Dead Can Dance


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Dead Can Dance, 7/10
Garden Of Arcane Delight, 7/10 (EP)
Spleen And Ideal, 8/10
Within The Realm Of A Dying Sun, 6/10
The Serpent's Egg, 7/10
Aion, 6.5/10
Into The Labyrinth, 6/10
Towards The Within, 6/10
Spiritchaser, 5/10
Lisa Gerrard: The Mirror Pool, 6/10
Lisa Gerrard: Duality , 6/10
Brendan Perry: Eye Of The Hunter, 7.5/10
Lisa Gerrard: The Insider, 6/10
Peter Ulrich: Pathways And Dawns , 6/10
Lisa Gerrard: The Whale Rider (2003), 5/10
Lisa Gerrard: Immortal Memory (2004), 4/10
Lisa Gerrard: Silver Tree (2006), 5/10
Brendan Perry: Ark (2010), 5/10
Anastasis (2012), 5/10
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Summary
The duo of multi-instrumentalist Brendan Perry and Australian vocalist Lisa Gerrard, i.e. Dead Can Dance transposed the mystic exotica of bands such as Third Ear Band, Popol Vuh and Clannad into the age of dream-pop. The austere, spectral, glacial songs on Dead Can Dance (1984) sounded like chamber sonatas and classical lieder, while fusing gothic, medieval and ethnic elements. The magnificent orchestration of Spleen And Ideal (1985) upped the ante, as did the religious intensity of Gerrard's performance. Imposing arrangements levelled paleo-slavic hymns, Gregorian liturgy, celtic folk, Tibetan chants, renaissance madrigals, middle-eastern dances. The stately decor and the alternation of Perry's symphonic ballads and Gerrard's free-form odes evoked early King Crimson. The duo played the same formula over and over again, first with the ambitious but unfocused Within The Realm Of A Dying Sun (1987), then with the lush, meticulous arrangements (or, better, plethora of sound effects) of The Serpent's Egg (1988). During the 1990s, they indulged in trivial repetitions of their least original ideas: the recreation of ancient musical styles on Aion (1990), via epoch instruments and dead languages, and Into The Labyrinth (1993), the pan-ethnic collage of Spiritchaser (1996).
If English is your first language and you could translate my old Italian text, please contact me.
I Dead Can Dance sono stati una delle esperienze fondamentali del rock "atmosferico" degli anni '80 e '90 in quanto furono fra i primi a riuscire nell'impresa di assimilare un suono gotico, esotico, medievale, classicheggiante nella struttura della canzone rock. Il punto di partenza era un'austerita` che sembrava l'esatta antitesi dello spirito del rock and roll: la loro musica e` gelida, inerte, spettrale. Le canzoni fanno leva su due fattori suggestionanti: gli arrangiamenti, che diventeranno l'equivalente rock della musica da camera, e il canto femminile, che diventera` l'equivalente rock del lied. Sia gli arrangiamenti sia il canto coniarono un nuovo standard di riferimento per un'intera generazione di musicisti rock. L'arrangiamento costituiva il fatto piu` saliente. Ogni album cambiava "ambientazione" e dava il tono a una nuova epoca, passando dal gotico dei primi tempi alla religiosita` del secondo album, dall'arcaico del terzo all'esotico del quarto, dal rinascimentale del quinto al celtico del sesto.

