Summary
The duo of multi-instrumentalist Brendan Perry and Australian vocalist Lisa
Gerrard, i.e. Dead Can Dance transposed the
mystic exotica of bands such as Third Ear Band, Popol Vuh and Clannad into
the age of dream-pop. The austere, spectral, glacial
songs on Dead Can Dance (1984) sounded like
chamber sonatas and classical lieder, while fusing
gothic, medieval and ethnic elements.
The magnificent orchestration of Spleen And Ideal (1985) upped the ante,
as did the religious intensity of Gerrard's performance. Imposing arrangements
levelled paleo-slavic hymns, Gregorian liturgy, celtic folk, Tibetan chants,
renaissance madrigals, middle-eastern dances.
The stately decor and the alternation of Perry's symphonic ballads and Gerrard's
free-form odes evoked early King Crimson.
The duo played the same formula over and over again, first with the ambitious
but unfocused Within The Realm Of A Dying Sun (1987), then with the
lush, meticulous arrangements (or, better, plethora of sound effects) of
The Serpent's Egg (1988).
During the 1990s, they indulged in trivial repetitions of their least original
ideas: the recreation of ancient musical styles on Aion (1990), via epoch instruments and dead languages, and Into The Labyrinth (1993),
the pan-ethnic collage of Spiritchaser (1996).
If English is your first language and you could translate my old Italian text, please contact me.
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I Dead Can Dance sono stati una delle esperienze fondamentali del rock
"atmosferico" degli anni '80 e '90 in quanto furono fra i primi a riuscire
nell'impresa di assimilare un suono gotico, esotico, medievale, classicheggiante
nella struttura della canzone rock.
Il punto di partenza era un'austerita` che sembrava l'esatta antitesi dello
spirito del rock and roll: la loro musica e` gelida, inerte, spettrale.
Le canzoni fanno leva su due fattori suggestionanti: gli arrangiamenti,
che diventeranno l'equivalente rock della musica da camera, e il
canto femminile, che diventera` l'equivalente rock del lied.
Sia gli arrangiamenti sia il canto coniarono un nuovo
standard di riferimento per un'intera generazione di musicisti rock.
L'arrangiamento costituiva il fatto piu` saliente. Ogni album cambiava
"ambientazione" e dava il tono a una nuova epoca, passando dal gotico dei
primi tempi alla religiosita` del secondo album, dall'arcaico del terzo
all'esotico del quarto, dal rinascimentale del quinto al celtico del sesto.
I Dead Can Dance vennero formati a Melbourne (Australia) dal
multi-strumentalista inglese Brendan Perry alla fine degli anni '70 e nel
1980 assorbi` la cantante australiana Lisa Gerrard. La coppia si stabili`
a Londra e pubblico`
l'album Dead Can Dance (4AD, 1984), che li fece inevitabilmente accostare
al dream-pop dei Cocteau Twins, anche se
in realta` le atmosfere discendevano direttamente dal punk gotico di Siouxsie
e dei Joy Division: armonie tenebrose venivano grossolanamente intessute
tramite cadenze (per lo piu` elettroniche) da cerimoniale occulto, dissonanze
elettroniche, accordi orientaleggianti delle chitarre, e su tanto lugubre e
morboso fondamento venivano fatte librare urla (Fatal Impact) e le
cantilene d'oltretomba di Perry (The Trial, Wild In The Woods); oppure su un
sottofondo di tribalismo e rumori si distendeva una litania arabeggiante di
Gerrard (Frontier e Threshold). In Ocean un lago di accordi e vagiti
creava il sottofondo per un'eco di Gerrard lontanissima, che sembra intonare
un salmo religioso con voce angosciata.
Il rosario si chiudeva con Musica Eternal, un ralenti` astrale che rimane
l'intuizione migliore del disco.
Salvo che in East Of Eden e nella title-track, la musicalita` dell'opera era
pressoche' nulla; il successo dell'operazione era interamente affidato alla
suggestione dell'insieme.
