Six Finger Satellite


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The Pigeon Is The Most Popular Bird, 8/10
Machine Cuisine, 4/10
Severe Exposure, 7.5/10
Paranormalized, 6/10
Law Of Ruins, 6/10
Juan MacLean: Less Than Human (2005), 6.5/10
Juan MacLean: The Future Will Come (2009), 6/10
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Summary.
Six Finger Satellite played industrial rock'n'roll that was both demented and visceral. The chaos and the noise of The Pigeon Is The Most Popular Bird (1993) were hardly in line with the aesthetics of post-rock. Skewed, jolting rhythms and off-kilter or plainly out-of-tune melodies were injected lethal gas by John McLean's and Peter Phillips' abrasive guitars, and ripped apart by the emphatic, possessed vocals of Jeremiah Ryan, who engineered the best synthesis of Freud, Sartre and Bukowski on record; while instrumental interludes referenced everybody from John Cage to Throbbing Gristle to Chrome to the Velvet Underground. Severe Exposure (1995) was even more brutal and frantic, but still managed to cohere into a vision of post-nuclear wastelands.
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Quintetto di Providence (Rhode Island), i Six Finger Satellite vengono alla luce nel 1992 con un EP omonimo (per la SubPop), che fa parlare per gli arrangiamenti bizzarri di Weapon e Niponese National Anthem e per il "noise-rock" gratuito di Satchmo.

E certamente sono il rumore e il caos gli elementi fondamentali dell'album The Pigeon Is The Most Popular Bird (SubPop, 1993). Suonato all'insegna di un dadaismo innocente che deflagra improvvisamente in atroci e selvaggi deliri, con un debole per i ritmi sgangherati e le stonature, l'album e' nobilitato dal cantante Jeremiah Ryan nei panni di un esagitato predicatore profano che racconta parabole di sconfitta ed umiliazione nelle quali si nasconde in effetti una sottile crudelta' analitica. Le sue liriche nevrotiche sembrano fondere Freud, Sartre e Bukowski in un unico flusso di coscienza.
I chitarristi John McLean e Peter Phillips, dal canto loro, ingaggiano duelli temibili, nei quali alla scarsa perizia si aggiunge un dono per i controtempi. Non stupisce che alla fine molto del merito ricada sulla sezione ritmica di Rick Pelletier (batteria) e Kurt Niemand (basso), alla quale viene lasciata la responsabilita' di guidare l'armonia.
Home For The Holy Day apre all'insegna di un funk abrasivo, ma l'immane balletto di Laughing Larry, con il suo turbillon di chitarre scordate, fa capire come si tratti di un funk filtrato attraverso Birthday Party, Fall e soprattutto Contortions, e Deadpan lo colora di un senso di alienazione totale al confine con la depressione suicida che ricorda i P.I.L. I minimalismi atroci alla Sonic Youth di Love, l'incubo swingante alla Lounge Lizards di Takes On To Know One, e soprattutto quella specie di tesissima danza macabra che e' Neuro-Harmonic Conspiracy (forse il capolavoro) non lasciano dubbi sulla loro vocazione per costruire atmosfere ossessivamente espressioniste.
Sempre urlata, sempre concitata, sempre sgraziata in tutte le sue parti, la musica dei 6FS e' in realta' una summa di tutte le invenzioni "lessicali" dell'avanguardia rock, dalla "no wave" alla musica "industriale". Alla fine e' ancora possibile trovare qualche momento "comico" nel marasma generale: il girotondo e pow-wow da mentecatto di Funny Like A Clown, la baraonda rhythm and blues alla Captain Beefheart di Hi-Lo Jerk (un altro vertice), la parodia di Save The Last Dance For Larry; ma si tratta sempre di sorrisi a denti stretti, di comiche che speculano sulle malformita' dei disgraziati.
A "vivacizzare" il tutto sono gli intermezzi strumentali che separano un brano dal successivo e che si ispirano in egual misura a John Cage, Throbbing Gristle, Half Japanese e Metal Machine Music (il disco inascoltabile di Lou Reed); e che culminano nella jam di quindici minuti che chiude l'opera, un concentrato di effetti sonori e di distorsioni da manicomio degni di un bambino di due anni entrato per la prima volta in uno studio di registrazione.

Esce poi a sorpresa un (monotono) mini-album di musica elettronica, Machine Cuisine (SubPop, 1994), interamente dedicato a pastiche elettronici in uno stile a meta' strada fra Kraftwerk e Residents. Magic Bus e Greek Arts gli aspiranti hit di synthpop, The Well-Tempered Monkey il brano piu' ambizioso. White Temples lo show piu' industriale.

Colti al punto da citare Jacques Derrida fra le loro influenze, i 6FS operano in effetti a piu' livelli di interpretazione, da quello metalinguistico di appropriarsi degli stilemi di tanti generi diversi a quello psicodrammatico di mettere in scena bozzetti fortemente grotteschi. Come ha dichiarato Ryan: "Noi non scriviamo musica, siamo scritti dalla musica".