I Dead Can Dance vennero formati a Melbourne (Australia) dal multi-strumentalista inglese Brendan Perry alla fine degli anni '70 e nel 1980 assorbi` la cantante australiana Lisa Gerrard. La coppia si stabili` a Londra e pubblico` l'album Dead Can Dance (4AD, 1984), che li fece inevitabilmente accostare al dream-pop dei Cocteau Twins, anche se in realta` le atmosfere discendevano direttamente dal punk gotico di Siouxsie e dei Joy Division: armonie tenebrose venivano grossolanamente intessute tramite cadenze (per lo piu` elettroniche) da cerimoniale occulto, dissonanze elettroniche, accordi orientaleggianti delle chitarre, e su tanto lugubre e morboso fondamento venivano fatte librare urla (Fatal Impact) e le cantilene d'oltretomba di Perry (The Trial, Wild In The Woods); oppure su un sottofondo di tribalismo e rumori si distendeva una litania arabeggiante di Gerrard (Frontier e Threshold). In Ocean un lago di accordi e vagiti creava il sottofondo per un'eco di Gerrard lontanissima, che sembra intonare un salmo religioso con voce angosciata. Il rosario si chiudeva con Musica Eternal, un ralenti` astrale che rimane l'intuizione migliore del disco. Salvo che in East Of Eden e nella title-track, la musicalita` dell'opera era pressoche' nulla; il successo dell'operazione era interamente affidato alla suggestione dell'insieme.

Meglio prodotto, se non meglio suonato, l'EP del 1984 Garden Of Arcane Delight perfeziono` quella formula, introducendo forti inflessioni esotiche (poliritmi frenetici e cantilenare alla Siouxsee) in Flowers Of The Sea e soprattutto Carnival Of Lights.

Il progressivo ampliamento dell'"orchestra" ebbe inizio con il secondo album, Spleen And Ideal (1985), che si avvale di fiati (due tromboni), percussioni (due timpani) ed archi (violoncelli, violino). Al tempo stesso la produzione mette sempre piu` in risalto il canto luminoso e astratto di Gerrard. Il disco e` permeato dalla religiosita` dei mantra tibetani, fin dalle prime note di De Profundis, scandite da lentissimi colpi di tamburo, da accordi lunghissimi di organo e da un coro che riecheggia all'infinito. Le ballate di Perry sono ambientate in scenografie musicali sempre piu` fantasiose (la piccola fanfara di The Cardinal Sin, la marcia imponente di Enigma Of The Absolute). Alcuni arrangiamenti sono tanto solenni e arzigogolati da ricordare i primi King Crimson. Sull'altro fronte, quello di Gerrard, Mesmerism e Avatar ritornano allo schema collaudato di vocalizzi paradisiaci o esotici (rispettivamente) su un ritmo tribale.

Within The Realm Of A Dying Sun (1987) e` orchestrato per un ensemble da camera di undici musicisti. E` un lavoro ambizioso che compie un'escursione nelle musiche del lontano passato, come recita il manifesto Anywhere Out Of The World. Nella prima meta` Perry ha modo di dimostrare le sue capacita` di "direttore d'orchestra" nello strumentale Windfall. A svettare sono pero` i viaggi nel subconscio di Gerrard, che occupano la seconda meta`, in particolare Dawn Of The Iconoclast, Cantara e Persephone.

The Serpent's Egg (1988) mette a frutto tutti gli esperimenti precedenti per un'incursione d'effetto nella religiosita` esotica, e lo strumentale Mother Tongue ne e` il nuovo manifesto programmatico. Nel frattempo la schizofrenia che antepone le ballate "sinfoniche" di Perry (fra le quali spiccano l'ipnotica In The Kingdom Of The Blind e la medievale Ullyses), ai voli liberi di Gerrard finisce per premiare sempre di piu` la seconda: soltanto l'organo, con le sue note celestiali, e una sezione d'archi, con i suoi cupi tremolii, accompagna il salmo da convento di The Host Of Seraphim; fra magico e fiabesco prende forma il flusso di coscienza di The Writing Of My Father's Hand, per echi della propria voce e tintinnio di clavicembalo; indulge nel lugubre e nel cerimoniale Chant Of The Paladin, una nenia funebre con accompagnamento marziale di campane a morto e di campanelli hare-krishna. Il suo canto senza parole, tutt'altro che virtuoso, ma capace di catturare le sfumature essenziali di un'emozione, e` forse al culmine. E quel blaterare senza senso funge da alter ego per i testi forbiti delle canzoni di Perry, cosi` come gli arrangiamenti lussureggianti delle seconde complementano la spettrale semplicita` dei sottofondi di Gerrard. Il duo ha insomma fabbricato un equilibrio artificiale fra quelli che sono in realta` due mondi artistici completamente diversi.