Meglio prodotto, se non meglio suonato, l'EP del 1984 Garden Of Arcane Delight
perfeziono` quella formula, introducendo forti inflessioni esotiche (poliritmi
frenetici e cantilenare alla Siouxsee) in Flowers Of The Sea e soprattutto
Carnival Of Lights.
Il progressivo ampliamento dell'"orchestra" ebbe inizio con il
secondo album, Spleen And Ideal (1985), che si avvale di
fiati (due tromboni), percussioni (due timpani) ed
archi (violoncelli, violino).
Al tempo stesso la produzione mette
sempre piu` in risalto il canto luminoso e astratto di Gerrard.
Il disco e` permeato dalla religiosita` dei mantra tibetani, fin dalle prime
note di De Profundis, scandite da lentissimi colpi di tamburo, da accordi
lunghissimi di organo e da un coro che riecheggia all'infinito.
Le ballate di Perry sono ambientate in scenografie musicali sempre piu`
fantasiose (la piccola fanfara di The Cardinal Sin, la marcia imponente
di Enigma Of The Absolute). Alcuni arrangiamenti sono tanto solenni e
arzigogolati da ricordare i primi King Crimson.
Sull'altro fronte, quello di Gerrard, Mesmerism e Avatar ritornano
allo schema collaudato di vocalizzi paradisiaci o esotici (rispettivamente)
su un ritmo tribale.
Within The Realm Of A Dying Sun (1987) e` orchestrato per un ensemble da
camera di undici musicisti. E` un lavoro ambizioso che compie un'escursione
nelle musiche del lontano passato, come recita il manifesto
Anywhere Out Of The World.
Nella prima meta`
Perry ha modo di dimostrare le sue capacita` di "direttore d'orchestra"
nello strumentale Windfall.
A svettare sono pero` i viaggi nel subconscio di
Gerrard, che occupano la seconda meta`, in particolare Dawn Of The Iconoclast, Cantara e Persephone.
The Serpent's Egg (1988) mette a frutto tutti gli esperimenti precedenti
per un'incursione d'effetto nella religiosita` esotica, e lo strumentale
Mother Tongue ne e` il nuovo manifesto programmatico.
Nel frattempo la schizofrenia che antepone le ballate "sinfoniche" di Perry
(fra le quali spiccano l'ipnotica In The Kingdom Of The Blind e la medievale
Ullyses),
ai voli liberi di Gerrard finisce per premiare sempre di piu` la seconda:
soltanto l'organo, con le sue note celestiali, e una sezione d'archi, con i
suoi cupi tremolii, accompagna il salmo da convento di The Host Of Seraphim;
fra magico e fiabesco prende forma il flusso di coscienza di The Writing Of My
Father's Hand, per echi della propria voce e tintinnio di clavicembalo;
indulge nel lugubre e nel cerimoniale Chant Of The Paladin, una nenia funebre
con accompagnamento marziale di campane a morto e di campanelli hare-krishna.
Il suo canto senza parole, tutt'altro che virtuoso, ma capace di catturare le
sfumature essenziali di un'emozione, e` forse al culmine.
E quel blaterare senza senso funge da alter ego per i testi forbiti delle
canzoni di Perry, cosi` come gli arrangiamenti lussureggianti delle seconde
complementano la spettrale semplicita` dei sottofondi di Gerrard.
Il duo ha insomma fabbricato un equilibrio artificiale fra quelli che sono in
realta` due mondi artistici completamente diversi.
Dalle propensione "arcaicizzanti" del disco precedente prende l'abbrivo
l'album Aion (1990), un excursus medievale e rinascimentale suonato con
strumenti d'epoca e cantato in lingue antiche. Per quanto intriso di
religiosita` gregoriana (The Arrival And The Reunion), a dominare sono
soavi madrigali (The Promised Womb), sbrigliati saltarelli
(As The Bell Rings The Maypole Spins) e indemoniati "dervish" (Rhadarc).
