Idaho


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The Palms , 7/10 (EP)
Year After Year , 7/10
This Way Out , 7/10
Three Sheets To The Wind , 5/10
Alas , 6/10
Hearts Of Palm , 5/10
Levitate , 5/10
Vieux Carre' (2005) , 4/10
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Summary.
Los Angeles' band Idaho, i.e. singer Jeff Martin and guitarist John Berry, were both the most existential and the most psychedelic. Year After Year (1993) was a set of suicidal psalms imbued with documentary lyrics and recited in a pensive tone halfway between Leonard Cohen and Lou Reed. Martin's indolent pessimism reached new heights of sweetness on This Way Out (1994).
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Duo di Brentwood, nell'entroterra di Los Angeles, Jeff Martin (cantante dal tetro tenore alla Leonard Cohen) e John Berry (chitarrista e batterista, figlio di un attore di Hollywood, ripetutamente incarcerato per droga) eseguono un rock eroinomane, tenue, diradato e desolato, che prende ispirazione da Codeine e Seam.

Le canzoni dei loro Idaho sono ectoplasmi esaminati al microscopio e al ralenti`; sono imbevute di uno spleen esistenziale acuto e incurabile. Si conoscono da dodici anni, ma hanno seguito strade diverse prima di decidere che la musica dell'uno e la vita dell'altro si potevano sposare a meraviglia. Soltanto nel 1993 i due trentenni pubblicano il primo 45 giri, Skyscrape (Ringers Lactate), una ninnananna angelica che si dipana lentamente, come una crisalide che esca assonnata dal bozzolo. Altri gioielli del loro repertorio vengono messi in circolazione dall'EP The Palms (Quigley, 1993), in particolare Creep, che immerge la sua lipemania in una tempesta di feedback, e You Are There, ballata notturna e solitaria come neppure Tom Waits ne ha mai fatte.

L'album Year After Year (Quigley, 1993), destinato a rimanere il loro capolavoro, e` caratterizzato da testi iper-realisti che fotografano scene di tutti i giorni, apparentemente di nessun interesse, in realta' metafore per la disperata alienazione nella metropoli. I salmi degli Idaho, propulsi da accordi che sono lividi, da ritmi che sono bubboni, incorrono in continue allucinazioni (Gone, gli ultimi momenti di un morente), soffocano in claustrofobie timbriche (The Only Road), lambiscono depressioni suicide (Sundown), precipitano in abissi di assoluta anemia (God's Green Earth). Gli ultimi cinque minuti della lunga End Game sono di puro silenzio. Sono odi alla marginalita' sociale, e non a caso talvolta (Memorial Day) si situano al confine con le elegie piu' sommesse di Lou Reed. Non esiste redenzione in questo mondo di sole sconfitte, ma una qualche forma di serenita' o rassegnazione viene adombrata in Save.

Martin e Berry sono poeti dell'effimero, delle chimere, della dissolvenza, del vuoto, del nulla, del riflesso di un fantasma nella nebbia dell'aurora. La loro musica, compressa fra "gloom" e "doom", fra Neil Young e Nick Drake, non esiste.

Essendo Berry ricaduto nel vecchio vizio, il singolo Fuel e l'album This Way Out (Quigley, 1994), sono di fatto opere soliste di Martin. Martin ha imparato a maneggiare i ritmi piu' veloci. Il suo pessimismo indolente si esprime adesso altrettanto bene in Drop Off e Glow. Le meste trenodie di Drive It e Crawling Out ne fanno anzi un Lou Reed piu' autunnale. Il suo veicolo preferito rimane comunque la nenia lentissima cantata con la dolcezza annebbiata di drogato. Il ralenti' esasperato di Taken e Forever, il sound narcotico e onirico di Weird Wood, e' pertanto il vero cuore del disco, laddove si scopre una non troppo lontana parentela con Tim Buckley. Le armonie piu' suggestive si trovano pero' nel delicato flusso di accordi di quel valzer assonnato che e' Sweep e nello strumentale per sole distorsioni cosmiche Zabo, che trasuda infinita malinconia.

Escono anche l'EP The Bayonet (Fingerpaint, 1995) e il singolo Pomegranate Bleeding.