Dalle propensione "arcaicizzanti" del disco precedente prende l'abbrivo l'album Aion (1990), un excursus medievale e rinascimentale suonato con strumenti d'epoca e cantato in lingue antiche. Per quanto intriso di religiosita` gregoriana (The Arrival And The Reunion), a dominare sono soavi madrigali (The Promised Womb), sbrigliati saltarelli (As The Bell Rings The Maypole Spins) e indemoniati "dervish" (Rhadarc). In essi Gerrard ha modo di dar sfoggio delle sue capacita` mimetiche. L'opera ha il valore di un catartico bagno d'umilta`. Anche le ballate di Perry (Fortune Presents Gifts e Black Sun, le uniche cantate in inglese) rinunciano alle elaborate partiture orchestrali e riechieggiano le stesse forme medievali.

Nel frattempo il duo aveva composto le musiche per la colonna sonora del film "El Nino De La Luna" (interpretato da Gerrard) e piu` tardi avrebbe composto quelle per il balletto di Redha "La Pavane Rouge". Perry gioca anche brevemente con Mark Ellis negli Elijah's Mantle, producendo due album, Angels Of Perversity (DeNovaDaCapo) e Remedies In Heresies, che si richiamano alla liturgia gregoriana, a iconografie gotiche e alla letteratura decadente.

Fiacco e banale, Into The Labyrinth (1993) non fa pero` che ripetere gli stessi trucchi alla luce di una riscoperta della musica celtica dell'Irlanda (loro nuova patria) e mette pertanto in luce i limiti di questa raggiunta "maturita`": fra i soliti virtuosismi canori di Gerrard e gli scontati richiami al medioevo (Towards The Within), si fanno largo ballate (The Carnival Is Over) sempre piu` stucchevoli in quello stile di "crooning" alla Frank Sinatra o Charles Aznavour che hanno ormai l'unico scopo di procurare un minimo di successo radiofonico (e infatti The Ubiquitous Mr Lovegrove rimarra` il loro massimo successo di classifica). I dischi dei Dead Can Dance hanno nel frattempo perso anche quell'aura religiosa che ne faceva, se non altro, esperienze spirituali prima ancora che musicali.
Gli esperimenti esotici di Gerrard costituiscono la vera ragione per ascoltare i loro dischi: Yulunga, che comincia in un monastero tibetano e finisce in un bazaar arabo, e Saldek, un festival di voci e percussioni orientali, sono altri due saggi di questa "fusion" di generi etnici lontanissimi fra di loro (geograficamente e temporalmente), fusion che ha come meta il genere "super-etnico" lasciato intravedere da The Spider's Stratagem, uno dei suoi recital piu` "neutri" e spettacolari.

L'album dal vivo Towards The Within (4AD, 1994) non ha aggiunto molto al programma musicale dei Dead Can Dance, ma ha lasciato intravedere in Rakim, Persian Love Song e Yulunga i pericoli di un eccessivo manierismo etnico.

