The fertile intellectual environment of college town
Athens (in Georgia) spawned the neo folk-rock of R.E.M.,
one of the most successful bands of all time.
Pete Buck's Byrds-like Rickenbacker arpeggios,
Bill Berry's martial drums and Mike Mills' lilting bass emphasized
Michael Stipe's cryptic lyrics, middle-eastern cantillation,
gospel-like call-and-response, soaring psychedelic refrains and
oracle-like postures,
The anthemic but irrelevant Radio Free Europe (1981) introduced
to the surreal atmosphere of Murmur (1983), an album that
basically created fairy-tale worlds for the listener to wander into (alas,
angst-ridden ones) while relying on old-fashioned folk-rock foundations.
Fall On Me (1986) refined their vocal harmonies and rhythmic whirlwinds,
while Document (1987) revealed their melodic talent with a
cornucopia of catchy hooks: The One I Love, Finest Worksong,
It's the End of the World As We Know It, etc.
Their art was better refined by the singles than by the albums:
Stand (1988), Orange Crush (1988),
Losing My Religion (1991) Drive (1992), etc.
The albums became darker and more pretentious, employing arrangements that
often obviated to the lack of inspiration.
Monster (1994) was the notable exception, a slab of hard-rock that
yielded at least two of their masterpieces,
What's The Frequency Kenneth and Crush With Eyeliner.
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Gli R.E.M. (pronunciato "ar-i-em") non hanno rivoluzionato nulla nella
storia del rock, ma si sono imposti come i massimi autori (in senso
artistico/intellettuale) della moderna forma ballata, riuscendo a conservare
nel corso degli anni uno standard di qualita` elevatissimo. Non esiste forse
altro complesso al mondo che abbia prodotto musica di questo livello per cosi`
tanti anni.
(Ancor piu` difficile trovare un complesso la cui formazione sia rimasta
stabile per cosi` tanto tempo).
Non e` un caso che, a differenza di gruppi di culto
ma il cui successo duro` pochi anni, gli REM non abbiano mai rappresentato
nulla di particolare dal punto di vista sociologico (il loro pubblico e`
sempre stato prevalentemente quello dei ragazzi universitari e dei giovani
professionisti urbani), e tantomeno abbiano creato un genere che abbia definito
un'epoca. La storia del rock senza i Ramones
non sarebbe la stessa, mentre
la storia del rock senza gli REM sarebbe la stessa.
Ma gli REM sono rimasti
sulla cresta dell'onda, indifferenti alle turbolenze che dilaniavano il
grande oceano della musica rock.
Gli R.E.M. hanno coniato il folk esistenziale per eccellenza.
Tanto il farnetico casuale degli esordi quanto l'impegno ipocrita della fine
hanno poco a che vedere con il nocciolo della loro arte, che e` soprattutto un recupero
intelligente delle "radici" (morali e musicali) dell'America secondo un'estetica
che e` fondamentalmente conservatrice e revisionista.
Forse la quintessenza del loro messaggio sta piuttosto nella contraddizione
in termini di quel chitarrismo che riesce a fondere raga e jingle-jangle,
ovvero trascendenza millenaria ed entusiasmo adolescenziale, in uno
spirito che riflette perfettamente l'umore (alienato e nevrotico) dell'epoca.
Gli REM vennero formati ad Athens nel 1980 da Peter
Buck (chitarra), Michael Stipe (canto), Bill Berry (batteria) e Mike Mills
(basso). Sotto l'egida di Peter Holsapple e Mitch Easter, animatori della
scena alternativa del Sudest, il complesso registro` il singolo
Radio Free Europe (1981). Il suo ritornello epico-corale a voci
sovrapposte, nobilitato dagli arpeggi Rickenbacker alla Byrds di Peter Buck,
proponeva
una specie di boogie chitarristico sospeso fra la veglia e il sonno,
nel quale erano ancora evidenti gli accenti epici e visionari di Patti Smith.