Nel 1995 Severe Exposure (SubPop) riesce a fondere lo stile del primo disco con quello del secondo e a ottenere una singolare via di mezzo. Dopo pochi secondi di melina la musica esplode con un riff distorto e una cadenza cingolata alla Chrome (Bad Comrade) e da li' in poi il disco e' tutto condotto su cadenze trascinanti. L'atmosfera si fa ancor piu' new wave con le fiondate singhiozzanti e la gag del sintetizzatore di Parlour Games. White Queen To Black Knight ruba il riff alla Sunshine Of Your Love dei Cream e tira la volta a Pulling A Train, il picco emotivo del disco, detonato da un rullo terrificante e da un voltaggio fulminante. Il caos scomposto di Simian Fever al ritmo di un techno selvaggio si fregia anche di latrati degni di un David Yow. Il Moog di Ryan fa faville come non succedeva dai tempi di Ravenstine (Pere Ubu) e pennella persino una novelty come Cock Fight che incrocia un'ouverture strumentale un po' retro` (Todd Rundgren?) e un finale rock and roll altrettanto anacronistico che sa di parodia degli anni '60 alla Residents. L'opera termina e culmina con il gran finale di Board The Bus, che fa tesoro delle gloriose danze di guerra marziane dei Chrome.
I 6FS riprendono cosi' la storia da dove i Devo l'avevano lasciata e si propongono come i Big Black dell'era techno.

Paranormalized (SubPop, 1996) invece delude, non avendo la stessa grinta viscerale e lo stesso genio bizzarro, ma gli elementi costitutivi rimangono il moog-folletto di J. Francis Ryan, le tastiere elettroniche di John MacLean (che non sempre si ricorda di essere il chitarrista del gruppo). A puntellare l'opera sono due voodoobilly scalmanati e irreverenti come 30 Lashes e White Shadow. I momenti di tensione e violenza (ovvero The Greatest Hit e Padded Room) sono occultati da sketch demenziali in cui ritmi da epilessi si sposano a riff grotteschi, nella tradizione dei Devo (Do The Suicide su tutti), fino a precipitare in pieno cabaret spaziale con Coke And Mirrors e in piena sceneggiata brechtiana con Slave Traitor. E` rimasto quel qualcosa di sghembo e spigoloso che fa ormai parte del motto del gruppo, ma gli eccessi dell'album precedente sono stati prudentemente accantonati a favore di un formato piu` meditato e intellettuale, che offre comunque molti spunti per chi vuole evadere dal formulaico.

L'alienazione da Moog di questi dischi giunge a maturazione su Law Of Ruins (SubPop, 1998), epitome del genere noir del rock post-industriale. Il quartetto continua ad eccitarsi troppo facilmente in fase di arrangiamento, lasciando spesso la sensazione di un sound pasticciato e irrisolto. Race Against Space confonde caoticamente punk-rock, acid-rock e rock industriale. Lo strumentale Fall To Pieces sconfina persino nella musica ambientale e nel jazz-rock. Sea Of Tranquillity (dodici minuti) alterna una jam strumentale nello stile dello space-rock vigoroso degli Hawkwind e una coda dadaista di rumori elettronici. MacLean e Ryan tentano forse di stipare un po' troppe forme nelle loro canzoni.
Non e` un caso che siano piu` graffianti i brani rock and roll. Il gruppo convince di piu` quando si cimenta con il grunge di Surveillance House (un incrocio fra How Many More Times dei Led Zeppelin e Desire degli U2), o nelle innumerevoli rivisitazioni di Stooges e Hendrix, dai riff stonati di Bad Aptitude alla melodia fratturata dello strumentale Hertz So Good. Ma c'e` indubbiamente qualcosa di molto suggestivo nel funk-rock ferocemente nevrotico di Lonely Grave, nel dub psicanalitico di White Visitation, nello psicodramma strascicato di Fur Immer Liebe. Forse non molto coesivo, ma per lo meno intrigante. Manca pero` al quartetto la visione (e forse la coesione) per derivarne uno stile personale.

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Half Control (Load, 2009) collects unreleased material from 2001.

Six Finger Satellite's keyboardist John MacLean launched a solo career under the moniker of Juan MacLean. The single By the Time I Get to Venus (2002) aligned him with the disco-revival of the "electroclash" movement, while the EP Der Half-Machine (DFA, 2005), with I Robot and Less Than Human, offered robotic heartless synth-pop a` la Cabaret Voltaire or Human League, permeated with the old Devo-esque spleen of dehumanization. The funk orgy of Less Than Human (DFA, 2005) also hinted at Brian Eno's futuristic vignettes (AD 2003) and at Talking Heads' futuristic fusion (the frantic and demented electronic skit of Tito's Way), but its core is more mundane. The throbbing poppy Give Me Every Little Thing harks back to both the disco era (a` la Chic) and to dance-rock of the 1980s (a` la Thompson Twins). Shining Skinned Friend is a snapping industrial dance with trancey techno overtones. The 14-minute Dance With me is a great idea (a jazzy version of ambient house) that is poorly implemented. Unfortunately, most of the rest appropriates techniques and styles of house and techno music without much imagination. The light-weight Crush The Liberation is all that comes out of it.

The Future Will Come (DFA, 2009) enhanced Maclean's synth-based dance-pop with the vocals of LCD Soundsystem-affiliate Nancy Whang in the ethereal Happy House, the syncopated Tonight, and The Simple Life (a Giorgio Moroder-esque disco locomotive that harks back to acid house).

Six Finger Satellite reformed at the end of the decade and released A Good Year For Hardness (Anchor Brain, 2009), a much more conventional album than their classic ones.

Juan Maclean's Everybody Get Close (2011) is a collection of leftovers.

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