Mike Oldfield


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Tubular Bells (1973), 8/10
Hergest Ridge (1974), 7/10
Orchestral Tubular Bells (1975), 4/10
Ommadawn (1975), 6.5/10
Incantations (1978), 6.5/10
Exposed (1979), 4/10
Platinum (1979), 4/10
Q.E.2 (1980), 4/10
Five Miles Out (1982), 5/10
Crises (1983), 6/10
Discovery (1984), 4/10
The Killing Fields (1984) * soundtrack
Islands (1987), 4/10
Earth Moving (1989), 4/10
Amarok (1990), 6.5/10
Heaven's Open (1991), 4/10
Tubular Bells II (1992), 5/10
The Songs Of Distant Earth (1995), 6/10
Voyager (WEA, 1996), 4/10
Tubular Bells III (1998), 4.5/10
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Summary.
When enfant prodige Mike Oldfield (11) cut Tubular Bells (1973), an album-long suite of instrumental music, all played by himself gluing together the parts of dozens of instruments, he redefined what prog-rock was. In fact, "progressive-rock" became an obsolete term to refer to a music that crossed all stylistic borders. Oldfield's subsequent ventures into the suite, starting with Hergest Ridge (1974), never repeated the miracle of his first work, despite the fact that Ommadawn (1975) and Incantations (1978) were built on more and more ambitious foundations (and Oldfield would eventually downplay that format in favor of the pop song, particularly with 1982's Moonlight Shadow).
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Mike Oldfield era a tutti gli effetti un enfant prodige quando si affaccio` sulla scena della musica rock. Ancora adolescente, aveva aiutato la sorella Sally Oldfield a registrare Sallyangie (Transatlantic, 1968), ed era stato assunto da Kevin Ayers.

A soli vent'anni Mike Oldfield ebbe un'idea rivoluzionaria: registrare una composizione lunga un album intero, tutta composta, suonata (a ventotto strumenti) e arrangiata da lui (sovrapponendo ottanta tracce). Non solo: ebbe anche l'idea di "cucire" insieme diversi temi melodici ispirati a diversi generi musicali. Dulcis in fundo, ebbe l'idea di suonare l'intera suite in maniera non piu` sperimentale del brano medio delle stazioni FM.
Nacque così Tubular Bells (Virgin, 1973), un disco che (oltre a vendere più di dieci milioni di copie) cambiò per sempre la storia del rock strumentale. E da quel momento Oldfield è diventato uno standard di riferimento per tutti coloro che compongono poemi tonali, elettronici o meno.
Di facile digestione e propinata anche come colonna sonora, Tubular Bells mescola un po' di tutto (melodie mediterranee, folk, rock and roll, psichedelia, musica classica, minimalismo) con lodevole grazia e lunghezza sinfonica. L'abilità di Oldfield consiste prima nell'orchestrare ciascun frammento (e suonarlo da solo) e poi nell'incollare i vari frammenti uno dopo l'altro. La tecnica è quella delle fantasie melodiche della musica classica, ma lo spettro di temi o stili che Oldfield affronta è molto più ampio. Rispetto al rock progressivo da cui proveniva Oldfield fu anche attento ad evitare le sonorità più cervellotiche.
La prima parte si apre con un organo che ripete in crescendo frenetico e in un timbro squillante il tema principale. Il contrappunto di pianoforte ed elettronica si fa sempre più vivace e sempre più complesso finché un motivo di flauto si intreccia a quello dell'organo. Entra la chitarra elettrica con una terza variante del tema e a quel punto l'orchestra si unisce in un improvviso sussulto. L'organo scompare in sottofondo cedendo la scena a un mandolino, che intona una variante mediterranea del tema. Il tintinnio di strumenti che ha fatto da sfondo viene trascinato in un gorgo di elettronica, il ritmo del basso cresce sempre più forte e la chitarra si lancia in un assolo arroventato. L'elettronica si fa minacciosa, la chitarra accenna un tema da colonna sonora e poi una variante pastorale del tema principale, che cresce poco alla volta fino a uno squillante assolo. La chitarra lo cede a un coro mesto e a un organetto d'epoca per tuffarsi poi in un riff trascinante di hard-rock. La prima parte si chiude con un pomposo crescendo lanciato dalla chitarra, alla quale si uniscono uno alla volta tutti gli strumenti fino a culminare in un tripudio di campane e coro femminile.
La seconda parte è molto più folk, pastorale, rilassata. Per una decina di minuti la scena è dominata da melodie di chitarra senza una trama. La musica si sveglia di colpo con dei macigni elettronici che avanzano a passo marziale. Un accenno di pow-wow e il pianoforte intona un tema demenziale degno di Todd Rundgren su cui un grugnito da lupo mannaro imbastisce una canzone. La chitarra indulge in un paio di danze rurali. Poi il tema principale ritorna sotto forma di requiem per organo e pigolio indiano di chitarra, e la suite va in gloria con un gioviale saltarello condotto dalla chitarra.
Oldfield non lo sapeva, ma aveva appena steso un ponte fra progressive-rock e la futura musica new age.

La suite successiva, Hergest Ridge (Virgin, 1974), non fu altrettanto felice. La prima parte cincischia per un po' con spunti celtici e rinascimentali prima di immergersi in fanfare e adagi sinfonici che la portano (ma senza sobbalzi) fino al solito finale trionfale per coro e campane. La seconda parte si apre all'insegna di un brulichio minimalista alla Tubular Bells ma è in gran parte dominata da una travolgente danza guidata dall'organo.