In essi Gerrard ha modo di dar sfoggio delle sue capacita` mimetiche.
L'opera ha il valore di un catartico bagno d'umilta`. Anche le ballate di
Perry (Fortune Presents Gifts e Black Sun, le uniche cantate in inglese)
rinunciano alle elaborate partiture orchestrali e riechieggiano le stesse
forme medievali.
Nel frattempo il duo aveva composto le musiche per la colonna sonora del film
"El Nino De La Luna" (interpretato da Gerrard) e piu` tardi avrebbe composto
quelle per il balletto di Redha "La Pavane Rouge".
Perry gioca anche brevemente con Mark Ellis negli Elijah's Mantle, producendo
due album, Angels Of Perversity (DeNovaDaCapo) e Remedies In Heresies, che
si richiamano alla liturgia gregoriana, a iconografie gotiche e alla
letteratura decadente.
Fiacco e banale, Into The Labyrinth (1993) non fa pero` che ripetere gli
stessi trucchi alla luce di una riscoperta della musica celtica dell'Irlanda
(loro nuova patria) e mette pertanto in luce i limiti di questa raggiunta
"maturita`": fra i soliti virtuosismi canori di Gerrard e gli scontati richiami
al medioevo (Towards The Within), si fanno largo ballate
(The Carnival Is Over) sempre piu` stucchevoli
in quello stile di "crooning" alla Frank Sinatra
o Charles Aznavour che hanno ormai l'unico scopo di procurare un minimo di
successo radiofonico (e infatti The Ubiquitous Mr Lovegrove rimarra`
il loro massimo successo di classifica).
I dischi dei Dead Can Dance hanno nel frattempo perso
anche quell'aura religiosa che ne faceva, se non altro, esperienze spirituali
prima ancora che musicali.
Gli esperimenti esotici di Gerrard costituiscono la vera ragione per ascoltare
i loro dischi: Yulunga, che comincia in un monastero tibetano e finisce
in un bazaar arabo, e Saldek, un festival di voci e percussioni
orientali, sono
altri due saggi di questa "fusion" di generi etnici lontanissimi fra di loro
(geograficamente e temporalmente), fusion che ha come meta il genere
"super-etnico" lasciato intravedere da The Spider's Stratagem, uno dei suoi
recital piu` "neutri" e spettacolari.
L'album dal vivo Towards The Within (4AD, 1994) non ha aggiunto molto al
programma musicale dei Dead Can Dance, ma ha lasciato intravedere in
Rakim, Persian Love Song e Yulunga i pericoli di un
eccessivo manierismo etnico.
Per esplorare quei recessi magici Lisa Gerrard ha pubblicato nel 1995
The Mirror Pool, nobilitato dalle percussioni di Pieter Bourke.
Si tratta di raccolta dispersiva per quanto suggestiva, nella quale
non mancano brani strumentali orchestrati in maniera superba.
L'inizio, Violina, e` un tetro adagio per sezione d'archi, degno di
una sinfonia di Mahler, con un Lied non meno tetro e non meno classico che
pero` si libra in una polifonia vocale degna della liturgia gregoriana.
La Bas e` un incubo gotico, una visione lugubre: Gerrard
canta nel registro basso imitando la voce di un monaco, ora sola ora
accompagnata da campane a morto, da un'orchestra massiccia, da un organo
tenebrosi.
L'ouverture strumentale di Nilleshna pennella forse l'atmosfera
piu` lirica del disco, con quelle melodie dei violini che volteggiano
come in un'aria barocca e quel raggelante assolo d'organo.
L'interesse quasi morboso di Gerrard per il folklore esotico si manifesta
nella litania tibetana di Rite,
nel girotondo pellerossa di Ajhon,
nel lamento persiano di Glorafin,
nel saltarello mediorientale di Swans.
