Fondato nel 1985 a Portland da Eric Powell (canto, tastiere e campionamenti),
il progetto 16 Volt si allinea subito all'estetica di industriale heavymetal
propugnata negli anni '90 da Ministry e Nine Inch Nails.
Motorskill (Cyberflesh, 1991) e Wisdom (Cargo, 1993)
sono ancora esperimenti personali di Powell, che vi immette il suo genio
di alterare i suoni in studi. Dalle "tracce" piu' ballabili
(Will, Hand Over End) a quelle piu' mansuete
(Filthy Love Of Fire e Downtime), passando per le rocciose
Head Of Stone, Wisdom e Motorskill, Powell conia la sua
versione di come si debbano fondere elettronica e chitarre.
Skin (Cargo, 1994) completa la metamorphosi da solista a gruppo
(Von Vinhasa ai ritmi, Jeff Taylor alla chitarra e Ned Wahl basso), forte di
un sound molto piu' melodico e malleabile.
Le puntate di violenza vengono scodellate in maniera compassata da brani subdoli
come Perfectly Fake, che vivono soprattutto dei funambolici campionamenti.
La ritmica prende il sopravvento in Uplift e le metronomie da officina
sabotano lo strumentale Bottle Rockets. L'assemblaggio di rumori domina
Skin Graft e il caotico finale di Flick.
Le chitarrone dilagano soltanto su Stitched e Built To Last,
mandando indirettamente una lezione a Jourgensen.
L'album e' vario e intelligente, professionale e raffinato pur nella sua
brutalita'.
Manca soltanto l'emozione.
Skin, compassato e intellettuale, era e` un lavoro di transizione,
che prelude a
Let Down Crush (Cargo, 1996), cosi` composto e ordinato da far
pensare a un tentativo commerciale. Powell canta sul serio, invece che limitarsi
a blaterare e urlare, e in diversi punti (Swarm, Shameface)
si converte al formato pop. L'album garantisce la soddisfazione del cliente
in quanto svaria dal brutale heavy-metal di A Cloth Like Gauze al ballo
puramente elettronico di Crush.
Picchi di ballabilita` si hanno con il brutale "aggro" di The Dreams That Rot
In Your Heart, Cut Collector e Two Wires Thin.
Alla fine le cose piu` industriali sono i loop, siano drum machine o
chitarrone elettriche o dissonanze dadaiste.
Powell dirige anche il progetto Hell3ent, titolare di
0.01 (Fifth Column, 1996), un
super-cibergruppo con un po' di 16 Volt (Eric Powell), un po' di Chemlab (Jared
e Dylan Thomas), un po' di Haloblack (Bryan Black, di Minneapolis, gia` titolare
di Tension Filter nel 1994 e Funkyhell nel 1996) e un po' di Thrill Kilt Kult
e Pigface.
Il risultato non e` all'altezza dei gruppi originali, ma sorprende in quanto,
lasciando in secondo piano la chitarra,
sembra riallacciarsi alla vecchia musica industriale della scuola Wax Trax.
Un sottofondo minaccioso di bassi prevale su chitarre e tastiere, lasciando
le voci e i campionamenti a fluttuare in un etere psicoambientale
(Chromed, Overloaded, Three Murders).
Helium (Re-Constriction, 1998), dei ribattezzati Hellbent (che raccoglie
anche il meglio dell'album precedente), e` ancor piu`
trincerato in questo stile psicoambientale.
Le sue litanie (in particolare Chromed) sono infatti arrangiate in
maniera spartana e recitate in maniera laconica e culminano nella conclusiva
Arom, bisbigliata in un nugolo di dissonanze e accordi che erigono
un'atmosfera nevrotica.
Anche i riff di hard rock di Blue Monochrome e Burnout devono
convivere con lo stesso arrangiamento soffice e con la stessa esecuzione in
punta di piedi.
Bisogna attendere 3 Murders 3 Nights per ascoltare un caratteristico
balletto techno (tono truce, battito incalzante e tonfi minacciosi).
Questa versione raffinata, per salotti decadenti, della musica industriale
vuole soprattutto costruire una canzone e raccontare una storia, secondo gli
schemi piu` tradizionali della musica popolare Americana.
Il progetto Hellbent e`, insomma, quasi la negazione della musica industriale.
Il tema musicale del disco e` riassunto paradossalmente nel brano strumentale
3d, una sequenza un po' casuale di frequenze elettroniche.
Black e` diventato con questo disco il padrone della sigla Hellbent, mentre
Powell ha ceduto il posto a John Golden degli EMF.
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