Virgin Prunes


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A New Form Of Beauty (1982), 7/10
Heresie (1982), 6.5/10
If I Die I Die (1982), 7/10
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British dark-punk was easily topped by the most eccentric of all "dark" bands, the Virgin Prunes, that came from Ireland with a completely different approach to "gothic", an approach that mixed archaic rituals with avantgarde music. Their grotesque Grand Guignol regressed from the grotesque and hallucinated expressionistic theater of A New Form Of Beauty (1982) to the demonic rituals of Heresie (1982) to the pagan folk-rock of If I Die I Die (1982).
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I Virgin Prunes di Gavin Friday (vero nome Fionan Hanvey) nacquero a Dublino (Irlanda) non come formazione musicale ma come formazione teatrale. La musica, che inizialmente era astratta e violenta, ispirata all'"urlo" espressionista e alle rappresentazioni pagane dei Celti, divenne presto la parte preponderante dei loro show. I primi singoli, Twenty Tens/ Revenge/ The Children Are Crying (Baby, 1981) e Moments and Mine/ In The Grey Light (Rough Trade, 1981), documentano quelle colonne sonore dell'orrore, spappolate attorno alle selvagge improvvisazioni canore di Friday. Pur mantenendo il caratteristico piglio barbaro, quella musica catastrofica si calmo` alquanto, avvicinandosi al folk e al rock, su A New Form Of Beauty (Rough Trade, 1982 - Mute, 2004), un progetto multimediale (tre dischi di formato diverso, cassetta, video, libro e performance). Influenzati piu` dal gotico che dall'industriale (i due grandi filoni dell'underground post-Sex Pistols), i Virgin Prunes si specializzarono in sarabande cupe e grottesche, in allucinazioni morbose e macabre di estrema tensione psicologica (Come To Daddy, Sad World, Beast), pur rimanendo involontariamente legati alla tradizione del bardo bucolico (Sandpaper Lullaby, Sleep Fantasy, Slow Children). La loro e` musica di scarsi mezzi tecnici, ma di estrema forza interiore. Le folli acrobazie canore di Friday ne erano la voce e il subconscio.

Il doppio 10" Heresie (Invitation Au Suicide, 1982 - Mute, 2004), dedicato giustamente al tema della follia, contiene due suite, una registrata in studio e una dal vivo. Mentre quest'ultima e` semplicemente un rituale assatanato, una selvaggia galoppata valpurgica fine a se stessa, la prima e` strutturata in sette movimenti che ben rappresentano la loro estetica folk-psichedelica.
La caotica sarabanda del secondo movimento, il piu` lungo, e` un pretesto per mettere in scena il conciliabolo demoniaco di Friday e soci, su un battito costante e rumori assortiti di sottofondo, una delle loro tecniche preferite, che degenera piu` avanti, nel sesto movimento, quando i gorgheggi "lisergici" di Friday vengono lasciati liberi di fluttuare nel nulla. Il terzo movimento fa venire in mente l'acid folk degli Holy Modal Rounders e il successivo, su quella falsariga, contrappone il canto ubriaco di Friday al borbottio del pianoforte. Il finale, sostenuto da un battito nevrotico della batteria, solcato da spifferi elettronici, straniato da una chitarra strimpellata meccanicamente, e` un crescendo di terrore che culmina in una coda di urla spasmodiche. Nell'arco della suite i Virgin Prunes dimostrano una capacita` impressionante di costruire atmosfere sinistre, da fine del mondo, e di farle poi deflagrare.
Il tempo degli esperimenti e` comunque finito. Pagan Lovesong (Rough Trade, 1982), cantata, quasi sbavando, su uno dei loro ritmi grotteschi e uno dei loro arrangiamenti mediorientali, impone i Virgin Prunes anche in discoteca.

L'avanguardia e` definitivamente abbandonata con If I Die I Die (Rough Trade, 1982 - Mute, 2004), un album relativamente ben arrangiato e, soprattutto, strutturato in vere canzoni. Le canzoni sono mini-suite melodrammatiche che rivelano debiti storici verso Genesis e King Crimson. Le recite magniloquenti di Friday sembrano una versione punk di quelle di Peter Gabriel. Il complesso di A New Form Of Beauty si riconosce soltanto per le atmosfere da incubo, di panico puro, di gelo esistenziale.
Il lugubre cerimoniale dall'incedere medievale di Ulakanakulot da` il tono al disco, con il canto straziato del suo bardo demente sullo sfondo di un coro mantra. Sweethome Under White Clouds, prosegue su quel tono con una cantilena acuta da muezzin snocciolata su un ritmo hare krishna ossessivo e sul romantico lamento di un clarinetto jazz. Apice psicotico della pantomima e` Caucasian Walk, una danza cosacca burlesca volta in ossessivo sabba stregonesco. Completano il rituale due concessioni alla discoteca, il balletto giapponese di Baby Turns Blue, che funge un po' da intermezzo comico della tragedia, e l'incalzante mystery play di Walls Of Jericho, che rende invece incandescente il clima. Il sottofondo musicale e` flebile ma suggestivo, tanto ricercato nei ritmi quanto spartano negli interventi di chitarra. Di rito in rito si compie la metamorfosi dei Virgin Prunes da druidi a giullari.
Dopo aver rifatto il verso a Brian Ferry nella ballad enfatica di Ballad Of The Man, il tour de force personale di Friday, gia` pregno di inflessioni "brechtiane", culmina nel labirinto di dissonanze chitarristiche di Bau-dachong, degno dei Pere Ubu (il brani in cui ricorre il verso che da` il titolo al disco).

E` di quel periodo anche King Of Junk, una danza grottesca per piffero, gorgheggi di streghe ed elettronica dadaista che fonde folk, vaudeville e teatro dell'assurdo tirando dalla parte del rock demenziale dei Pere Ubu.

Dopo il capolavoro il declino sara` pero` rapido. The Moon Looked Down And Laughed (Touch And Go, 1986) annovera soltanto Love Lasts Forever, una trascinante distorsione chitarristica deformata da nastri ed archi che segna il ritorno alla canzone antropologica. Friday riconduce cosi` il gioco al cabaret da cui era partito, e a quel punto abbandona la formazione.

Gavin Friday avvia a questo punto la sua carriera solista.

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