Ma al tempo stesso l'armonia era arrangiata in modo assai piu` intricato, con
continui cambi di tempo e persino qualche dissonanza.
L'EP Chronic Town (IRS, 1982) prosegui` su quell'intuizione con
un pugno di canzoni che violavano i codici della tradizione ma senza
mai riuscire ad essere davvero rivoluzionari:
1,000,000 sembrava un punk-rock zoppo, che sposava la grinta alla
poesia, Carnival Of Sorts era una soffusa cantilena alla Byrds
immersa in un clima sinistro di suspence,
Wolves era un'incalzante giostra psichedelica e su tutto dominava
il raga-rock surreale di Gardening At Night.
Al ritmo incessante di uno squillante jingle-jangle e nel segno di un
vocalizzo fluido e lamentoso, gli REM coniavano un genere di canzone che
in trance, ma al tempo stesso vivacizzata da progressioni melodiche degne
dell'innodia liturgica e dell'estasi psichedelica.
La musica del primo album, Murmur (IRS, 1983), costitui` un fatto
sensazionale perche' riusciva a fondere classicita` e spirito dei tempi.
Da un lato c'erano le armonie vocali e chitarristiche del folk-rock, con il
loro connotato di pulizia cristallina e di piglio naif, e dall'altro c'era
la cappa d'angoscia che schiaccia i giovani urbani alienati.
Sulla filigrana esile di Buck, sul caratteristico battito in levare,
su una cadenza monocorde da power-pop, il complesso riusciva a tendere
melodie afflitte e agonizzanti. Biascicate dal tenore sciatto e
sabbioso di Michael Stipe, quelle melodie si elevavano all'improvviso in cori
trionfali.
I gorgheggi mediorientali del cantante, procedendo per vocali lunghissime,
ricordavano piu` le invocazioni dei muezzin che il ruggito dei rocker.
Proprio su un lamento epico e su una cadenza orientale si apre
Pilgrimage, con un tipico
crescendo di voci in contrappunto che si riecheggiano da registri diversi
e con tipiche mutazioni di tempo che sfociano in una marcetta psichedelica.
La doppiezza del loro sound si rivela anche in Moral Kiosk,
i cui intrecci vocali appartengono a un registro che sta fra lo yodel,
l'honky-tonk e i monaci tibetani, e il cui ritmo alterna
fasi ballabili a una danza di pellerossa e a un galoppo a rotta di collo.
In 9-9 si trovano gli stessi ibridi vocalim, con toni ancor piu`
visionari, al limite del mantra, e la stessa propensione per ritmi involuti,
quasi funk.
Le canzoni sono tutte una diversa dall'altra, ma alla fine il vocabolario
che usano appartiene allo stesso dialetto:
Talk About The Passion e Shaking Through sfruttano fino in
fondo la magia del jingle-jangle e le eccentricita` dell'era psichedelica,
Laughing aggiunge il fascino delle melodie indianeggianti,
Perfect Circle sperimenta con un'armonia classicheggiante,
Sitting Still si rifugia nella classica progressione melodica del
power-pop , e Catapult scodella una passionale ballata country-rock.
Il resto della carriera degli REM non fara` altro che approfondire questi
stili.
Sull'esempio dei Talking Heads, gli REM spostarono
l'enfasi della musica rock dall"eroe" (cantante o chitarrista) alla dinamica
di gruppo.
Nei loro dischi
la batteria, in particolare, svolge un ruolo piu` attivo, svariando
in continuazione su tutti i fronti. Buck dal canto suo inventa un
chitarrismo "pieno", che estremizza jingle-jangle e "wall of sound", e le
armonie vocali di Stipe ridefiniscono il concetto gospel di "call and response".
Piccole cacofonie e suoni eccentrici affiorano qua e la`
Le liriche, che fecero scalpore per essere inintelleggibili,
aggiunsero soltanto un tocco di mistero al curriculum del gruppo, troppo
intelligente per lasciarsi andare a storie di adolescenti e di innamoramenti.
