Summary.
When enfant prodige Mike Oldfield (11)
cut Tubular Bells (1973),
an album-long suite of instrumental music, all played by himself
gluing together the parts of dozens of instruments,
he redefined what prog-rock was. In fact, "progressive-rock"
became an obsolete term to refer to a music that crossed all stylistic borders.
Oldfield's subsequent ventures into the suite, starting with
Hergest Ridge (1974), never repeated the miracle of his first work,
despite the fact that Ommadawn (1975) and Incantations (1978)
were built on more and more ambitious foundations (and Oldfield would
eventually downplay that format in favor of the pop song, particularly
with 1982's Moonlight Shadow).
If English is your first language and you could translate my old Italian text, please contact me.
Scroll down for recent reviews in English.
|
Mike Oldfield era a tutti gli effetti un enfant prodige quando si affaccio`
sulla scena della musica rock. Ancora adolescente, aveva aiutato la sorella
Sally Oldfield a registrare Sallyangie (Transatlantic, 1968), ed
era stato assunto da Kevin Ayers.
A soli vent'anni Mike Oldfield ebbe un'idea rivoluzionaria: registrare una
composizione lunga un album intero, tutta composta, suonata
(a ventotto strumenti) e arrangiata da lui
(sovrapponendo ottanta tracce).
Non solo: ebbe anche l'idea di "cucire" insieme diversi temi melodici ispirati
a diversi generi musicali.
Dulcis in fundo, ebbe l'idea di suonare l'intera suite in maniera non piu`
sperimentale del brano medio delle stazioni FM.
Nacque così Tubular Bells (Virgin, 1973),
un disco che (oltre a vendere più di dieci milioni di copie)
cambiò per sempre la storia del rock strumentale. E da quel momento Oldfield è diventato
uno standard di riferimento per tutti coloro che compongono poemi tonali, elettronici o meno.
Di facile digestione e propinata anche come colonna sonora, Tubular
Bells mescola un po' di tutto (melodie mediterranee, folk, rock and roll, psichedelia, musica classica,
minimalismo) con lodevole grazia e lunghezza sinfonica. L'abilità di Oldfield consiste prima
nell'orchestrare ciascun frammento (e suonarlo da solo) e poi nell'incollare i vari frammenti uno dopo
l'altro. La tecnica è quella delle fantasie melodiche della musica classica, ma lo spettro di temi o
stili che Oldfield affronta è molto più ampio. Rispetto al rock progressivo da cui
proveniva Oldfield fu anche attento ad evitare le sonorità più cervellotiche.
La prima parte si apre con un organo che ripete in crescendo frenetico e in
un timbro squillante il tema principale. Il contrappunto di pianoforte ed elettronica si fa sempre
più vivace e sempre più complesso finché un motivo di flauto si intreccia a quello
dell'organo. Entra la chitarra elettrica con una terza variante del tema e a quel punto l'orchestra si unisce
in un improvviso sussulto. L'organo scompare in sottofondo cedendo la scena a un mandolino, che intona
una variante mediterranea del tema. Il tintinnio di strumenti che ha fatto da sfondo viene trascinato in un
gorgo di elettronica, il ritmo del basso cresce sempre più forte e la chitarra si lancia in un assolo
arroventato. L'elettronica si fa minacciosa, la chitarra accenna un tema da colonna sonora e poi una
variante pastorale del tema principale, che cresce poco alla volta fino a uno squillante assolo. La chitarra
lo cede a un coro mesto e a un organetto d'epoca per tuffarsi poi in un riff trascinante di hard-rock. La
prima parte si chiude con un pomposo crescendo lanciato dalla chitarra, alla quale si uniscono uno alla
volta tutti gli strumenti fino a culminare in un tripudio di campane e coro femminile.
La seconda parte è molto più folk, pastorale, rilassata. Per
una decina di minuti la scena è dominata da melodie di chitarra senza una trama. La musica si
sveglia di colpo con dei macigni elettronici che avanzano a passo marziale. Un accenno di pow-wow e il
pianoforte intona un tema demenziale degno di Todd Rundgren su cui un grugnito da lupo mannaro
imbastisce una canzone. La chitarra indulge in un paio di danze rurali. Poi il tema principale ritorna sotto
forma di requiem per organo e pigolio indiano di chitarra, e la suite va in gloria con un gioviale saltarello
condotto dalla chitarra.
Oldfield non lo sapeva, ma aveva appena steso un ponte fra progressive-rock
e la futura musica new age.
La suite successiva, Hergest Ridge (Virgin, 1974), non fu altrettanto
felice.