Per esplorare quei recessi magici Lisa Gerrard ha pubblicato nel 1995 The Mirror Pool, nobilitato dalle percussioni di Pieter Bourke. Si tratta di raccolta dispersiva per quanto suggestiva, nella quale non mancano brani strumentali orchestrati in maniera superba. L'inizio, Violina, e` un tetro adagio per sezione d'archi, degno di una sinfonia di Mahler, con un Lied non meno tetro e non meno classico che pero` si libra in una polifonia vocale degna della liturgia gregoriana. La Bas e` un incubo gotico, una visione lugubre: Gerrard canta nel registro basso imitando la voce di un monaco, ora sola ora accompagnata da campane a morto, da un'orchestra massiccia, da un organo tenebrosi. L'ouverture strumentale di Nilleshna pennella forse l'atmosfera piu` lirica del disco, con quelle melodie dei violini che volteggiano come in un'aria barocca e quel raggelante assolo d'organo.
L'interesse quasi morboso di Gerrard per il folklore esotico si manifesta nella litania tibetana di Rite, nel girotondo pellerossa di Ajhon, nel lamento persiano di Glorafin, nel saltarello mediorientale di Swans. Gerrard non e` pero` Meredith Monk, e i suoi esperimenti vocali valgono meno degli arrangiamenti. La salmodia radiosa e addolorata di Sanvean e la cantilena spoglia e marziale di Celon, le migliori prove vocali, sono ambientate nel silenzio di un immaginario convento, e forse riescono meglio proprio perche' rinunciano all'ambizione etnica. L'umilta` giova a Gerrard piu` dell'eclettismo.
Alla lunga il continuo autoflagello di Gerrard finisce per prevalere sulla musica, spesso stanca e monotona, raffazzonata attorno a spunti, a passioni fuggevoli per questo o quel genere. Pochi dei sedici pezzi sembrano compiuti, la maggioranza sembrano esperimenti ancora da mettere a fuoco, prove generali per una composizione ancora da comporre. Gli squarci piu` felici sono forse quelli "classici", quelli con l'orchestra a imporre umilta` alle preghiere della contrita.
Il disco testimonia di una fase cupa e pessimista nella vita della cantante.

Paragonato ai dischi "trans-globali", medievaleggianti, gotici e cosi` via che escono in quegli anni, Spiritchaser (4AD, 1996) e` ben poca cosa. Strumenti, liriche, ritmi e melodie sono tratte dal folk latino-americano, africano, caraibico e pellerossa. I vocalizzi di Gerrard dominano Niereka, peraltro vuota di contenuti, e soprattutto Devorzhum, che avrebbe ben figurato sull'Hosianna Mantra dei Popol Vuh.
Song Of The Stars (dieci minuti) vorrebbe essere il brano d'avanguardia, e il suo collage di eventi sonori (un didjeridu alla Steve Roach, canti pellerossa, versi di animali, un tema surf della chitarra, la solita moltitudine di percussioni e le solite acrobazie canore di Gerrard) e` certamente elegante; ma nulla che non si sia gia` ascoltato altrove. Il duo ci riprova con Indus (nove minuti), prostrandosi alla musica indiana in una trance imbevuta d'incenso e di marijuana, ma riesce soltanto a costruire (involontariamente) una parodia della Within You Without You dei Beatles.
Tutto sommato Perry fa bene a intonare Song Of The Dispossessed con il piglio di un canto proletario di Robert Wyatt: se il ritmo brasiliano e` stucchevole, il duetto fra il tema fatalista del clarinetto e la figura minimalista del pianoforte costituisce il vertice di pathos del disco e uno dei capolavori personali di Perry.
Stretti fra l'eredita` dei Third Ear Band e dei Pearls Before Swine e le innovazioni dei complessi piu` giovani, per non parlare di Enya e della musica new age, i Dead Can Dance fanno fatica a dare un senso alla loro musica. Un qualsiasi spot televisivo sfoggia esperimenti piu` audaci di questi. L'album e` importante nella loro carriera in quanto e` di gran lunga il piu` percussivo e il meno melodico.

L'arte dei Dead Can Dance mostra sempre piu` due facce: da un lato Perry, incorporando l'orchestra nella musica rock, e` pervenuto a una forma di pretenziosi lieder neo-classici; dall'altro Gerrard, raffinando i suoi gorgheggi liberi (e rinunciando del tutto a parlare una specifica "lingua", preferendo coniare un "linguaggio" apolide) ha trasformato le sue canzoni in odi "nere" che si ispirano in egual misura all'innodia paleo-slava e al canone gregoriano, alle danze mediorientali e alle sarabande medievali, alla liturgia tibetana e al folk celtico. I Dead Can Dance sono pertanto divenuti un po' l'analogo moderno della Third Ear Band: riesumatori popolari delle sonorita` del passato a scopo di degustazione (se non meditazione) trascendentale.