Come nei migliori film-noir.
il tema di tutti i brani sembra in realta` essere quello del destino
ineluttabile. Il tono e` quello dell'oracolo indecifrabile,
nell'assenza di una voce universale e nel bisogno intimo di redenzione.
Il secondo album, Reckoning (IRS, 1984), perse il fascino arcano di
quelle liriche e, dovendo far leva unicamente sulle musiche, sembro` una
ritirata. In realta` era piu` studiato negli arrangiamenti perche' quella era
la direzione in cui il gruppo si sarebbe sempre mosso. E le armonie,
sempre eclettiche ed epiche, si erano fatte piu` umane perche' Stipe aveva
poco in comune con i ribelli della sua generazione e aveva invece una
personalita` complessa e letterata di filosofo.
Ne venne fuori un album confuso e fin troppo rock, che talvolta si allontanava
dalla strada maestra del folk-rock per finire nel territorio a loro poco
congeniale del boogie sudista di dieci anni prima.
I brani
(il blues-rock alla Dire Strait di Harborcoat,
la fluida highway-music di South Central Rain,
la ballata drammatica di Pretty Persuasion,
il raga nevrotico alla Velvet Underground di Time After Time,
l'arringa fatalista alla Dylan di Second Guessing,
la tenera Camera,
la marcetta solenne di Letter Never Sent) non hanno la stessa
forza e originalita` del disco precedente.
I toni rustici e spontanei di questo country-soul, in particolare
Rockville, a meta` fra ragtime, boogie e gospel, li fecero accostare
piuttosto alla Band.
Volenti o nolenti, gli REM finirono per essere identificati come i portabandiera
del rinascimento "grassroots" che relego` in secondo piano il punk-rock.
Molte canzoni si affidano pero` al crescendo di stile psichedelico che il
gruppo stava metabolizzando per far diventare il proprio marchio di fabbrica.
Nonostante i soliti colpi di reni, gli REM sembrano in crisi, anche se forse
si tratta soltanto di transizione da alternative a mainstream: come
ricostruirsi una dignita` in giacca e cravatta.
Fables Of Reconstruction (IRS, 1985) elimina del tutto le eccentricita`,
irrobustisce ancor piu` gli arrangiamenti (con sezione d'archi
e sassofono) e tenta di avvicinarsi alla ballata folk inglese.
L'album rappresenta pero` il punto piu` basso della loro parabola:
nonostante il country-soul di Driver 8 e il funky-boogie di
Can't Get There From Here
(l'unico brano con le armonie vocali di un tempo),
il dolente impressionismo nostalgico delle loro cantilene (piu` psichedeliche,
come Feeling Gravity's Pull, o piu` trascendenti, come
Maps And Legends, che siano) diventa auto-indulgente.
Come sul disco precedente, c'e` molto "stile", ma manca la canzone di
sfondamento.
Il periodo di transizione termina con
Life's Rich Pageant (IRS, 1986), lavoro
contaminato dalla febbre populista che dilaga
nella nazione rock. Fin dall'inizio gli REM, con le loro criptiche epiche,
avevano personificato l'aspirazione positiva della nuova generazione,
in contrasto con il depresso pessimismo che era stato lo slogan dei punk.
Ora gli R.E.M. concretizzano il loro positivismo con una raccolta di canzoni
che tocca i temi sociali e politici contemporanei, anche se la loro rimane
una visione molto romanticizzata degli eventi internazionali.
I funky-boogie vibranti di Just A Touch e Begin The Begin,
gli anthem populisti alla Mellencamp di These Days e I Believe
e l'elegia country-soul di Flowers Of Guatemala,
sono i manifesti del nuovo impegno, che trova un lirico approdo in
Fall On Me, una delle loro melodie piu` tenere e semplici (copiata pero`
da Love Is All Around dei Troggs), e
Cuyahoga, dolente ballata intrisa di nostalgia.
