Original Sins
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Big Soul , 7/10
Hardest Way , 7.5/10
Self Distruct, 7.5/10
Move , 7/10
Out There , 6.5/10
Acidbubblepunk , 4/10
Turn You On , 5/10
Bethlehem , 6/10
Suburban Primitive , 4/10
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Gli Original Sins nacquero a Philadelphia durante il boom del revival psichedelico. Il cantante John Terlesky e l'organista Dan McKinney avevano mandato a memoria i due accordi due inventati da Standells e Seeds (e soprattutto il modo di eseguirli dando fondo a tutte le risorse). Di quegli eroi degli anni '60 il gruppo riprendeva ed esasperava pero` soprattutto l'atteggiamento spavaldo e sregolato.

Il singolo Just 14 (Bar None, 1986) li presento` nel modo piu` provocatorio (e` un inno allo stupro delle minorenni). L'album dell'anno dopo, Big Soul (BAr None, 1987), con due classici selvaggi del calibro di Not Gonna Be Alright (alla 13th Floor Elevator) e Can't Feel A Thing (alla Them), li impose alla testa del movimento, quantomeno per cattiveria e ferocia. Tutte le composizioni schizzano sudore dai solchi dell'album, e poco conta che bagni di sangue come Possession e My Mother's Mirror (urlato da far rabbrividire persino Little Richard) vantino ritornelli originali o meno. Cio` che conta e` l'assalto sonoro. Nel gran tumulto di quel grezzo rock and roll passano inosservati brani come Help Yourself, una ballata beat, Read Your Mind, un "lento" alla Rolling Stones, o Inside/Out, il loro raga-rock.

Hardest Way (Psonik, 1989) si concentra sul lato piu` selvaggio del loro repertorio e, nelle tappe del suo infernale Calvario, erige un monumento alla frustrazione adolescenziale. Funge da ourverture Heard It All Before, forte e melodrammatica (con tempo marziale, melodia solenne e organo surf) che da` il la` a tutta la raccolta. Ritornelli memorabili e accordi epici di chitarra propellono i momenti piu` nostalgici, in cui si riesumano Kinks, Who, Animals e Troggs, come la strepitosa Tearing Me In Two. I "rave up" travolgenti di Now's The Time (uno dei capolavori di tutto il "Sixties revival") stratificano riff sismici di chitarra e ondate furibonde di organo, a tutto volume e tutto d'un fiato; ma esplosioni di pura energia come Why You Love Me So non hanno bisogno neppure di quelli, soltanto di due minuti per smaltire tutta l'adrenalina; e rhythm and blues pirotecnici come Out Of My Mind fanno tremare le casse dei diffusori, con una furia da far impallidire i Them. Il sound non ha perso nulla della sua potenza di sfondamento, ha anzi acquistato in ordine e incisivita`. Nessuno sa eseguire il rock and roll come loro. Hardest Way rimarra` probabilmente la loro opera definitiva.

Immettendo nella ricetta qualche dose di Stooges e MC5, Self Distruct (Psonik, 1990) trasforma anche le ultime parvenze di sound rispettabile in un'orgia brutale di feedback a tutto volume, di wah-wah ciclopici, di epilessi ritmiche, di versi animaleschi, toccando vertici lambiti soltanto dai complessi piu` rumorosi e meno melodici di vent'anni prima. L'emblema del nuovo corso sono baccanale boogie Do It, l'inno parossistico di Nowhere To Go e soprattutto il delirio lascivo di Alice D. La foga di questi tre brani e` quella dell'hardcore, sia pur applicata al sound dei Sixties. E` questa la regola, anche se una melodia beat e` nascosta nel ritmo indemoniato di Looking At The Sun. Quest'opera senza pieta` si chiude con Black Hole, un calderone di acid-rock supersonico e space-rock alla Hawkwind che sublima vent'anni di musica degli allucinogeni distillandone l'essenza ultima: il caos. In questo sabba sfrenato trionfano la droga e il sesso, in barba alla moralita` imperante.

Il loro stile e` tanto semplice quanto estremo. Se la chitarra non fa altro che eruttare frasi maniacalmente distorte e la batteria tiene stoicamente un tempo da rock and roll acrobatico, la vera spezia dell'arrangiamento e` l'organo, "stonato" per suonare "acido" come da tradizione, ma anche accordato sulle tonalita` del gospel, accelerato fino a sembrare parodistico, strimpellato approssimativamente per correre dietro al resto dell'arrangiamento. L'effetto e` portentoso, e crea anzi un nuovo standard allo strumento. I ritornelli sono tanto semplici e ipnotici da rivaleggiare il bubblegum di Tommy Roe, ma vengono immersi in un magma letale di rumori sinistri e violenti. Il sound viscerale di quest'opera ha pochi rivali negli annali del rock.