Gerrard ha registrato a casa propria, in collaborazione con il polistrumentista Pieter Bourke dei Soma e degli Eden, l'album Duality (4AD, 1998), nato come tributo alla musica aramaica del medioevo ma divenuto strada facendo uno dei dischi piu` ambiziosi dei suoi anni '90 (Shadow Magnet e Pilgrimage Of Lost Children). Human Game e` la prima canzone che Gerrard canta in inglese. Bourke suona praticamente tutte le percussioni e tastiere e costituisce una seria (e infinitamente piu` colta) alternativa a Perry.

Nel dicembre del 1998 giunge il comunicato ufficiale dello scioglimento del duo.

Brendan Perry's solo album that marked the end of Dead Can Dance, Eye Of The Hunter (4AD, 1999), is an intensely personal statement arranged for (synthesized) orchestra and a plethora of acoustic instruments. When one couples the slow, almost dreamy, pace of the eight songs with the brevity of the album (which clocks at 42 minutes), one can draw the conclusion that not much happens, that Perry chose form over content. And it wouldn't be the first time, as Dead Can Dance's career has often been but an elegant gesture in the air.
Perry embraces an art of stately- colloquial- confessional music that has been refined by the likes of Tom Waits and Nick Cave, and that harks back to Leonard Cohen (the spare, tender melody of Medusa would have been a standout track on his first album) and Tim Buckley, to David Crosby's If I Could Only Remember My Name, which Perry echoes several times, and to Van Morrison's Veedon Fleece, which the arrangements quote repeatedly. These are the roots from which the psychedelic, dilated wail of Saturday's Child, on a lullaby-like harpsichord motiv, and even the unabashedly kitschy The Captive Heart, a waltzing rhythm and blues for which he borrows Jim Morrison's ghostly recitative, sprung up. The soft, languid tale and the synthesizers' elegant renaissance dance in Voyage Of Bran represent the last umbelical liaison with Dead Can Dance, while betraying his sympathy for celtic folk, Morricone's soundtracks and new age music.
Perry crowns the album with two master strokes of postmodern adaptation. First he clones Chris Isaak's spectral, bluesy dirge and desolate twang in Death Will Be My Bride, and then merges blues howl and gregorian chant in Archangel. They both slowly fade away into psychedelic stupor.
Perry is not gifted with the cunning introspection of modern songwriters such as Smog or Magnetic Fields, or even Mark Lanegan, but he successfully compensates his old-fashioned style by enveloping the personal into the epic.
His martial tempos and fatalistic baritone would probably sound repetitive over a longer work, but, as it is, the album is a masterly synthesis and revision of 40 years of rock songwriting.

(Translation by/ tradotto da Riccardo Previdi e Stefano Iardella)