L'epico entusiasmo di Hyena (con un po' di Radio Free Europe)
impersona il piu` corrivo ottimismo, ovvero la sintassi emotiva del
Reaganismo, e l'album sperimenta semplicemente le produzioni piu` grintose
dell'AOR da classifica. Toccato il nadir della decadenza con le Fables,
gli R.E.M. si costruiscono una nuova, piu` remunerativa, carriera.
Lo stile aumenta, ma l'equazione non cambia: gli R.E.M. danno lezioni su
come costruire l'hit storico, ma non riescono a costruirlo.
Proprio da quel sound diretto e assordante scaturisce pero` la verve di
Document (IRS, 1987), e da quella verve scaturiscono a loro volta i
classici da stazione FM che Buck e Stipe hanno testardamente cercato fin
dall'inizio:
The One I Love, ritornello fenomenale fra i piu` orecchiabili di
sempre, e This Is The End Of The World, vaudeville
demenziale-apocalittico che rifa` il verso al Subterranean Homesick Blues
di Bob Dylan e alla Too Much Monkey Business di Chuck Berry; nonche'
Finest Worksong, un rock and roll marziale con ritornello da brividi,
ideale inno per rivoluzionari. Mentre a un insolito registro comico
appartengono Exhuming McCarthy, gag satirica degna dei Fugs,
e King Of Birds, con strimpelli raga e marcetta western.
Questa volta lo schema e` invertito: l'album non e` cosi` unitario come
i precedenti, ma alcune delle canzoni lo proiettano fra i classici. Gli R.E.M.
ammettono finalmente, prima di tutto a se stessi, di essere un gruppo da
singolo, non da album. E le folle li premiano con il loro primo album d'oro.
E` con questo disco che gli REM escono dal ristretto giro dei college e
diventano star internazionali.
Dopo la raccolta di rarita` Dead Letter Office (IRS, 1987), un disco
di scarsa sostanza,
Green (Warner Bros, 1988) consolida quel sound trionfale con
Stand, carosello melodico degno di One I Love,
I Remember California, spettrale e psichedelica,
Turn You Inside Out, un fremente rock and roll degno di
Finest Worksong,
Orange Crush, ipnotica canzone di protesta che continua la saga di
End Of The World,
la romantica You Are The Everything e
Pop Song 89, elettrica ballata alla Doors.
Entrambi i dischi della maturita` si sviluppano secondo lo stesso canovaccio
di canzonette disimpegnate, ballate politiche, rock and roll e novelty.
Green
e` praticamente la brutta copia del precedente, ma una brutta copia che
annovera comunque almeno un paio di classici (Stand e Orange
Crush).
Il decennio si chiude insomma in maniera trionfale dal punto di vista dei
singoli, un po' meno dal punto di vista degli album.
Gli R.E.M.
sperimentano sul canto, sull'arrangiamento e sul ritmo, e in definitiva sulla
stessa forma-canzone, in una maniera subdola, che risulta
di facile ascolto.
I loro hit si qualificano per una struttura armonica apparentemente innocente
(un ritornello e un ritmo banali) ma che la chitarra e il canto deformano
poco alla volta, e
sulla quale si libra all'improvviso un "hook" melodico di fattura
psichedelica. Canzoni come Radio Free Europe, South Central Rain,
Fall On Me, The One I Love e Stand rappresentano dei
traguardi del formalismo rock.
Il primo album del nuovo decennio, Out Of Time (Warner Bros, 1991),
e` anche il piu` pacato e riflessivo della loro carriera, il
piu` contrassegnato da umori rurali (abbondano mandolini, chitarre steel,
organi Hammond, controcanti femminili) e il piu` pesantemente arrangiato
(tastiere, archi e fiati). Ancora una volta (gli R.E.M. hanno
imparato la lezione) un pugno di canzoni non
correlate fra di loro svetta sulle altre, giustifica l'esistenza del disco ed
entra nel repertorio: Radio Song, un funky-soul alla James Brown;
Shiny Happy People, una loro canonica litania folk-rock ripetitiva
nel solco di Stand;
e Losing My Religion, apice della loro malinconia cronica e di tutto
l'album (imparentata per altro con la Every Breath I Take dei Police).
