Chris Isaak (californiano di Stockton, trapiantato a San Francisco)
ha forgiato un suggestivo ibrido fra il pop romantico di Orbison, il rock
strumentale dei Ventures, il tenore singhiozzante di Elvis Presley,
le colonne sonore di Morricone e i languidi "lenti" da cocktail lounge.
L'atmosfera triste e fatalista di Silvertone (Warner, 1985) e` in realta`
una ragione di vita. Accompagnato dallo strimpellio sotterraneo di James
Calvin Wisley, il suo canto intona in uno stile abulico e sofferente canzoni
come Dancin'
che sono teorie esistenziali, indifferenti al passare del tempo, alla diatriba
fra alienazione urbana e spontaneita` rurale, alle bellezze della natura,
alla gente, alle vicissitudini quotidiane. Vivono in un loro nirvana del dolore
assoluto e inestinguibile, sulla cresta di un arcobaleno scolorato.
Non velenose, non disperate, semplicemente immanenti e universali.
Gran parte dei brani sono odi alla solitudine, suppliche spiritual come
Talk To Me e The Lonely Ones. Il valzer Western Stars e
Funeral In The Rain indulgono forse troppo
nell'estasi del viaggiatore solo al cospetto del grande paesaggio deserto.
Soltanto in Voodoo la paura prende il sopravvento, trascinata da un
passo di giungla alla Bo Diddley e da uno shout alla Howling Wolf.
E cosi` il battito country trascinante di Gone Ridin' finisce per trovare
similitudini con il gotico sudista dei Gun Club.
Quando la musica accelera in una cadenza esuberante
(Livin' For Your Lover, Unhappiness),
l'effetto e` dolcissimo. Il funerale si ferma per un istante ad osservare la
vita che continua, e poi riprende, cosciente di essere soltanto una delle fasi.
La critica si concentra sui riferimenti ai classici degli anni '50, ma
in realta` soltanto Tears (Orbison) e Pretty Girls Don't Cry
(Everly Brothers) sono copie carbone di stili altrui. Il grosso del disco non
potrebbe essere piu` originale e personale.
Chris Isaak (Warner Bros, 1987) porta a compimento la maturazione
artistica. Rimane il suo "penchant" per gli anni '50 e '60, l'epoca con cui
si immedesima piu` facilmente, ma e` come una fotografia sfumata, guardata
da una distanza infinita. Tutte le canzoni trasportano in paradisi di sole,
ma lui, il cantore, non e` li`, e` rintanato in un paesaggio grigio e
piovoso, e canta di fatto quell'abisso incolmabile (esistenziale prima che
materiale) che lo separa dal suo sogno.
Accompagnano il suo sconsolato lamento prima rintocchi sinistri di palude
(You Owe Me Some Kind Of Love), poi un delicato jingle-jangle
(Fade Away), poi uno smilzo blues-rock alla Radar Love (Wild Love),
un trotto country (You Took My Heart) e persino passi di flamenco
(Lovers Game).
Tutto l'arsenale di segni di quell'epoca magica viene convertito a un umore
disperato, a un tenebroso senso di impotenza.
Il contrasto fra l'assunto e la prassi culmina in canzoni formalmente
impeccabili come Blue Hotel, nella quale sembra di ascoltare
Roy Orbison alla testa di un complessino surf da spiaggia.
Composizioni intense e introverse come Lie To Me e Waiting For The Rain To
Fall compongono quasi delle messe private, delle funzioni
religiose che rovistano ossessivamente nei meandri della memoria, come se
Tim Buckely fosse stato divorato dal passato invece che dalle droghe.
L'unico momento di tregua viene dalla
melodiosa This Love Will Last, su una squisita armonia folk-rock.
Isaak trova insomma un equilibrio improbabile fra la depressione nervosa dei
suoi testi e i paesaggi ottimisti che la sua musica rievoca.
Su Heart Shaped World (Reprise, 1989) tutto cio` sembra spesso forzato,
come se Isaak fosse costretto dal successo a imitare se stesso.
Nothing's Changed e Blue Spanish Sky non hanno praticamente
struttura musicale, sono pure atmosfere.
Il country di I'm Not Waiting e la polka di Forever Young si
lasciano alle
spalle il clima populista e domestico degli anni '50 e lo proiettano nello
show-biz negli anni '70, come se Isaak fosse stanco di essere catalogato nel
filone del revival filologico.
La logorroica In The Heat Of The Jungle ritorna ai climi sinistri di Voodoo,
ma sembra piu` una jam estesa dei Creedence Clearwater Revival che un blues
delle paludi.
Colpa anche dell'arrangiamento, che e` insolitamente vario e curato.