Al terzo disco, Three Sheets To The Wind (Caroline, 1996), gli Idaho diventano finalmente un complesso. Martin ha infatti assoldato tre musicisti fissi e concede loro spazio. Forse anche per questa ragione, o forse perche' Martin tenta di liberarsi dalle pastoie del "sadcore" che ha creato, il sound e` un po' meno torpido del solito, persino grunge in Catapult e Pomegranate Bleeding. Le canzoni sono anche piu` centrate. Invece di vagare in maniera piu` o meno casuale attorno al baricentro melodico, le armonie conservano una ragionata polifonia e uno svolgimento coerente. Con If You Dare la voce fumosa di Jeff Martin tenta la millesima imitazione di Nick Drake. La romanza per pianoforte di Alive Again lo propone in vesti piu` serie e meno lamentose. Shame mostra in quale gloria vanno a finire i salmi: la ballad disimpegnata, lievemente jazz. La canzone convenzionale non e` proprio il suo forte, comunque: qualunque complesso di rock alternativo puo` fare di meglio in questo campo. Martin ha bisogno di prendere la rincorsa, di distendersi con calma. La sua autentica vocazione e` la trenoda di cinque/sei minuti, tono disincantato, rintocchi scordati e passo narcotico: Stare At The Sky o No Ones Watching o A Sound Awake. Il problema e` che questi brani sono monocordi e non si fanno ricordare. L'album mostra tutti i limiti (come cantante, come chitarrista, come compositore e come arrangiatore) del personaggio.
Lodevole lo sforzo di promuovere le sue cantilene funeree a canzoni. C'e` un programma di riabilitazione e reintegrazione che si nasconde dietro le musiche e le liriche di questo disco. Se lo sfondo ideologico e` ancora quello della desolazione dei valori morali nell'urbe post-AIDS, il tono non e` piu` quello della decadenza irrefutabile e irreversibile, ma quello del rammarico di un adolescente che ha passato l'estate a guardare dalla finestra gli amici divertirsi sulla spiaggia.

L'EP The Forbidden (Buzz, 1997 - Talitres, 2008) cambia drasticamente corso, puntando sulla melodia e sul ritmo come mai prima (Bass Crawl, uno dei loro classici, e Golden Seal).

L'album Alas (Buzz, 1999) riparte da li`, semplicemente curando in maniera piu` professionale l'arrangiamento, fino a lambire una sorta di musica da camera psichedelica (persino il fagotto su Only In The Desert e il violino in Jump Up). Ballad emotive come Yesterday's Unwinding e Leaves Upon The Water rendono piu` ascoltabile il loro tetro lamento.

Stipati in una nicchia a meta` strada fra i cantautori pessimisti di vent'anni fa (Nick Drake, Tim Buckley) e i rocker dimessi e domestici della Nuova Zelanda (Clean, Church), gli Idaho sembrano destinati a rappresentare l'antitesi del folk-rock spensierato che un tempo allietava i ragazzi di Los Angeles. Con loro si conclude, insomma, una parabola storica, che ha progressivamente annientato l'ottimismo degli anni '60. Non c'e` vita in queste canzoni, soltanto un ricordo mesto e sfocato di gesti e movimenti.

Con Smog e altri cantautori per piccolo ensemble, Martin appartiene al movimento dei neo-depressi, che si riallaccia a Tim Buckley e Nick Drake via gli American Music Club.

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On Hearts Of Palm (Idaho, 2000) the piano has become the co-protagonist with the guitar, but hardly anything has changed in Jeff Martin's saga of self-flagellation (Astrida, Hearts Of Palm, Happy Times). Touches of Sonic Youth-ian minimalism (Evolution Is Cold), of Pavement-ian lo-fi pop (Alta Dena) and of Television-esque trance (the instrumental Under) show a widening vocabulary.

Levitate (Idaho, 2001) does not significantly diverge from that path, except possibly for being even more melancholy. Jeff Martin has settled in this genre of subdued acoustic folk that would recall Nick Drake if not for the prominent role of the piano. However, the best song is probably Wondering the Fields, which is also the least spartan.

Vieux Carre' (Kalinkaland, 2005) is even less relevant than its predecessor.

John Berry died in 2016.

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