Gli Operation Ivy erano un gruppo di ska-punk di Berkeley,
protagonista della scena di Gilman St, la stessa da cui uscirono
Green Day e
Mr T Experience.
Furono anzi uno dei gruppi piu` influenti di quella scena, forse quello
che ne determino` l'esplosione.
Si sciolsero dopo aver pubblicato soltanto
l'EP Hectic (Lookout, 1988) e l'album
Energy (Lookout, 1989), poi raccolti sul CD
Operation Ivy (Lookout).
Le sei fulminee canzoni dell'EP avevano la foga esplodiva tipica dell'hardcore,
canzonacce di strada da cantare a tutto fiato come
Junkie's Runnin' Dry e Sleep Long,
ma Here We Go Again, Yelling In My Ear e Healthy Body
usavano lo ska come propulsione e il risultato era irresistibile.
L'album metteva in mostra anche doti strumentali non indifferenti:
lo strumentale ska-surf Bankshot e` un piccolo capolavoro,
e Bad Town e` una canzone sincopata con clarinetto jazz e
melodia pop.
Il tono scanzonato dei mottetti ska (Sound System, Smiling,
Freeze Up, Artificial Life)
e di qualche canzone novetly (Bombshell) complementava i numerosi
anthem corali con echi del beach-punk piu` disperato di dieci anni prima
(The Crowd, Jaded, Knowledge, Vulnerability,
Gonna Find You, Big City, Missionary).
Dopo lo scioglimento il cantante Jesse Michaels scomparve dalle scene
(tornera` dieci anni dopo alla testa dei
Common Rider), mentre
il chitarrista (e adesso cantante) Tim "Lint" Armstrong e il bassista Matt
Freeman assunsero un nuovo batterista e formarono i Rancid.
I Rancid erano meno originali degli Operation Ivy, perche' si rifacevano
a riff e melodie sentiti decine di volte negli annali del rock, ma
avevano dalla loro un'esuberanza, un senso dello humour e un'orecchiabilita`
che non avevano rivali in quella scena (vennero definiti i Rolling Stones
di Gilman St, essendo i Green Day i Beatles).
Il singolo Battering Ram e' soltanto l'assaggio di questo genere travolgente.
Trainato dalla gloriosa Hyena e influenzato dai Poison Idea,
l'album omonimo dell'estate del 1993, Rancid (Epitaph, 1993),
snocciola sedici
canzoni-dinamite che fanno storia.
La loro chimica e' tanto semplice quanto
sofisticata: da un lato le schitarrate rockabilly di Armstrong,
dall'altro una ritmica forsennata, sostenuta dal
basso fenomenale di Freeman e dal
battito maniacale di Brett Reed (ex Smog); da un lato
gli slogan a dirotto di Armstrong, dall'altro i
cori epici alla Clash e i controcanti ironici degli altri.
La frenesia un po' clownesca di Adina e`
il primo indizio che qualcosa di importante sta succedendo su Gilman St.
Il boogie colloquiale di Outta My Mind si spinge completamente fuori
dagli schemi e annuncia una nuova era per il punk-rock.
Anche il ringhio arrabbiato di Hyena si serve di un tip tap sincopato
e di un ritornello corale alla Clash, che non sono in linea con l'hardcore
californiano. Rats In The Hallway sferraglia a duemila all'ora, ma
protagonista e` quel registro di canto concitato. C'e` qualcosa di subito
diverso, anche se di cosi` fedele all'ethos del punk.
Nella disperata emarginazione dei punk il gruppo si immerge con il poema di
strada di Rejected, che fa da perno attorno a cui ruota una punk-operetta
di ubriacature, accoltellamenti e scontri con la polizia.
Ma raramente Armstrong si limita a urlare sgolato su un baccano epilettico
come fanno gli altri punk. La musica e` gia` una spanna sopra la media
per il senso dello humour, per lo spiccato melodismo e per il portamento
epico/grottesco.
Sull'EP della primavera 1994, Radio Radio Radio, fa la sua comparsa il
secondo chitarrista Lars Frederiksen. L'arringa di
Radio (co-scritta con Billy Joe dei Green Day) e il girotondo sarcastico
di Dope Sick Girl alimentano la leggenda. Ma soprattutto la formazione
mette a punto il suo stile di compromesso.