Gerrard non e` pero` Meredith Monk, e i suoi esperimenti vocali valgono
meno degli arrangiamenti.
La salmodia radiosa e addolorata di Sanvean e
la cantilena spoglia e marziale di Celon, le migliori prove vocali,
sono ambientate nel silenzio di un immaginario convento, e forse riescono
meglio proprio perche' rinunciano all'ambizione etnica. L'umilta` giova
a Gerrard piu` dell'eclettismo.
Alla lunga il continuo autoflagello di Gerrard finisce per prevalere
sulla musica, spesso stanca e monotona, raffazzonata attorno a spunti,
a passioni fuggevoli per questo o quel genere.
Pochi dei sedici pezzi sembrano compiuti, la maggioranza sembrano esperimenti
ancora da mettere a fuoco, prove generali per una composizione ancora da
comporre. Gli squarci piu` felici sono forse quelli "classici", quelli con
l'orchestra a imporre umilta` alle preghiere della contrita.
Il disco testimonia di una fase cupa e pessimista nella vita della cantante.
Paragonato ai dischi "trans-globali", medievaleggianti, gotici e cosi` via
che escono in quegli anni, Spiritchaser (4AD, 1996) e` ben poca cosa.
Strumenti, liriche, ritmi e melodie sono tratte dal folk latino-americano,
africano, caraibico e pellerossa.
I vocalizzi di Gerrard dominano Niereka, peraltro vuota di contenuti,
e soprattutto Devorzhum, che avrebbe ben figurato
sull'Hosianna Mantra dei Popol Vuh.
Song Of The Stars
(dieci minuti) vorrebbe essere il brano d'avanguardia, e il suo collage
di eventi sonori (un didjeridu alla Steve Roach, canti pellerossa, versi di
animali, un tema surf della chitarra, la solita moltitudine di percussioni
e le solite acrobazie canore di Gerrard) e` certamente elegante; ma nulla
che non si sia gia` ascoltato altrove.
Il duo ci riprova con Indus (nove minuti),
prostrandosi alla musica indiana in una trance imbevuta d'incenso e di
marijuana, ma riesce soltanto a costruire (involontariamente) una parodia
della Within You Without You dei Beatles.
Tutto sommato Perry fa bene a intonare Song Of The Dispossessed
con il piglio di un canto proletario di Robert Wyatt: se il ritmo brasiliano
e` stucchevole, il duetto fra il tema fatalista del clarinetto e la figura
minimalista del pianoforte costituisce il vertice di pathos del disco e uno
dei capolavori personali di Perry.
Stretti fra l'eredita` dei Third Ear Band e dei Pearls Before
Swine e le innovazioni dei complessi piu` giovani, per non parlare di Enya
e della musica new age,
i Dead Can Dance fanno fatica a dare un senso alla loro musica.
Un qualsiasi spot televisivo sfoggia esperimenti piu` audaci di questi.
L'album e` importante nella loro carriera in quanto e` di gran lunga il
piu` percussivo e il meno melodico.
L'arte dei Dead Can Dance mostra sempre piu` due facce: da un lato Perry,
incorporando l'orchestra nella musica rock, e` pervenuto a una forma di
pretenziosi lieder neo-classici; dall'altro Gerrard, raffinando i suoi gorgheggi
liberi (e rinunciando del tutto a parlare una specifica "lingua", preferendo
coniare un "linguaggio" apolide) ha trasformato le sue canzoni in odi "nere"
che si ispirano in egual misura all'innodia paleo-slava e al canone gregoriano,
alle danze mediorientali e alle sarabande medievali,
alla liturgia tibetana e al folk celtico. I Dead Can Dance sono pertanto
divenuti un po' l'analogo moderno della Third Ear Band: riesumatori popolari
delle sonorita` del passato a scopo di degustazione (se non meditazione)
trascendentale.
