Nel 1994 This Perfect World (Elektra) rischia di farne anche una mezza
star, grazie a testi
intensamente personali e a musiche che raramente falliscono il segno.
Il suo tenore da cantante country si fa largo con piglio funereo fra le macerie
morali di Bad Reputation (il primo singolo), come un Tom Petty cresciuto
davvero nel Midwest,
dominando ritornelli leziosi come quello di Across The Avenue)
che potrebbero costituire l'ossatura di splendide ballate folkrock, e
levigando con un melodismo spudoratamente pop gli spigoli di cadenze come
quelle di Two Lovers Stop che tradiscono le rudi maniere del Sud.
E invece diventano tutte salmi sconsolati al destino infame.
Marc Ribot mette mano alle sue celebri corde in
e Jane Scarpantoni sfiora il suo magico violino nella tenerissima
Evie's Garden (il secondo singolo), che ha infatti la compostezza di una sonata barocca,
e nella title-track tutti e due riempiono l'atmosfera di rintocchi onirici
ma il disco e' tutto suo, di Johnston, della sua chitarra e della sua voce,
che il piu' delle volte sono accompagnate soltanto dalla piu' discreta
delle sezioni ritmiche. E in effetti la suggestione piu' forte e' quella
di Gone Like The Water e I Can Hear The Laughs, in cui l'uomo riduce
al minimo i suoni e parla alle stelle con il passo del menestrello delle
praterie.
E` la melodia a dominare anche Never Home (Elektra, 1997), altro
intenso e sincero album.
Capita cosi` che, se all'inizio i suoi modelli erano Mellencamp
e Young, oggi sembra di ascoltare soprattutto l'elaborato crooning di Elvis
Costello, dall'iniziale On The Way Out alla finale
Something's Out There.
E indubbiamente I'm Not Hypnotized rappresenta uno delle sue piu`
orecchiabili escursioni in territorio folk-rock.
Il suo ego piu` autentico e` quello che intona con una mano sul cuore l'inno
acustico Western Sky e quello che pennella sottovoce il ritratto delicato
della Seventies Girl.
Qua e la` riaffiorano il piglio grintoso di Mellencamp
(One More Thing To Break), il passo marziale di Young (He Wasn't Murdered),
il lamento fatalista di Petty (Gone To See The Fire).
L'accompagnamento (Danny Kortchmar alle chitarre, Graham Maby al basso e
l'ex-Heartbreaker Stan Lynch alla batteria)
e` piu` dimesso dell'album precedente (su cui
Marc Ribot e Jane Scarpantoni gli rubavano spesso la scena), ma l'atmosfera
e` altrettanto confessionale.
Blue Days Black Nights (Elektra, 1999), registrato con una formazione
piu` umile, e` un album intimo e domestico, che raramente si spinge oltre il
limite delta ballata indolente (Underwater Life,
While I Wait For You).
Si tratta di un genere che Johnston sa elevare a un grado impressionante di
sofisticazione, e non tanto nell'arrangiamento quanto nella struttura della
canzone (per esempio, il soul-jazz onirico di Pretend It's Summer,
a due passi dalla Riders In The Storm dei Doors,
o l'atmosfera quasi noir di Depending On The Night,
altrettanto vellutata e jazzata).
Ma qua e la` il genio scivola in canzonette piu` adatte all'Elvis Costello
di cui sopra (Changed Your Mind).
Il folk-rock orecchiabile di turno e`
Until The Sun Comes Back Again.
Con il passare degli anni il piglio rabbioso, la proverbiale eccentricita` e
l'eclettismo incontrollato sono stati mitigati da una ricerca formale che
l'ha riportato indietro nel tempo al formato classico della canzone folk-rock
e country-rock. Soprattutto e` balzata in primo piano la melodia, di cui l'uomo
e` un maestro all'antica.
Tutta la sua musica e' fortemente autobiografica e consegnata a emozioni
profonde, sincere, universali.
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The greatest of the country-inspired singer-songwriters of the 1990s was probably
Freedy Johnston, a New York transplant who
introduced himself as Neil Young gone cow-punk on the effervescent, edgy and eclectic Trouble Tree (1990), but then was rapidly converted to a smoother and streamlined sound. The bleak stories of betrayal, failure and guilt on Can You Fly (1992) and This Perfect World (1994), featuring guitarist Marc Ribot, cellist Jane Scarpantoni and drummer Butch Vig, relied on impeccable melodies, as if Simon & Garfunkel were playing funeral music. By the time Never Home (1997) came out, Johnston had transformed into a more superficial pop auteur.
If English is your first language and you could translate my old Italian text, please contact me.
A little jangling country-pop (Broken Mirror),
a little poppy garage-rock (Waste Your Time) and
a little Tom Petty-ian power-pop (Anyone),
Right Between The Promises (Elektra, 2001) completes Johnston's
transition to mainstream singer. The problem is that
Johnston now buries his enormous talent in regular melodies and predictable
tempos. Even the few vignettes that recall his past glory
(Radio Heartache for voice and banjo,
the blues Back To My Machine, the mournful, cello-tinged
Save Yourself City Girl, perhaps the standout) have no bite.
Not the slightest trace of genius.
Rain On The City (2010), the first album in nine years, is devoted to
both skeletal emotions
(the somber ukulele-tinged Lonely Penny,
the bossanova dirge The Kind of Love We're In,
the contemplative Rain On The City)
and restrained bursts of energy
(the power-pop of Don't Fall in Love with a Lonely Girl,
the country-rock of Livin' Too Close to the Rio Grande);
but the former greatly outnumber the latter and soon become a distraction
instead of an attraction.
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