Let's Go (Epitaph, 1994), registrato dal vivo
nell'arco di quattro giorni da un gruppo aumentato a quartetto grazie
all'ingresso di un secondo chitarrista, e` l'album della consacrazione:
ventitre` canzoni all'insegna del
punk-rock piu' semplice e canonico (scuola britannica piu' che hardcore
americano), suonato e cantato tutto d'un fiato, ventitre' ritornelli memorabili,
sparati in piena velocita', uno piu' marziale dell'altro.
Nell'anno che consacra
Offspring
e Green Day fra le star delle radio
nazionali, i Rancid si propongono come bardi incorruttibili del vero
spirito (ribelle ma anche giocoso) del genere.
I loro inni si chiamano Nihilism (il brano su cui debuttarono le armonie
vocali di Armstrong e Frederiksen che sarebbero diventate il loro marchio di
fabbrica), Burn, e soprattutto Salvation,
tutti propulsi da melodie solenni e da riff epidermici che riportano alle
barricate del 1976.
Tenderloin e Gunshot prendono in giro i problemi sentimentali degli
adolescenti con coretti ironici e ritmi da capogiro.
Let's Go e Ghetto Box si lanciano in cariche spettacolari a tutto volume.
Motorcycle Ride e St Mary sono rari esemplari di infuocato rock and roll
modellato sul "call and response" mozzafiato di Summertime Blues.
Side Kick e Midnight sono ballate tragiche di vita vissuta nelle strade
pericolose della moderna metropoli.
Il disco e' praticamente perfetto, uno dei classici del punkrock di tutti
i tempi. Almeno Gunshot, St Mary e Side Kick entrano di diritto tra
i massimi capolavori del genere. Ma e' una bandiera, prima ancora che un disco.
Come tuona Black And Blue, "For all the souls they broke, mine never cracked".
Come gridano in Solidarity, "Set me free with a bullet and a gun".
Nell'agosto dell'anno dopo esce And Out Come The Wolves (Epitaph, 1995), album ancor piu` melodico,
trascinato in classifica dagli accordi cadenzati alla Clash di The 11th Hour,
dalle progressioni power-pop di Roots Radicals (un appassionato tributo al
reggae),
dalle armonie vocali quasi Merseybeat di Ruby Soho,
e soprattutto dallo ska goliardico di turno, Time Bomb, una delle composizioni
piu` divertenti dell'intero punk-rock.
L'album si apre e so chiude con l'hardcore vecchia maniera di Maxwell Murder
e The Way I Feel, ma e`
soltanto un vezzo nostalgico. Un po' come gli ammiccamenti al mito degli
Operation Ivy nei brani ska, Daly City Train e Old Friend, nel
malinconico elogio funebre di Journey To The End Of The East Bay.
Il presente e` tutt'altro.
Frederiksen, Freeman e Reed costituiscono un trio potente e affiatat di
rock and roll.
I Rancid sono i nuovi capipopolo dell'umanita' punk, pronti a gettare la
maschera di clown di periferia per indossare le uniformi dei militanti.
Life Won't Wait (Epitaph, 1998) si avvale di una produzione assordante
ed eclettica (decine i musicisti, compresi pianoforte, organo Hammond, trombe)
che lo fa sembrare piu` mainstream che punk,
e gli fa perdere la carica travolgente dei dischi precedenti.
Bloodclot e` l'unica tirata all'antica, un tipico inno alla Clash,
mentre gli altri brani sperimentano nuove forme di canzone.
Leicester Square, per esempio, e` un altro inno alla Clash, ma
ritmato in maniera eccentrica.
Anche lo ska di Life Won't Wait e Cranefist
e` filtrato attraverso una sensibilita` piu` da "autore" che da
mattacchione di strada. Distorcendo il genere, Armstrong pennella ibridi
paradossali, persino bluegrass (Lady Liberty) e
funk-metal (Cash Culture And Violence).
Poche canzoni si attengono a una struttura elementare, giusto la
fanfara appassionata di Backslide e la ballad accorata di
Corazon De Oro.
Armstrong e Frederiksen hanno soprattutto raffinato l'arte di recitare i
loro testi: la dialettica
delle loro armonie vocali, che tocca nuovi vertici di complessita`
in Coppers, rappresenta un passo in avanti rispetto al soliloquio
"call-and-response" del rap giamaicano.
Questo disco sembra un po' il loro London Calling, il disco in cui
smettono i panni dei giullari di strada e maturano come musicisti.
Ma l'enfasi (degna di Springsteen, a dimostrazione che mutatis mutandis
non e` cambiato nulla nel rock proletario) e la sperimentazione non bastano
a costruire buone canzoni.
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