Gerrard ha registrato a casa propria, in collaborazione con il polistrumentista
Pieter Bourke dei Soma e degli Eden,
l'album Duality (4AD, 1998), nato come tributo
alla musica aramaica del medioevo ma divenuto strada facendo uno dei dischi
piu` ambiziosi dei suoi anni '90 (Shadow Magnet e
Pilgrimage Of Lost Children).
Human Game e` la prima canzone che Gerrard canta in inglese.
Bourke suona praticamente tutte le percussioni e tastiere e costituisce una
seria (e infinitamente piu` colta) alternativa a Perry.
Nel dicembre del 1998 giunge il comunicato ufficiale dello scioglimento
del duo.
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Brendan Perry's solo album that marked the end of Dead Can Dance,
Eye Of The Hunter (4AD, 1999), is an intensely personal statement
arranged for (synthesized) orchestra and a plethora of acoustic instruments.
When one couples the slow, almost dreamy, pace of the eight songs with the
brevity of the album (which clocks at 42 minutes), one can draw the conclusion
that not much happens, that Perry chose form over content. And it wouldn't
be the first time, as Dead Can Dance's career has often been but an elegant
gesture in the air.
Perry embraces an art of stately- colloquial- confessional music that
has been refined by the likes of Tom Waits and Nick Cave, and that
harks back to Leonard Cohen (the spare, tender melody of Medusa would
have been a standout track on his first album) and
Tim Buckley,
to David Crosby's
If I Could Only Remember My Name, which Perry echoes several
times, and to Van Morrison's Veedon Fleece, which the arrangements
quote repeatedly.
These are the roots from which
the psychedelic, dilated wail of Saturday's Child, on
a lullaby-like harpsichord motiv,
and even the unabashedly kitschy The Captive Heart, a
waltzing rhythm and blues for which he borrows Jim Morrison's ghostly
recitative,
sprung up.
The soft, languid tale and the synthesizers' elegant renaissance dance
in Voyage Of Bran represent the last umbelical
liaison with Dead Can Dance, while betraying his sympathy for
celtic folk, Morricone's soundtracks and new age music.
Perry crowns the album with two master strokes of postmodern adaptation. First
he clones Chris Isaak's
spectral, bluesy dirge and desolate twang in Death Will Be My Bride,
and then merges blues howl and gregorian chant
in Archangel.
They both slowly fade away into psychedelic stupor.
Perry is not gifted with the cunning introspection of modern songwriters
such as Smog or Magnetic Fields,
or even Mark Lanegan,
but he successfully compensates his old-fashioned style by enveloping the
personal into the epic.
His martial tempos and fatalistic baritone would probably sound repetitive
over a longer work, but, as it is,
the album is a masterly synthesis and revision of 40 years of rock songwriting.
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(Translation by/ tradotto da Riccardo Previdi e Stefano Iardella)
L'album di Brendan Perry che segna la fine dei Dead Can Dance, Eye Of
The Hunter (4AD, 1999), è intensamente personale, arrangiato per
(synthesized) orchestra e da un vario insieme di strumenti acustici.
Quando si unisce il passo lento quasi trasognato delle otto canzoni,
alla brevità di questa raccolta (42 minuti di orologio), uno può
concludere che non e` successo molto, che Perry ha scelto la forma alla
sostanza. Questa non sarebbe la prima volta, siccome nella carriera dei
Dead Can Dance e` accaduto spesso, però ora l'insieme da l'idea di un
elegante gesto nel vuoto.