Oldfield era ovviamente alla ricerca di qualcosa di diverso, ma il miracolo del primo lavoro era difficile da ripetere. Per Ommadawn (Virgin, 1975) si servi` di un gruppo di percussionisti africani, di una banda marciante e di un piccolo coro di voci bianche, oltre che di una marea di strumenti dell'orchestra e di strumenti folk. I momenti migliori sono forse proprio quelli piu` folk, quando Oldfield fonde percussioni africane e canto celtico (verso la fine della Part 1). La Part 2 inizia con un overdub di chitarre che crea un effetto sinfonico. Le sue tastiere elettroniche e le sue chitarre dominavano pero` in maniera ancor più perentoria il paesaggio sonoro.

Alle suite Oldfield alternava canzoni ricavate da arie celebri (mottetti medievali, ouverture di Rossini, ballate folk) di sicura presa sul pubblico (Don Alfonso, 1975; la carol natalizia In Dulce Jubilo, 1975; Portsmouth, 1976; William Tell Overture, The Cuckoo Song, Blue Peter, 1979),

La monumentale Incantations (Virgin, 1978), orchestrata da David Bedford, esagero` in charme e acume, senza riuscire ad aggiungere molto di concreto alle partiture precedenti. La Part 1 ricicla i soliti riferimenti alla musica celtica, africana e mediorientale. La Part 2 e` piu` originale, sia perche' erige una struttura quasi sinfonica sia perche' raggiunge un'intensita` quasi religiosa. La Part 3 e` un trascinante misto di bolero, dervish e marcia militare. La Part 4 e` un tentativo un po' goffo di chiudere l'opera su toni trionfali. Il disco-mix di Guilty (1978) apri` comunque un nuovo fronte.

Dopo il doppio live Exposed (Virgin, 1979) e quella che e` forse la sua peggiore suite, Platinum (Virgin, 1979), ma anche il primo album che contiene semplici canzoni di tre minuti, Oldfield era giunto a una "dead end".

Q.E.2 (Virgin, 1980) assorbi` senza scrupoli il battito della disco-music, nel tentativo disperato di trovare un nuovo pubblico (Taurus I). L'hit di successo fu la cover di un brano tradizionale.

Five Miles Out (Virgin, 1982) torno` alla suite di venti minuti (Taurus II) ma provo` anche la ballata folk Family Man, nobilitata dal contralto cristallino di Maggie Reilly, prototipo per la melodia piu` orecchiabile di tutta la carriera di Oldfield, Moonlight Shadow. Questa e` il pezzo forte di Crises (Virgin, 1983), che contiene anche Foreign Affair, In High Places e la suite Crises.

Un certo successo ottenne anche la colonna sonora del film The Killing Fields (Virgin, 1984).

To France, da Discovery (Virgin, 1984), Pictures In The Dark (1985), Shine (1986), Flying Start , da Islands (Virgin, 1987), la title-track su Earth Moving (Virgin, 1989), album essentialmente elettronico, Sentinel, da Tubular Bells II (Reprise, 1992), sono le canzoni di successi del periodo.

Le suite dell'ultimo periodo sembrano però quasi parodie del suo periodo maggiore. Amarok (Virgin, 1990) e` la migliore, una degna continuazione di Ommadawn senza il bagaglio elettronico dell'album precedente. Oldfield impiega 65 strumenti e adotta uno stile di collage che fa pensare a una raccolta di impressioni piu` che a una suite organica. The Wind Chimes, su Islands (Virgin, 1987), Music From The Balcony, su Heaven's Open (Virgin, 1991), e Tubular Bells II (WEA, 1992), sono invece tipiche della mancanza d'ispirazione.

Con The Songs Of Distant Earth (Reprise, 1995) Oldfield si tuffa invece nel genere "ambientale" per sintetizzatore e campionamenti inventato dai suoi nipotini, gli Enigma. Tubular World getta un ponte fra maestro e discepoli. Ascension corona il suo tentativo di svecchiare le sue suite: è rimasta la concezione cinematica, in continuo movimento, di Tubular Bells, ma il materiale ha superato lo stadio di melodie e riff per arrivare a quello dei suoni astratti.

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The piece of Tubular Bells II (WEA, 1992) is just a few seconds short of one hour. The initial theme sounds like a shameless remix of the original Tubular Bells but with neither the melodic charm nor the rocking bite of the original. An Enya-esque choir is underutilized while piano and guitar repeat the leitmotiv. Sixteen minutes into the piece we also hear the pulsing bass figure that led to the hard-rock riff, but here it leads to a folkish ballet and a lame poppy riff. Better is the melancholy guitar melody that follows and the Ennio Morricone-esque chant that rises, but this lasts only a few seconds, soon replaced by a festive reprise of the leitmotiv through variations led by different instruments. After about half an hour the piece restarts but mainly meanders in search of direction. The female chant returns around minute 41 and signals the rise of the best guitar melody. The chaotic finale includes scottish hornpipes at marching tempo, hard-rock guitar, orchestral pomp, melancholy sighs and even a bluegrass banjo.

After the celtic tribute Voyager (WEA, 1996), Oldfield relocated to Ibiza (Spain), and, influenced by the booming acid-house scene, recorded Tubular Bells III (Reprise, 1998), not a hour-long suite like its two predecessors but a collection of 11 songs, which weds the decades old melody with pulsating electronic beats and exotic chanting (The Source of Secrets), trading the folk roots for lounge muzak (Jewel in the Crown), but also rediscovering the power of hard-rock guitar (Outcast). Sung by Cara Dillon, Man in the Rain imitates Moonlight Shadow.

Oldfield couldn't resist celebrating the millennium with The Millennium Bell (WEA, 1999), and tried to improve his status as a composer by releasing Guitars (WEA, 1999) and Tr3s Lunas (2002), an interactive video album.

Elements (Virgin, 1993) is probably the best anthology.

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