Magnog
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Magnog, 7/10
More Weather, 6.5/10
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I Magnog sono un trio proveniente dalle vicinanze di Seattle (Jeff Reilly al basso e al sintetizzatore, Dana Shinn alla batteria e al sintetizzatore, Phil Drake alla chitarra) che eseguono lunghi strumentali senza trama imperniati sulle improvvisazioni delle chitarre.

Lo space-rock di Magnog (Kranky, 1996), un connubio di Hawkwind e Ash Ra Tempel, aggiornati alle esplorazioni sonore del grande Roy Montgomery, s'inoltra nei meandri dell'armonia per via di droni e mantra, rinunciando a costruire canzoni.
La jam e` il loro veicolo espressivo. La loro e` una jam costruita sia in orizzontale sia in verticale: per quanto improvvisata, ha pur sempre una sua struttura, una sua identita`, una sua logica, e, in ultimis, un suo svolgimento; ma al tempo stesso, man mano che si evolve, giostra con le timbriche, con i contrappunti e con i tempi, alterando gli equilibri fra gli strumenti.
Gli otto brani oscillano fra i sei e i diciotto minuti. (La copia su vinile comprende dieci minuti in piu`, ma sono del tutto inessenziali).
Lost Landing funge da ouverture per il viaggio spaziale agli estremi confini dell'armonia tonale. Il lento crescendo di Shapeshifter s'immerge in tetri paesaggi elettronici, da cui si uscira` soltanto con A Moment's Seam e la sua ninnananna sommersa dallo strimpellio e annegata nel feedback. La cacofonica Frame Of Reference costituisce il momento piu` teso. Relay raggiunge forse il climax piu` ardente. Fra gli errori va invece contato il poema recitato in Learning Forgetfulness.
L'improvvisazione del gruppo e` insolita perche' e` in gran parte affidata alle percussioni e al basso. Il batterista sembra avere il controllo della situazione. Le chitarre si limitano a impreziosire l'atmosfera, ma la batteria riempie tutti i vuoti, con uno stile un po' jazzato. Shinn, anche pittore e scultore, si ispira ai Melvins.

I Magnog regalano con More Weather (Kranky, 1997) un altro doppio disco. Si tratta di registrazioni casalinghe dei due anni precedenti il contratto discografico. Cosi` questa volta, accanto alle caratteristiche jam, compaiono anche frammenti piu` brevi della loro arte di improvvisazione.
More Weather apre la cerimonia con un tributo indiretto al rock stratosferico dei primi Pink Floyd: uno strimpellio chitarristico febbrile in lento crescendo, propulso dalla percussivita` del basso e accompagnato dal frastuono dei piatti. Ci sono tutti gli elementi tipici del trio, in particolare la preminenza della sezione ritmica sulla chitarra. Anche i riverberi orientali di chitarra appena pizzicata di Chopstick e il caos fittissimo di Somewhere Between Asleep And Awake si appoggiano a solide fantasie ritmiche, che sono un po' l'equivalente psichedelico delle fantasie melodiche della musica classica. La mezz'ora di Mystery Goodness e` auto-indulgente all'eccesso, ma segnala anche l'emancipazione dai modelli psichedelici: questo e` free-jazz, e un free-jazz volitivo, capace di raggiungere livelli elevatissimi di elettricita`. Analogamente Signatures (venti minuti), altrettanto protesa verso una tensione spasmodica. Atmosferica invece nel senso piu` quieto del termine, quasi impressionista nell'accezione di Monet, la musica fluttuante di Ocean Floor Sleep.
I pezzi brevi hanno una loro funzione: servono da "tracce", da "guide", da "suggerimenti", per capire l'arte di Magnog. Tear Catching Current, per esempio, sovrappone i tocchi delicati della chitarra in primo piano e una melodia del basso che si muove sorniona in sottofondo: e` una mini-lezione su come improvvisare musica alla Magnog.
Il grande assente del disco e` il Moog, e non se ne sente proprio la mancanza.

Di Reilly sta per uscire il primo disco solista, Octal (Space Age, 1998), all'insegna di uno stile simile a quello dei Magnog, ma senza percussioni, piu` ambientale.

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