Perry abbraccia un'arte di musica maestosa, colloquiale e confessionale,
che è stata perfezionata nel tempo da artisti del calibro di Tom Waits e Nick Cave, che parte da
Leonard Choen (la povera, tenera melodia di Medusa avrebbe spiccato nel suo primo album) e Tim Buckley, fino a If I Could Only Remember My
Name di David Crosby, che Perry più volte echeggia, e Veedon Fleece
di
Van Morrison, di cui cita ripetutamente gli arrangiamenti. Queste
sono le radici da dove discendono la psichedelica Saturday's Child, un gemito
dilatato su una ninnananna che sembra il motivo di un clavicembalo, o
ancora l'imperturbabile kitsch The Captive Heart, un rhythm and blues a
passo di walzer, per il quale Brendan resuscita il recitativo spettrale
di Jim Morrison. La soffice languida coda e la danza
rinascimentale che caratterizzano Voyage Of Bran rappresentano l'ultimo
contatto con i Dead Can Dance, mentre trapela anche la sua simpatia per
il folk celtico, la new age e le colonne sonore di Morricone. Perry
azzecca anche due colpi da maestro come nel blues funereo Death Will Be
My Bride, dove clona Chris Isaak accompagnato da un twang desolato e
Archangel, ove si fondono canti gregoriani con lamenti blues. Entrambi
svaniscono lentamente in un torpore psichedelico. Egli però non è
dotato di un introspezione attraente come quella di cantautori moderni come gli Smog o i Magnetic Fields,
o persino Mark Lanegan, ma riesce comunque a compensare grazie al suo
vecchio stile suggestivo, trasformando il personale in epico.
I suoi tempi marziali e il suo baritono fatatalista risulterebbero
ripetitivi in un lavoro più lungo ma, così com'è, l'album si
presenta come una sintesi perfetta e una revisione degli ultimi 40 anni
di rock cantautorale.
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Gerrard, in the meantime, scored the soundtrack for the movie
The Insider (Sony, 1999), with help from Peter Bourke,
and
Gladiator (Sony, 2001), with help from Hans Zimmer.
Percussionist Peter Ulrich has released on his own the album
Pathways And Dawns (Projekt, 1999), a work that perhaps beats
Gerrard at her own game. A collection of
medieval madrigals
(Taqaharu's Leaving, Life Amongst The Black Sheep)
and baroque exotica
(Journey Of Discovery, Nocturne), the album betrays a passion
for off melodies (Time And A Word, The Springs Of Hope) that
would please Todd Rundgren or the young Brian Eno.
Lisa Gerrard also composed the mostly-instrumental soundtrack for
Niki Caro's The Whale Rider (2003).
Immortal Memory (4AD, 2004) the result of Gerrard's collaboration with
Ireland's classical composer Patrick Cassidy (i.e., Gerrard's contralto
is merely a voice for his melodies and arrangements). The songs indulge in
the usual Celtic-inspired cliches (Amergin's Invocation).
This is a really bad copy of Enya's music.
Lisa Gerrard and
Jeff Rona composed the soundtrack for the film
A Thousand Roads (Wide Blue Sky, 2005).
Gerrard's solo album The Silver Tree (Rubber, 2006 - High Wire, 2007),
eleven years after The Mirror Pool, is a collection of austere hymns
in different musical languages, that together cover an impressive spectrum
of styles, from languid trip-hop to stately melodrama to Enya-esque trance.
Dziekuje Bardzo (2009) was a collaboration between Lisa Gerrard and Klaus Schulze.
Brendan Perry released another solo album, Ark (2010), is devoted to
symphonic slocore over military drums (Babylon) and over
disco locomotive beats (The Devil and the Deep Blue Sea)
when it doesn't indulge in
morbid gothic ballads (The Bogus Man with trip-hop beats) and
romantic synth-pop Wintersun (like a sleepy version of Simple Minds' Don't you).
Mostly, there is a lot of mellow background muzak.
The album includes a nine-minue exotic-sounding version of Crescent, an old (2005) Dead Can Dance song included in live albums.
Michael Stearns, Lisa Gerrard and Marcello De Francisci composed the soundtrack
to Ron Fricke's documentary Samsara (2011).