La prima parte cincischia per un po' con spunti celtici e rinascimentali prima di
immergersi in fanfare e adagi sinfonici che la portano (ma senza sobbalzi) fino al solito finale trionfale
per coro e campane. La seconda parte si apre all'insegna di un brulichio minimalista alla Tubular
Bells ma è in gran parte dominata da una travolgente danza guidata dall'organo.
Oldfield era ovviamente alla ricerca di qualcosa di diverso, ma il miracolo
del primo lavoro era difficile da ripetere. Per Ommadawn (Virgin, 1975)
si servi` di un gruppo di
percussionisti africani, di una banda marciante e di un piccolo coro di voci
bianche, oltre che di una marea di strumenti dell'orchestra e di strumenti
folk.
I momenti migliori sono forse proprio quelli piu` folk, quando Oldfield
fonde percussioni africane e canto celtico (verso la fine della Part 1).
La Part 2 inizia con un overdub di chitarre che crea un effetto
sinfonico.
Le sue tastiere elettroniche e le sue chitarre dominavano pero` in maniera
ancor più perentoria il paesaggio sonoro.
Alle suite Oldfield alternava canzoni ricavate da arie celebri
(mottetti medievali, ouverture di Rossini, ballate folk) di sicura presa sul
pubblico (Don Alfonso, 1975; la carol natalizia
In Dulce Jubilo, 1975; Portsmouth, 1976;
William Tell Overture, The Cuckoo Song, Blue Peter, 1979),
La monumentale Incantations (Virgin, 1978),
orchestrata da David Bedford,
esagero` in charme e acume, senza riuscire ad aggiungere molto di concreto alle
partiture precedenti.
La Part 1 ricicla i soliti riferimenti alla musica celtica, africana
e mediorientale. La Part 2 e` piu` originale, sia perche' erige
una struttura quasi sinfonica sia perche' raggiunge
un'intensita` quasi religiosa.
La Part 3 e` un trascinante misto di bolero, dervish e marcia militare.
La Part 4 e` un tentativo un po' goffo di chiudere l'opera su toni
trionfali.
Il disco-mix di Guilty (1978) apri` comunque un nuovo fronte.
Dopo il doppio live Exposed (Virgin, 1979) e quella che e` forse la sua
peggiore suite, Platinum (Virgin, 1979), ma anche il primo album che
contiene semplici canzoni di tre minuti,
Oldfield era giunto a una "dead end".
Q.E.2 (Virgin, 1980) assorbi` senza scrupoli il battito della
disco-music, nel tentativo disperato di trovare un nuovo pubblico
(Taurus I). L'hit di successo fu la cover di un brano tradizionale.
Five Miles Out (Virgin, 1982) torno` alla suite di venti minuti
(Taurus II) ma provo` anche la ballata folk
Family Man, nobilitata dal contralto cristallino di Maggie Reilly,
prototipo per la melodia piu` orecchiabile di tutta la carriera di Oldfield,
Moonlight Shadow. Questa e` il pezzo forte di
Crises (Virgin, 1983), che contiene anche
Foreign Affair, In High Places e la
suite Crises.
Un certo successo ottenne anche la colonna sonora del film
The Killing Fields (Virgin, 1984).
To France, da Discovery (Virgin, 1984),
Pictures In The Dark (1985),
Shine (1986),
Flying Start , da Islands (Virgin, 1987),
la title-track su Earth Moving (Virgin, 1989), album essentialmente
elettronico,
Sentinel, da Tubular Bells II (Reprise, 1992),
sono le canzoni di successi del periodo.
Le suite dell'ultimo periodo sembrano però quasi parodie del suo
periodo maggiore.
Amarok (Virgin, 1990) e` la migliore, una degna continuazione di
Ommadawn senza il bagaglio elettronico dell'album
precedente. Oldfield impiega 65 strumenti e adotta uno stile di collage
che fa pensare a una raccolta di impressioni piu` che a una suite organica.
The Wind Chimes, su Islands (Virgin, 1987),
Music From The Balcony, su Heaven's Open (Virgin, 1991), e
Tubular Bells II (WEA, 1992), sono invece tipiche della mancanza
d'ispirazione.
Con The Songs Of Distant Earth (Reprise, 1995)
Oldfield si tuffa invece nel
genere "ambientale" per sintetizzatore e campionamenti inventato dai suoi
nipotini, gli Enigma. Tubular
World getta un ponte fra maestro e discepoli. Ascension corona il suo tentativo di svecchiare
le sue suite: è rimasta la concezione cinematica, in continuo movimento, di Tubular Bells, ma il materiale ha superato lo stadio di melodie e riff per arrivare a quello dei suoni
astratti.
|