L'album di Brendan Perry che segna la fine dei Dead Can Dance, Eye Of The Hunter (4AD, 1999), è intensamente personale, arrangiato per (synthesized) orchestra e da un vario insieme di strumenti acustici. Quando si unisce il passo lento quasi trasognato delle otto canzoni, alla brevità di questa raccolta (42 minuti di orologio), uno può concludere che non e` successo molto, che Perry ha scelto la forma alla sostanza. Questa non sarebbe la prima volta, siccome nella carriera dei Dead Can Dance e` accaduto spesso, però ora l'insieme da l'idea di un elegante gesto nel vuoto.
Perry abbraccia un'arte di musica maestosa, colloquiale e confessionale, che è stata perfezionata nel tempo da artisti del calibro di Tom Waits e Nick Cave, che parte da Leonard Choen (la povera, tenera melodia di Medusa avrebbe spiccato nel suo primo album) e Tim Buckley, fino a If I Could Only Remember My Name di David Crosby, che Perry più volte echeggia, e Veedon Fleece di Van Morrison, di cui cita ripetutamente gli arrangiamenti. Queste sono le radici da dove discendono la psichedelica Saturday's Child, un gemito dilatato su una ninnananna che sembra il motivo di un clavicembalo, o ancora l'imperturbabile kitsch The Captive Heart, un rhythm and blues a passo di walzer, per il quale Brendan resuscita il recitativo spettrale di Jim Morrison. La soffice languida coda e la danza rinascimentale che caratterizzano Voyage Of Bran rappresentano l'ultimo contatto con i Dead Can Dance, mentre trapela anche la sua simpatia per il folk celtico, la new age e le colonne sonore di Morricone.
Perry azzecca anche due colpi da maestro come nel blues funereo Death Will Be My Bride, dove clona Chris Isaak accompagnato da un twang desolato e Archangel, ove si fondono canti gregoriani con lamenti blues. Entrambi svaniscono lentamente in un torpore psichedelico. Egli però non è dotato di un introspezione attraente come quella di cantautori moderni come gli Smog o i Magnetic Fields, o persino Mark Lanegan, ma riesce comunque a compensare grazie al suo vecchio stile suggestivo, trasformando il personale in epico.
I suoi tempi marziali e il suo baritono fatatalista risulterebbero ripetitivi in un lavoro più lungo ma, così com'è, l'album si presenta come una sintesi perfetta e una revisione degli ultimi 40 anni di rock cantautorale.

Gerrard, in the meantime, scored the soundtrack for the movie The Insider (Sony, 1999), with help from Peter Bourke, and Gladiator (Sony, 2001), with help from Hans Zimmer.

Percussionist Peter Ulrich has released on his own the album Pathways And Dawns (Projekt, 1999), a work that perhaps beats Gerrard at her own game. A collection of medieval madrigals (Taqaharu's Leaving, Life Amongst The Black Sheep) and baroque exotica (Journey Of Discovery, Nocturne), the album betrays a passion for off melodies (Time And A Word, The Springs Of Hope) that would please Todd Rundgren or the young Brian Eno.

Lisa Gerrard also composed the mostly-instrumental soundtrack for Niki Caro's The Whale Rider (2003).

Immortal Memory (4AD, 2004) the result of Gerrard's collaboration with Ireland's classical composer Patrick Cassidy (i.e., Gerrard's contralto is merely a voice for his melodies and arrangements). The songs indulge in the usual Celtic-inspired cliches (Amergin's Invocation). This is a really bad copy of Enya's music.

Lisa Gerrard and Jeff Rona composed the soundtrack for the film A Thousand Roads (Wide Blue Sky, 2005).

Gerrard's solo album The Silver Tree (Rubber, 2006 - High Wire, 2007), eleven years after The Mirror Pool, is a collection of austere hymns in different musical languages, that together cover an impressive spectrum of styles, from languid trip-hop to stately melodrama to Enya-esque trance.

Dziekuje Bardzo (2009) was a collaboration between Lisa Gerrard and Klaus Schulze.

Brendan Perry released another solo album, Ark (2010), is devoted to symphonic slocore over military drums (Babylon) and over disco locomotive beats (The Devil and the Deep Blue Sea) when it doesn't indulge in morbid gothic ballads (The Bogus Man with trip-hop beats) and romantic synth-pop Wintersun (like a sleepy version of Simple Minds' Don't you). Mostly, there is a lot of mellow background muzak. The album includes a nine-minue exotic-sounding version of Crescent, an old (2005) Dead Can Dance song included in live albums.

Michael Stearns, Lisa Gerrard and Marcello De Francisci composed the soundtrack to Ron Fricke's documentary Samsara (2011).