The quasi-symphonic
Dead Can Dance's Anastasis (2012) is an involuntary exercise in
revisiting old stereotypes of commercial music:
Children of the Sun evokes
Sinatra-era crooned orchestral pop;
Amnesia is simply a melodramatic theme for the orchestras of
Richard Clayderman or Paul Mauriat;
Agape and Kiko are more or less faithful imitations of
Middle-eastern love songs;
and, above all,
the majestic exotic Return of the She-King mixes
Ennio Morricone's epic soundtracks
with medieval Gregorian chants.
The songs drown in too much pomp, not justified by such a low degree of
originality.
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(Translation by/ Tradotto da Luca Cantoreggi)
Gerrard, nel frattempo, incide la colonna sonora del film The Insider (Sony, 1999), con l’aiuto di Peter Bourke, e del film Gladiator (Sony, 2001), con l’aiuto di Hans Zimmer.
Il percussionista Peter Ulrich ha pubblicato da solo l’album Pathways And Dawns (Projekt, 1999), un lavoro nel quale forse batte la Gerrard al suo stesso gioco. Collezione di madrigali medioevali (Taqaharu's Leaving, Life Amongst The Black Sheep) ed esotismi barocchi (Journey Of Discovery, Nocturne), l’album tradisce una passione per melodie fuori luogo (Time And A Word, The Springs Of Hope) che piacerebbero a Todd Rundgren o al giovane Brian Eno.
Lisa Gerrard ha anche composto la colonna sonora per lo più strumentale The Whale Rider (2003).
Immortal Memory (4AD, 2004) è una collaborazione con il compositore classico irlandese Patrick Cassidy (i.e., il contralto della Gerrrard è qui solo una voce per le sue melodie e arrangiamenti). I brani indulgono negli abituali cliché di ispirazione celtica (Amergin's Invocation). Davvero una brutta copia della musica di Enya.
(Translation by/Tradotto da Stefano Iardella)
Lisa Gerrard e Jeff Rona hanno composto la colonna sonora del film A Thousand Roads (Wide Blue Sky, 2005).
L'album solista di Gerrard, The Silver Tree (Rubber, 2006 - High Wire, 2007), undici anni dopo v, è una raccolta di inni austeri in diversi linguaggi musicali, che insieme coprono uno spettro impressionante di stili, dal languido trip-hop al melodramma maestoso della trance alla Enya. Dziekuje Bardzo (2009) è stata una collaborazione tra Lisa Gerrard e Klaus Schulze.
Brendan Perry ha pubblicato un altro album solista, Ark (2010), che è dedicato allo slocore sinfonico su batteria militare (Babylon) e su ritmi da discoteca (The Devil and the Deep Blue Sea) quando non indulge in morbose ballate gotiche (The Bogus Man con ritmi trip-hop) e nel synth-pop romantico di Wintersun (come una versione sonnolenta di Don't you dei Simple Minds). Per lo più, c'è molta musica di sottofondo dolce. L'album include una versione esotica di nove minuti di Crescent, una vecchia canzone dei Dead Can Dance (2005) inclusa negli album dal vivo.
Michael Stearns, Lisa Gerrard e Marcello De Francisci hanno composto la colonna sonora del documentario Samsara (2011) di Ron Fricke.
Il quasi-sinfonico Anastasis (2012) dei Dead Can Dance è un esercizio involontario di rivisitazione di vecchi stereotipi della musica commerciale: Children of the Sun evoca il pop orchestrale canticchiato dell'era di Sinatra; Amnesia è semplicemente un tema melodrammatico per le orchestre di Richard Clayderman o Paul Mauriat; Agape e Kiko sono imitazioni più o meno fedeli delle canzoni d'amore mediorientali; e, soprattutto, la maestosa esotica Return of the She-King mescola le colonne sonore epiche di Ennio Morricone con i canti gregoriani medievali. Le canzoni sono annegate in uno sfarzo eccessivo, non giustificato da un così basso grado di originalità.
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