Ma troppi brani sprofondano nella mediocrita` e soltanto Half A World
Away, ballata country con arrangiamento barocco-psichedelico di
clavicembalo, mandolino, organo e sezione d'archi, lascia sperare in un minimo
di evoluzione.
Out Of Time e` comunque il loro primo album a conquistare la
prima posizione nelle classifiche di vendita.
La chitarra di Buck rimane spesso in secondo piano rispetto a tastiere e
archi e fiati (che ricordano un po' i Beatles di Penny Lane, un po' i Moody
Blues e un po' i Love di Forever Changes); le armonie vocali sono piu`
elaborate (e ricordano un po' i tardi Beach Boys), anche perche' ormai Stipe
non canta piu`, bensi` crea mosaici di sillabe, versi e parole che
all'improvviso, e quasi in modo subconscio, liberano la frase che da`
un'identita` al brano.
In un certo senso gli R.E.M. hanno capito quale fosse la semplice ricetta per
ristrutturare vecchi stilemi blues, folk e country in canzoni pop moderne,
che alle origini era un fatto spontaneo. Adesso non fanno che applicarla in
maniera meccanica, sapendo di farlo. Cio` che manca e` la componente
spirituale dell'operazione, che una volta riempiva il cuore prima ancora che
le orecchie.
Automatic For The People (Warner Bros, 1992) conferma un anno dopo la
crisi che era latente, prendendo lo spunto proprio dalle canzoni piu` deboli
del lavoro precedente, accentuando gli arrangiamenti orchestrali e l'umore
elegiaco. Gli REM hanno spesso cambiato personalita` da un disco all'altro
e Automatic rappresenta forse l'apice di questa schizofrenia. Di colpo
Stipe s'immerge in un'atmosfera cupa e fatalista, a meta` fra l'incubo di un
eroinomane e l'ultima nota di un suicida.
Drive trova la forza di levarsi in una delle loro epiche salmodie,
forse la piu` commossa della loro carriera, sottolineata da orchestra e
fisarmonica. Buck compie uno dei suoi capolavori di "understatement" e
rarefazione, limitandosi a strimpellare il motivo alla chitarra acustica.
Ossessionato dal tema della morte, il disco rumina umori senza fornire
soluzioni. Drive passa il testimone a Everybody Hurts, una
meditazione ancor piu` assorta, cantata in un registro alto, vibrante,
da soul (e con un altro riff rubato ai Troggs), che lo passa alla tenera
dedica di Man On The Moon (in cui il tragico destino del comico
Andy Kaufman diventa un'allegoria metafisica), con finalmente un'impennata
vecchio stampo. E quel testimone finisce a Find The River, in fondo
al disco, una dimessa imprecazione esistenziale che riecheggia tanti ritornelli
nostalgici di cantautori come Gordon Lightfoot e John Denver.
Gli arrangiamenti sono lambiccati senza essere manieristici, come dimostrano
il preludio barocco per organo e violoncello di Sweetness Follows ,
l'ariosa ballata folk-rock di Try Not To Breathe,
l'addolorata fantasia per pianoforte e orchestra di Nightswimming,
che sembrano canzoni acustiche ma in realta` nascondono una profusione di
suoni in sottofondo.
Gli unici residui di rock and roll si trovano in Ignoreland, la canzone
politica di turno, e in The Sidewinder Sleeps Tonite, sorprendentemente
gioviale per questo disco, ma entrambi sarebbero stati pezzi minori anche sui
dischi precedenti.
