Dalla pagina sui Live Skull di Piero Scaruffi
(Testo originale di Piero Scaruffi)

I Live Skull furono un complesso di art-noise fondato nel 1982 dai chitarristi Marc C. e Tom Paine. Il primo omonimo EP del 1984 (per la Massive) mise in luce come il loro macabro universo nascesse dall'incrocio fra il gotico dei Joy Division e il lugubre di Glenn Branca. L'angoscia aveva origine dal sound chitarristico, invece che dalle tonalita` cupe del canto.

La schizofrenia di fondo del loro programma venne rivelata da Bringing Home The Bait (Homestead, 1985): da un lato il quartetto riesce a mettere in pista un pop-hardcore alla Husker Du (Glee Product e Skin Job, due classici del genere), per quanto ritmi violentemente fratturati e canto declamato finiscano per sortire vibrazioni di tipo piu` subliminale (Sparky), al limite indulgendo in dissonanze e ralente` da "trip" acido (Brains Big Enough); dall'altro tende spesso a scimmiottare atmosfere dark punk (Ha Ha Ditch, Houseboy e lo strumentale Goodbye To The Uninvited Guests) o funk-punk (Wisdom And Gravy) con dovizia di distorsioni, sullo stile degli inglesi.
In breve il gruppo inizio` ad accentuare le propensioni per le atmosfere cupo-depresse e le cadenze horror-funky (Debbie's Headache), spesso sconfinando nell'orgia chitarristica alla Sonic Youth (With The Light), con qualche voodoobilly da favola (Swingtime).

L'album del 1986, Cloud One (Homestead), e` quello piu` accessibile: Fort Belvedere rispolvera le cadenze del voodobilly, ma nella loro maniera ultra-ossessiva; I'll Break You e` la loro versione, tutta dissonante, del bolero. La nevrosi che sottende tutto il loro output trapela soprattutto dalle sincopi irriducibili della title-track e dagli stridori isterici di The Loved One. E` l'assuefazione a tale nevrosi che genera il mantra dilatatissimo di Bootcamp. Se qualche canzone indulge nel cantilenare piu` vaniloquente sul rumore piu` ispido delle chitarre, l'insieme conserva un piglio sufficientemente alienato da terrorizzare. Oltre agli spinosi scambi delle due chitarre sono in bella vista il lavoro della bassista Marnie Greenholz e del batterista Mark Lo (vedi la tribale e quasi epica Bell Shaped Heads).

Da Dusted (Homestead, 1987) in poi, invece, il gruppo tornera` all'intransigenza cacofonica degli esordi e la nuova cantante Thalia Zedek (ex Uzi e Dangerous Birds), con il suo registro monocorde, privo di modulazione, diventera` uno dei tanti "rumori" (non suoni) della sinfonia. A quel punto il gruppo era diventato un quintetto con due donne (seconda la bassista Marnie Greenholz) e tre uomini (i due chitarristi fondatori, Mark C e Tom Paine, e il batterista Rich Hutchins).
La presenza della nuova cantante ha un effetto devastante sul sound, che non solo ritorna alle sue origini cacofoniche, ma accentua tutti gli aspetti piu' difficili della sua struttura: le timbriche grezze, i chitarrismi spigolosi, i tribalismi ossessivi, le urla da fine del mondo. L'impasto e' ancor piu' cupo e tragico, quasi ai livelli degli Swans. Machete e Slugfest non sono canzoni, sono fosche premonizioni in una penombra sinistra da film noir. Quando (in Kream e Fat Of The Land) le armonie si disgregano in dissonanze e dissolvenze, l'atmosfera diventa quella degli incubi. Il capolavoro e' forse Debbie's Headache, un voodoobilly in cui la tensione spaventosa del disco trova un formato piu' accessibile.

La personalita' torturata della nuova leader, e il suo registro maschio e gutturale, sono in primo piano nell'EP Snuffer (Caroline, 1988), che segna anche l'approdo a una forma meglio fruibile del loro anti-rock. Gli esorcismi satanici di Zedek propellono senza pieta' il voodoobilly hardcore di Was, il brano piu' chiassoso e frenetico della loro carriera, la litania gotica di Chair, propulsa da cadenze febbrili, e il sinistro rituale di Straw, immerso in rimbombi e vocalizzi da immane tregenda; fino a lambire le tonalita' della Patti Smith piu' accesa in Step. Snuffer potrebbe essere il capolavoro della banda, con intrecci chitarristici degni dei Television e dei Sonic Youth e una ritmica fenomenale, del tutto avulsa dal canto.

Con Sonda Andersson dei Rat At Rat R al posto di Greenholz, l'ultimo album, Positraction (Caroline, 1989), tento' di rendere piu' accessibile il sound, iniettando tonnellate di adrenalina heavymetal nelle vene di Circular Saw, arrangiando Riches House con armonica, campane e conga, rallentando Caleb in un lattice di accordi psichedelici (con tanto di viola e tam-tam). Zedek cavalca come una folle strega il brano piu' scalmanato, Demon Rail. E' l'estremo tentativo di dare ordine al disordine cronico delle canzoni fortemente concettuali di questo gruppo. Ma il destino dei Live Skull e' quello di passare alla storia come degli importanti innovatori, dei catalizzatori della scena di New York, ma non per una canzone leggendaria.

Contesi fra ferocia "beefheartiana", tribalismi arcani del dark punk e incubi minimalisti alla Sonic Youth, e protesi nel tentativo titanico di fondare la canzone post-moderna, i Live Skull rappresentano uno stadio molto degradato dell'emotivita` punk.

Zedek diventera` celebre con i Come.


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