quale conferisce al disco una staticita` ossessiva. Straziante e immanente, la musica si attiene alla strumentazione un po' snob del disco precedente, con harmonium e viola elettrica (sempre Cale) a scandire imponenti un ritmo che non e` piu` ritmo ma flusso di coscienza, e in aggiunta a quello sibili e clangori a suscitar incubi cosmici.

Fin da Janitor Of Lunacy il tono del disco si presenta piu` solenne e il registro di Nico, piu` fermo e sicuro, assume inflessioni piu` profetiche. La combinazione fra l'harmonium ecclesiastico di Nico e l'organo minimalista di Cale in questo brano rappresenta la forma strumentale piu` essenziale della sua liederistica. In The Falconer, non meno maestosa e ipnotica, le potenti e minacciose bordate di organo sono contrappuntate da martellate pianistiche casuali che scandiscono il classicismo rarefatto e la tensione soprannaturale del canto; tensione che si stempera peraltro in uno dei rarissimi sprazzi di serenita` quando Cale attacca una sonata romantica al pianoforte e Nico intona una delle sue filastrocche infantili. Proprio soavi cantilene infantili come questa costituiscono il trucco piu` ad effetto del suo horror esistenziale: My Only Child, religioso coro a cappella con pause di silenzio a segnare il ritmo, e Le Petit Chevalier, un bambino che canta in francese per un minuto con il solo accompagnamento del clavicembalo, sono in effetti gli esercizi piu` macabri dell'opera. A quale stato di delirio possa portare questa prassi e` dimostrato dal finale, ancora una volta grottesco e apocalittico, di All That Is My Own, dove si incrociano un recitativo nonsense e un inno altissimo, tanto puro quanto demoniaco, a ritmo di gong, di viola indiana, di tastiere minimaliste, di trombe rinascimentali, di passi di danza medievali.

Il lied da camera si sublima invece nel trittico di Abschied, Afraid, Mutterlein. Melodia da cabaret espressionista la prima, ma sempre su sovratoni da inno nazionale o da salmo ecclesiastico, delicata cristallina serenata alla paura la seconda, sonata dissonante la terza, dilaniata da cori e trombe funebri.

Tutte le canzoni partecipano dello stesso sgomento/tormento: una bambina millenaria gioca con la vita e con la morte e canticchia vecchi ritornelli di civilta` estinte. Circe prigioniera di un'isola deserta o Elettra impazzita nei suoi giochi di morte, la androgina bionda figura compie gesti minimi per scrivere nella sabbia il proprio destino all'infinito. Intorno a lei si dilata il vuoto.

Maggiormente melodico, Desertshore mette a fuoco il canto pietrificato e lunare di Nico, lontano quanto lo si puo` essere dalla passionalita` del soul o dalla teatralita` dell'opera, semmai piu` vicino, almeno idealmente, al song elisabettiano e alla salmodia protestante.

C'e qualcosa di soprannaturale nel modo distaccato eppure tragico di cantare il fato tremendo del genere umano. E` come se Nico osservasse da millenni la tragedia umana e tentasse di trasmetterne il dolore all'uditorio di un altro pianeta. Cosi` astratto e scarnificato, il dolore non e` piu` dolore, e` soltanto sintassi del dolore: gemiti acuti, cori sepolcrali, cadenze a lutto, suoni dimessi, epitaffi e necrologi, liturgie e processioni.

La musica di Nico e` difficilmente assimilabile ad altre manifestazioni del rock. Le sue canzoni, cantate in un registro basso, lugubre e asessuato, appartengono piu` alla "liederistica" tedesca e ai Carmina Burana medievali che al rock.

La sfinge torna a parlare dopo quattro anni, e sono parole di morte: The End (1974), il testo sulla morte redatto dal morto per eccellenza Jim Morrison. Nella doppia dedica alla morte e` racchiuso il senso dell'esistenza per Nico: non macabro facile da consumare con un po' di brividi snob, ma nichilismo assoluto, vuoto di vertigine.
Nico canta come se leggesse un breviario, e` fredda e frigida, estinta. Scandisce le parole e infierisce sulle vocali con manierismo orientale, ed e` particolarmente lugubre quando "fa" la bambina (i "la-la-la" di It Has Not Taken Long). Il panico che fa tremare la sua voce, antica e marmorea, e` la paura di una vita che e` degradazione continua, giorno dopo giorno un eroico martirio senza tregua (Secret Side). Nico, sacerdotessa, angelo-demone dell'inferno-paradiso, pronuncia le formule magiche dei riti, evoca una lenta e solenne messa nera (You Forget To Answer) e conduce i dannati nella turpe cerimonia (We`ve Got The Gold). Recita con angoscia, menestrella della propria solitudine e della notte dell'apocalisse (Valley Of The Kings).
Nico al solito tremulo harmonium, Phil Manzanera alla chitarra, Brian Eno al sintetizzatore, Cale alle percussioni e alle tastiere acustiche, piu` un dimesso coro femminile, formano un ensemble suggestivo, ed eguagliano lo stupendo isolamento in cui Nico si era chiusa per distillare i due capolavori precedenti.

Nico, da tempo afflitta da tossico-dipendenza, si curo` nel 1978.

L'album successivo, Drama Of Exile (1981), il primo registrato con un complesso rock normale, si apre a visioni esotiche e ad arrangiamenti elettro-pop (metronomie da discoteca, sassofoni jazz e chitarre elettriche, voce filtrata, ritmi e sonorita` da world beat). L'estroversione e gli orientalismi non giovano ne` alla sua liturgia criptica ne` alla sua mitologia arcaica. La strumentazione elettrica acuisce l'effetto straniante del tetro recitativo di Nico soltanto nell'ipnotica danza metallica Henry Hudson. Vestale oscena e mummia dissepolta, fantasma di un tempio indiano, dea della Foresta Nera, Nico fa aleggiare il suo aristocratico sospiro in un labirinto di suoni barbari, con vertici di suspense e nevrosi in tetri psicodrammi dissonanti come Purple Lips e Orly Flight.

Camera Obscura (1985) e` la raccolta che, quattro anni dopo, riprende il suo viaggio interiore. Il complesso si e` ridotto a tre unita` (harmonium, tastiere e percussioni), ma il sound e` ancora istericamente elettronico e il suo canto e` stranamente inquieto, alla ricerca di nuove identita': geme in sordina nel tintinnare dissonante di oggetti metallici (Camera Obscura), si libra in solenni acrobazie orientali (Tananore), volteggia senza peso in atmosfere da film noir (Into The Arena), si distende in marziali progressioni religiose (My Heart Is Empty), riluce di evi arcaici e di civilta` orientali (Win A Few) e si gonfia di teutonica weltenschaung, finalmente, quando si accompagna da sola all'harmonium (Konig). Nico ha perso molto del lirismo fantastico dei primi dischi, chiudendosi a riccio in un melodramma paranoico della incomunicabilita` e ricorrendo ad arrangiamenti elettrici molto ritmati.

Classic Years (Polygram, 1998) e` un'antologia.

The Frozen Borderline is an expanded edition of The Marble Index and Desertshore.

Nico e` morta di emorragia cerebrale (un incidente di bicicletta causato da un attacco cardiaco) nel Luglio 1988 nell'isola di Ibiza dove trascorreva gran parte del suo tempo libero.

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