Fear


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Record (1982), 8/10 Links:

Nel 1978 i Fear erano con i Germs i punk piu` temuti di Los Angeles. A differenza di questi non riuscirono a sfruttare il momento propizio e rimasero senza un contratto discografico. Si rifecero ampiamente nel 1981, quando la colonna sonora del documentario di Penelope Spheeris "Decline Of Western Civilization" fece esplodere il loro mito (sono loro i peggiori, ovvero i migliori, criminali del lotto).

Il Record (Slash, 1982) e` allora uno dei dischi piu` importanti dell'hardcore californiano e del punk-rock tutto. Molto piu` evoluto del genere a tre accordi in voga a quell'epoca, il sound di questo disco ritrae invece un quartetto di consumati musicisti rock, nella piu` autentica vena rurale. Forti delle liriche piu` incivili e reazionarie (un modello di discriminazione contro gli omosessuali, di sciovinismo contro le donne e di caccia alle streghe contro i comunisti), di un piglio da fuorilegge della Frontiera, di uno spirito fra il messianico e il parodistico, i Fear adottano lo stagionato bluesrock sudista e gli iniettano dosi massicce di isteria punk.
Il minaccioso ruggito rhythm and blues di Lee Ving domina il boogie dinamitardo di I Don't Care About You e il rock and roll vertiginoso di Beef Boloney. Il chitarrismo eclettico di Philo Cramer e` in primo piano nei passi arabeggianti di Camarillo e nelle dissonanze acrobatiche di Fresh Flesh.
Dal punto di vista del messaggio sono tutti concentrati di male parole da far arrossire uno scaricatore di porto. L'ironia dell'operazione, non lontana dalla demenzialita` dei Dickies, trapela da New York's Alright If You Like Saxophones e I Love Livin In The City, sia pur con overdose di sarcasmo. Quelli che dovrebbero essere gli "anthem" della situazione, come Let's Have A War, suonano semmai come danze macabre di un branco di maniaci ubriachi attorno al cadavere che hanno appena squartato. L'emblematica We Destroy The Family e` in realta` un esperimento di fusion "etno-psycho-disco-billy", con un tribalismo assordante, un ronzio continuo di chitarra e una formula magica ripetuta all'infinito. Il vero inno arriva alla fine del disco: No More Nothing, superbo riassunto dell'etica punk e memorabile riff di guerra.
I Fear piu` autentici sono, purtroppo, quelli che, infischiandosene tanto della legge quanto dell'opinione pubblica, gridano: "I wanna fuck you to death/.../ piss on your waning grace/ I just wanna come in your face/ I don't care if you're dead" (Fresh Flesh). Negli annali dell'arte nessuno era mai caduto cosi` in basso.

L'instabilita` del gruppo era pari soltanto alla sua ferocia dal vivo. Al bassista originale subentro` brevemente anche Flea dei Red Hot Chili Peppers. More Beer (Restless, 1985) usci` tre anni dopo all'insegna dello stesso inguaribile infantilismo. Bomb The Russians e Waiting For The Meat vivono ancora della stessa scandalosa irrequietezza da cani rabbiosi, ma il sound ha perso gran parte della sua efficacia eversiva. Peraltro non hanno perso il loro vizio: in Beer, quintessenza del loro stile straccione, Ving blatera "Gonna find a little bitch/ gonna leave her in the ditch/ gonna have a few fits/ gonna chop off her tits". Il 45 giri Fuck Christmas fu il loro testamento spirituale. Poi Ving si diede alla carriera cinematografica e gli altri scomparvero nel nulla.

Pochi hanno saputo come loro rendere gradevole persino lo squallore piu` abissale.

Dopo uno iato di dieci anni, i Fear torneranno con Have Another Beer With Fear (Sector 2, 1995) e American Beer (Hall Of, 2001), sorta di concept dedicati alla loro bevanda preferita.

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