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I King Kong di Ethan Buckler (ex Squirrel Bait
e Slint) sono i clown del
"giro" di Louisville.
Quando funziona, il congegno di Buckler e` una spassosa parodia di
Talking Heads e B52's.
Lanciati nei campus dei
college dai gioviali singoli Movie Star (King Kong) del 1989 (con la
title-track e The Camel's Walk Song) e Bring It On (Trash Flow) del 1990
(con The Boy), vengono inizialmente confusi con gli Half Japanese.
In realta' il loro stile, piu' innocuo e rilassato, alla Buddy Holly,
e' un semplice revival che trasforma generi del passato in gag ballabili.
Old Man On The Bridge (Homestead, 1991) prende lo spunto dal
blues, sia quello strascicato del Delta (Lifesaver Blues),
sia quello scoppiettante di Captain Beefheart (The Man), con appena qualche
inflessione del boogie degli Stooges (Mama Mama).
Gli arrangiamenti sono ancora approssimativi, benche' i brani siano di fatto
soltanto degli strumentali, in cui il canto fa poco piu' che recitare
filastrocche. La vera indole, demenziale e ballereccia, del gruppo emerge
nella title-track.
Funny Farm (Drag City, 1993) cambio` invece drasticamente direzione,
come se Frank Zappa fosse entrato in formazione.
Si tratta di un concept introdotto da una
sorta di ouverture rap-funky-country (la title-track), e' un'ammucchiata di
novelty (Tornado Song), scipitezze alla B52's (Dirty City Rainy Day),
scenette comiche da cabaret (Uh-Oh), blues da saloon (Bad Cat Blues),
rhythm and blues da nightclub (White Horse) e ska da spiaggia
(Island Paradise).
E soprattutto annovera il surf tropicale di King Kong, uno degli scherzi
piu' geniali dai tempi di Lions Sleep Tonight.
Ancora una volta l'obiettivo e' il divertimento
ballabile, appena mascherato da evento intellettuale e satirico.
Dopo il singolo Hot Dog Days e l'ennesimo cambio di formazione, esce
Me Hungry (Drag City, 1995). Le armonie sono grossomodo variazioni
sullo stesso schema:
la voce cantilenante di Amy Greenwood, l'organo gospel di Tod Hildreth,
le recitazioni surreali di Buckler, le figure blues della sua
chitarra, e un battito da discoteca.
Le canzoni migliori, Animal e To Love A Yak,
vivono del contrasto fra le sonorita' dei primi anni '60 (club fumosi di
Chicago e feste all'aperto di San Francisco) e tracce di ballabile new wave,
ombre di B52's e Talking Heads. Ha il difetto di ripetersi, ma il pregio di
essere davvero unico. Qua e la' affiora una linea melodica (Teardrop) o
si spronfonda in improvvisazioni jazz (White Stuff).
Tutto avvolto nei fumi del blues.
Anche le loro gag demenziali (Bestie Bear) e i loro bislacchi strumentali
(Ten Long Years) sono piu' sottotono del solito.
Kingdom Of Kong (Drag City, 1997) e` meno spontaneo e forse meno
divertente.
Il leader e la cantante Amy Greenwood imbastiscono duetti spassosi, a partire
dal tema di Kingdom Of Kong, che ripetono pero` in maniera un po' scontata
lo stesso schema: un jamming dinoccolato su cui aleggiano frasi soul d'organo
e guaiti funky della chitarra, da Floor Door I Don't Wanna Party Anymore a
Funky Monkey.
Questa volta il disco risulta un po' troppo cabarettistico per essere davvero
"musica".
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