La "voce" dell'hardcore melodico, Dave Smalley, reduce da tre esperienze
importanti (DYS a Boston, Dag Nasty a Washington, All a Los Angeles), e'
tornato a galla con i Down By Law, una sorta di supergruppo comprendente membri
dei Clawhammer (Chris Bagarozzi) e dei Chemical People (Ed Urlich e Dave
Nazworthy).
I loro primi due album, quello d'esordio dell'Aprile 1991, ancora imbevuto di
preoccupazioni sociali (American Dream),
e Blue (Epitaph) dell'Ottobre 1992, con Last Brigade,
sono la quintessenza del "pop-punk", intrisi di
accordi di potenza, cadenze trascinanti e ritornelli orecchiabili.
Una formazione completamente rifatta registro' nel 1993 due singoli,
Yellow Rat Bastard (Breakeven Point) e DC Guns (Selfless).
Su Punkrockacademyfightsong del 1994 la chitarra arroventata di Sam
Williams e il batterismo fracassone di Hunter Oswald (entrambi provenienti dalla
Florida) trasformano le tiritere di Punk Won e Haircut in
candelotti di dinamite. Fra una 500 Miles traboccante di sincero pathos
e una Heroes And Hooligans che sfiora la passione di Tommy si
compie la maturazione di uno degli uomini-simbolo del movimento hardcore.
Cosi' irrobustito, il sound puo' far concorrenza ai gruppi da classifica,
anche se conserva quel tanto di esagitato e fuori misura che e' tipico degli
eroi punk.
Il 1996 porta un album doppio, All Scratched Up, eccessivo in tutti i
sensi. L'inno marziale di Independence Day e lo slogan altisonante di
True Music sono nobili e sinceri, ma rendono anche ridondanti gli altri
brani. La novita` principale e` forse un certo recupero della spensieratezza
degli anni '60: il gioviale e trascinante Cheap Thrill,
la cadenzata e corale Gruesome Gary,
le armonie power-pop di Ivory Girl.
Dave Smalley non ha intenzione di riposare, neppure dopo un disco monumentale
come All Scratched Up, in cui sembrava aver
dato tutto cio` che poteva ancora dare.
Su Last Of The Sharpshooters (Epitaph, 1997) e` di nuovo alla carica in
USA Today e Get Out, ma i ritornelli si fanno sempre piu`
scontati, e le schitarrate si assomigliano tutte inesorabilmente l'una all'altra.
Non c'e` dubbio che Smalley sia il piu` onesto cantore della disperazione
urbana quando si lancia in arringhe come Factory Day e Self-Destruction,
e forse, smussando qualche spigolo e puntando piu` sul populismo alla
Springsteen, potrebbe diventare proprio un eroe di quella generazione di punk
di strada ormai cresciuti e diventati operai. Urban Napalm, dall'alto dei
suoi cinque minuti, e` li` a dimostrarlo.
Eterno instabile, Smalley ben rappresenta l'irrequietezza della sua generazione
che a tutt'oggi non ha ancora capito cosa stesse cercando. Forse non ha ancora
trovato al risposta alla domanda "If I change my way/ will I see better days?"
(Dead End su Blue).