Nel firmamento dei chitarristi degli anni '90
brilla la stella del texano Eric Johnson, un veterano degli studi di
registrazione (gia` nei psichedelici Mariani)
che soltanto con l'album Tones (Reprise, 1986)
venne scoperto dalla critica internazionale.
Soulful Terrain e Zap,
i gioielli strumentali del disco, sono costruiti attorno a un elegante tema
melodico che si inerpica all'improvviso in una serie di variazioni a tutto
volume. Il secondo, piu` veloce e swingante, lascia intuire quale sia la
vocazione (spettacolare) del chitarrista; mentre Victory rappresenta il
versante rilassato, da salotto, quasi new age, del suo mestiere.
Se il loro approccio e` "impressionista", nel senso di voler rendere sonoramente
un paesaggio attraverso il mosaico cromatico degli accordi, il risultato
assomiglia piu` al corrispettivo di un flusso di coscienza, al continuo
e spontaneo confessarsi di un animo tormentato alla ricerca di un rifugio
esistenziale negli elementi naturali.
Le parti cantate sono meno avvicenti ma canzoni come Off My Mind tentano
comunque un gradevole connubio fra powerpop e soul, sempre vivacizzato dagli
spunti vigorosi della chitarra.
Tanto la produzione da flash-rock quanto gli arrangiamenti vocali un po' soul
denotano l'influenza di Todd Rundgren, in particolare in Emerald Eyes e Trail
Of Tears. Le dissonanze oniriche di Bristol Shore, il flamenco
rallentatissimo e quasi impercettibile di Desert Song e gli altri virtuosismi
sparsi con discrezione nello spartito del disco aggiungono un tocco di
sofisticazione.
Con Ah Via Musicom (Capitol, 1990) e il travolgente strumentale
Cliffs Of Dover, Johnson venne scoperto dal grande pubblico.
In realta` il disco valeva meno, conteso fra ballate da AOR e
strumentali sempre piu` banali. Il riff di chitarra in Trademark e` anche
troppo cantabile, al limite del musical di Broadway; soltanto Righteous
ritrova per un attimo la grinta migliore.
Noto per la maniacale ricerca di purezza dei toni (anedotti raccontano che
sappia distinguere il timbro delle corde di una certa marca da quelle di
un'altra marca), a un orecchio finissimo accoppia una magistrale destrezza
di "picking", che conferisce allo strumento una fluidita` da violino.
Da Jimi Hendrix a Wes Montgomery la tecnica di Johnson copre l'intero spettro
del chitarrismo moderno, e lo fa con la disinvoltura del talento naturale.
Venus Isle (Capitol, 1996) e` il suo album piu` pop, cantato in uno stile
quasi zen e arrangiato in maniera quasi barocca. I suoi spettacolari assoli
passano in secondo piano rispetto alla densita` e alla cromaticita` dei
sottofondi. Aperto dalla litania indiana di Venus Isle, si perde un po'
nel progressive-rock magniloquente delle lunghe Battle We Have Won,
All About You e When The Sun Meets The Sky, che peraltro contengono buone
melodie.
I suoi leggendari toni di chitarra e le sue impennate travolgenti si affacciano
soltanto in Srv, nel jazz-rock di Manhattan, nell'hard rock di
Camel's Night Out e nel tema eroico di Pavilion.
Souvenir (2002) collects unreleased material.
Bloom (2005) is a mediocre collection.
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