The quasi-symphonic Dead Can Dance's Anastasis (2012) is an involuntary exercise in revisiting old stereotypes of commercial music: Children of the Sun evokes Sinatra-era crooned orchestral pop; Amnesia is simply a melodramatic theme for the orchestras of Richard Clayderman or Paul Mauriat; Agape and Kiko are more or less faithful imitations of Middle-eastern love songs; and, above all, the majestic exotic Return of the She-King mixes Ennio Morricone's epic soundtracks with medieval Gregorian chants. The songs drown in too much pomp, not justified by such a low degree of originality.

(Translation by/ Tradotto da Luca Cantoreggi)

Gerrard, nel frattempo, incide la colonna sonora del film The Insider (Sony, 1999), con l’aiuto di Peter Bourke, e del film Gladiator (Sony, 2001), con l’aiuto di Hans Zimmer.

Il percussionista Peter Ulrich ha pubblicato da solo l’album Pathways And Dawns (Projekt, 1999), un lavoro nel quale forse batte la Gerrard al suo stesso gioco. Collezione di madrigali medioevali (Taqaharu's Leaving, Life Amongst The Black Sheep) ed esotismi barocchi (Journey Of Discovery, Nocturne), l’album tradisce una passione per melodie fuori luogo (Time And A Word, The Springs Of Hope) che piacerebbero a Todd Rundgren o al giovane Brian Eno.

Lisa Gerrard ha anche composto la colonna sonora per lo più strumentale The Whale Rider (2003).

Immortal Memory (4AD, 2004) è una collaborazione con il compositore classico irlandese Patrick Cassidy (i.e., il contralto della Gerrrard è qui solo una voce per le sue melodie e arrangiamenti). I brani indulgono negli abituali cliché di ispirazione celtica (Amergin's Invocation). Davvero una brutta copia della musica di Enya.

(Translation by/Tradotto da Stefano Iardella)

Lisa Gerrard e Jeff Rona hanno composto la colonna sonora del film A Thousand Roads (Wide Blue Sky, 2005).

L'album solista di Gerrard, The Silver Tree (Rubber, 2006 - High Wire, 2007), undici anni dopo v, è una raccolta di inni austeri in diversi linguaggi musicali, che insieme coprono uno spettro impressionante di stili, dal languido trip-hop al melodramma maestoso della trance alla Enya. Dziekuje Bardzo (2009) è stata una collaborazione tra Lisa Gerrard e Klaus Schulze.

Brendan Perry ha pubblicato un altro album solista, Ark (2010), che è dedicato allo slocore sinfonico su batteria militare (Babylon) e su ritmi da discoteca (The Devil and the Deep Blue Sea) quando non indulge in morbose ballate gotiche (The Bogus Man con ritmi trip-hop) e nel synth-pop romantico di Wintersun (come una versione sonnolenta di Don't you dei Simple Minds). Per lo più, c'è molta musica di sottofondo dolce. L'album include una versione esotica di nove minuti di Crescent, una vecchia canzone dei Dead Can Dance (2005) inclusa negli album dal vivo.

Michael Stearns, Lisa Gerrard e Marcello De Francisci hanno composto la colonna sonora del documentario Samsara (2011) di Ron Fricke.

Il quasi-sinfonico Anastasis (2012) dei Dead Can Dance è un esercizio involontario di rivisitazione di vecchi stereotipi della musica commerciale: Children of the Sun evoca il pop orchestrale canticchiato dell'era di Sinatra; Amnesia è semplicemente un tema melodrammatico per le orchestre di Richard Clayderman o Paul Mauriat; Agape e Kiko sono imitazioni più o meno fedeli delle canzoni d'amore mediorientali; e, soprattutto, la maestosa esotica Return of the She-King mescola le colonne sonore epiche di Ennio Morricone con i canti gregoriani medievali. Le canzoni sono annegate in uno sfarzo eccessivo, non giustificato da un così basso grado di originalità.

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