Ma e` questo il disco che gli procura la celebrita`.
Quel recital spaziale che e` Wicked Game, sospesa in atmosfere di fantasmi,
con i rintocchi sfumati della chitarra e un battito soffice della batteria
a scandire il crooning tristissimo di Isaak, quasi uno yodel,
diventa un hit quasi due anni dopo essere stato pubblicata.
Non a caso e` anche il brano che si ricollega in maniera piu` naturale ai
dischi precedenti.
Negli anni '90 Isaak ha comunque trovato il meritato successo, imponendo con
le sue nostalgiche composizioni l'immagine di poeta solitario, alla deriva
nelle sue radici culturali. San Francisco Days (Reprise, 1993)
ne fa anzi un eroe nazionale. Ancora una volta il sound della title-track
sembra artificiale, troppo aggressivo per essere davvero suo.
Il frizzante rockabilly di I Want Your Love,
la languida cantilena hawaiana di Except The New Girl,
il rock and roll di Lonely With A Broken Heart
sono semplici esperimenti di revival, hanno perso il lugubre fascino
esistenziale delle sue meditazioni.
Isaak e` un poeta, non uno strillone di giornali. Il blues indemoniato alla
Slim Harpo di Round And Round e il brioso collage di Two Hearts
(che ricopia un pezzo di Queen Of Hearts e un pezzo di La Bamba)
hanno dalla loro una struttura trascinante,
ma (con l'unica eccezione della suspense di Move Along e dello swing
a passo felpato di 5:15) mancano del tutto
le atmosfere liriche che l'hanno reso grande.
Peggio: Can't Do A Thing To Stop Me tenta di costruirgli una carriera
da cocktail lounge.
Isaak rimane il maestro dell'atmosfera, cosi` come Hitchcock fu il maestro
del thriller, ma i suoi dischi sono sempre piu` mestiere e sempre meno arte.
Non a caso Isaak ha scritto parte delle musiche per i film di David Lynch
(Isaak e` anche attore cinematografico).
Forever Blue (Reprise, 1995) all'apice della fama, trova forse l'equilibrio giusto
fra un sound molto piu` potente e moderno e tematiche molto personali (in questo
caso una vera e propria ossessione per la perdita della sua ragazza).
Things Go Wrong (Orbison) e There She Goes (Presley) sono i tributi di
turno ai suoi idoli del passato, ma Baby Did A Bad Bad Thing
e` un incalzante boogie alla John Lee Hooker, Somebody's Crying e` una ballad
degna di Gordon Lightfoot, e il disco
si libra improvvisamente nel passo marziale, nell'organetto e nel riff distorto
di Go Walking Down There, nel rovente stile del garage-rock.
Passa sotto silenzio Baja Sessions (Reprise, 1996), opera minore
registrata sulla spiaggia Messicana con l'obiettivo di comporre la colonna
sonora ideale per il corteggiamento. Alcuni brani sono vecchi, altri sono
cover.
Pretty Girls Don't Cry, Wrong e Waiting For My Lucky Day
rubano la scena alle composizioni piu` famose. Ma Isaak assomiglia sempre piu`
come Roy Orbison e sempre meno a Elvis Presley, e dipende sempre piu` dalla
chitarra di Hershel Yatovitz.
Isaak ha scritto alcuni dei massimi classici della ballad desolata.
Con lui il revival (l'"American graffiti") diventa piu` che semplice
nostalgia, diventa una nostalgia esistenziale, uno spleen costituzionale,
un anelito metafisico per la propria identita` storica e individuale.
Isaak e` un filosofo del tempo. Nessuno sa, come lui, rendere il senso del
tempo che passa, crudele e inesorabile.
|
San Francisco was graced by the isolated voice of
Chris Isaak, a leftover from the
"Sixties revival" movement who internalized
Roy Orbison's romantic crooning, Elvis Presley's sobbing tenor,
languid lounge music,
Ennio Morricone's epic soundtracks, and the Ventures' atmospheric instrumentals.
The melancholy and stoic mood of Silvertone (1985), well rendered by
subterranean guitar strumming, revealed an existential malaise that was
not desperate and not frightened, but rather impotent in the face of an
immanent and universal force, as if contemplating a nirvana of absolute
and eternal sorrow. Chris Isaak (1987) was an equally compelling
show of desolate private masses and
unfocused photographs of a distant grey landscape.
His art peaked with the trance-like recital of Wicked Game (1989),
despite the fact that Heart Shaped World (1989),
San Francisco Days (1993) and Forever Blue (1995) offered
more lively and less personal reproductions of the 1950s and 1960s.
If English is your first language and you could translate my old Italian text, please contact me.
Scroll down for recent reviews in English.
|