Il tour de force di Move (Psonik, 1991), forte di ben ventiquattro canzoni, suggella il pop psichedelico della maturita`, equamente conteso fra rudi melodie (Feel So Fine, Between The Lines) e acidrock spaziali (Forest Through The Trees), ma riduce in maniera eccessiva la carica del gruppo, denudando armonie che non hanno mai brillato per originalita` ma soltanto per vigore d'interpretazione. Questo sbaglio strategico riduce l'impatto di She's On My Side e I'll Be Around, che dovrebbero essere i piatti forti, e offre il destro a tentativi folk (Watch You Dance) e funk (la title-track) non particolarmente felici. Meglio, molto meglio, l'enfasi gospel di Break The Chain, la cadenza marziale di Wake Up, e soprattutto i due capolavori: il ritornello alla Roe di If I Knew e la scatenata Devil's Music. L'eclettismo e il melodismo stendono la mano al resto del rock civilizzato, ma forse tolgono troppo alla potenza luciferina del loro sound.

Con Out There (Psonik, 1992) e il singolo Get You There gli Original Sins proseguono la loro saga in assoluta solitudine, fra lo shuffle frenetico di Get Into It e il rave-up scalmanato di Dead Gone Train, scodellando dal loro archivio di imitazioni una jam psichedelica come Goin' Down e un epico garage-surf some Wipe Out. Ma il meglio si trova forse nei brani che puntano a un rinnovamento della formula: One Good Reason, che incrocia un boogie alla T.Rex e un ruggito alla Wilson Pickett; oppure Killing Time, che trova un suggestivo punto d'equilibrio fra la ballata degli anni '60 e le melodie viscerali dei Nirvana. L'unico difetto di questo disco e` gli Original Sins ne hanno gia` fatti quattro cosi`, ma il resto dell'universo rock immolerebbe la madre per riuscire a fare dischi come questo.

Nel frattempo Terlesky, sotto lo pseudonimo di Brother J.T., ha avviato una carriera parallela.

Forse anche per questa ragione, Acidbubblepunk (Psonik, 1994) e` il primo dei loro album a deludere profondamente. La ripresa sara` lenta ma completa, passando attraverso l'interlocutorio Turn You On (Bedlam, 1995), un album che torna al suono classico ma con poca ispirazione, e pervenendo a un nuovo piccolo capolavoro di rock selvaggio, Bethlehem (Bar None, 1996), che ricorda i fasti stilistici di Move e qualche numero degno del repertorio maggiore (One Way Out, Shopping Trip To Mercury). Il gruppo si spense pero` poco dopo aver pubblicato il mediocre Suburban Primitive (Blood Red, 1997).

Partiti da un convenzionale revival del garage-rock, gli Original Sins, da quelle anguste premesse, e senza tutto sommato scostarsi poi troppo da esse, ma assorbendo dosi fatali di (anti-)estetica hardcore, sono riusciti ad erigere un'opera di un'imponenza terrificante, una sorta di colossale inno dionisiaco, interpretando la psichedelia come esaltazione degli istinti del piacere, alla pari del cibo, dell'alcool e (soprattutto) del sesso. La droga diventa pertanto un pretesto, o meglio un simbolo, del piacere in senso lato, al di fuori di tutte le regole e di tutte le leggi. John Terlesky e Dan McKinney vanno cosi` annoverati nel bene e nel male fra i massimi interpreti musicali delle frustrazioni adolescenziali.

The Original Sins, in Pennsylvania, were perhaps the most visceral rockers of this generation. The low-quality high-energy party rock'n'roll presented by Big Soul (1987) exploited the barbaric canon of Standells and Seeds (as reinterpreted by vocalist John Terlesky and keyboardist Dan McKinney) to channel epic and cosmic riffs. Albums such as Hardest Way (1989), that grafted catchy and almost bubblegum refrains onto ebullient guitar and organ rave-ups, became monuments to teenage frustration. Adding lethal doses of Stooges and MC5, Self Distruct (1990) indulged in brutal orgies that were the musical equivalent of the sack of Rome. The psych-pop tour de force of Move (1991) and the lamer Out There (1992) signaled the end of one of the most exciting careers in evil since the Rolling Stones first walked on a stage.
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