Nuocciono all'album un programma alquanto monotono e un tono soporifero, o,
se si preferisce, la mancanza di
brani che ridestino dallo stupore in cui il tono di Stipe vuole e riesce a
precipitare l'ascoltatore. Dato atto al gruppo di aver raggiunto un livello
molto sofisticato di "affabulazione", rimane il fatto che molti di questi
brani non sono piu` originali o piu` geniali di tante ballad di musica leggera.
Da molti considerato il capolavoro degli REM, Automatic e` piu` che altro
un disco senile e auto-indulgente, che vale piu` come opera di "pop" sofisticato
che come opera di "rock" innovativo.
Monster (Warner Bros, 1994) riesce a tirare fuori il gruppo da quelle
sabbie mobili sentimentali e barocche
con un sound improvvisamente forte e lacerante (parte del materiale
e` quello scartato dal disco precedente in quanto troppo rock and roll per
Automatic For The People ). Se i dischi precedenti avevano segnato
la conquista di una serenita` un po senile con il mondo e la vita,
Monster denuncia la perdita di qualsiasi certezza, la resa di fronte
alla follia del fato, la prigionia nella morsa della nevrosi e della violenza
che attanagliano la societa`.
Il ritornello ripetuto fino alla nausea da Stipe e le distorsioni riverberate
con discrezione da Buck (e reminescenti dei Debris)
propellono l'hit di turno, What's The Frequency
Kenneth (uno dei loro capolavori), ma gli R.E.M. non sono forse
mai stati cosi` tetri e decadenti (ed epici) come in
Crush With Eyeliner, cantata dietro un filtro e sotto un cumulo di
distorsioni al passo di un boogie rallentato in una marcia funebre.
Da li` in poi mosse boogie e vampate di distorsioni infestano tutto l'album,
fino a I Took Your Name. Sinistro, crudele e sensuale, il disco si crogiola
nel suo umore depresso: il battito pellerossa alla Talking Heads che trascina
I Don't Sleep I Dream e` attenuato da un guaito soul alla Marvin Gaye;
gli accordi reggae alla Police di Bang And Blame vengono soffocati in un
ritornello vibrante alla Nirvana.
Non mancano le solite auto-citazioni, dal brio epico di End Of The World che
resuscita per Star 69 al crooning accorato di Everybody Hurts che
viene clonato per Strange Currencies.
Alla fine e` il loro disco migliore dell'ultimo decennio. Non e` un complimento,
e` un dato di fatto.
New Adventures In Hi-Fi (Warner Bros, 1996), registrato in gran parte
fra un concerto e l'altro, suona piu` che altro come una raccolta di scarti
e prove generali.
L'acid-rock di Undertow, il rock and roll di
Wake Up Bomb, il folk-rock di
New Test Leper,
la tenera ballata Leave,
l'ode Dylan-iana di Departure
(con il riff rubato a Everybody Wants You di Billy Squier),
il southern-rock di Binky The Doormat
(a meta` strada fra CCR e ZZ Top)
sono omaggi ai variopinti stili dei loro
album passati, dal folk-rock criptico degli esordi fino al garage-rock
apocalittico di Monster.
Gli esperimenti (Patti Smith che ispira E-Bow The Letter e il Bob Dylan
cristiano che ispira New Test Leper) sono, come sempre, sul piano della
ballad atmosferica. In tal senso il vero mattatore e` l'ex bassista
Mike Mills, ora nei panni del tastierista: e` lui a pennellare l'apertura di
How The West Was Won, il brano guida.
L'album e` al tempo stesso enciclopedico nei confronti della musica popolare e
nei confronti della carriera degli REM. Come summa, pero`, fallisce
clamorosamente: sembra piu` sottrarre che aggiungere, mostrando i limiti
di un'arte di imitazione che ha travalicato gli stereotipi quando ha trovato
il piglio fatalista/epico, ma che sprofonda nella monotonia quando si adagia
in questo tono domestico/quotidiano.
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