- Dalla pagina sui Suicide Machines di Piero Scaruffi -
(Testo originale di Piero Scaruffi, editing di Stefano Iardella)
I Suicide Machines (originariamente Jack Kevorkian and The Suicide Machines) praticavano la loro routine ska-punk dalla metà degli anni '90 (pubblicando nastri e singoli) quando finalmente firmarono un contratto discografico e pubblicarono Destruction by Definition (Sony, 1996), con il batterista originale Derek Grant.
Il cantante Jason Navarro mostra la passione esplosiva del pub-rocker britannico. Il chitarrista Dan Lukacinsky scatena riff roventi che richiamano la tradizione delle chitarre punk-rock come Steve Jones, Mick Jones, Johnny Ramone, East Bay Ray.
La loro furia è stata aumentata con corni e organo, e temperata con melodie orecchiabili (Break the Glass, Islands).
Battle Hymns (Sony, 1998) è un virulento lavoro di rabbia e disprezzo, con molto più punk e molto meno ska rispetto al primo album (Confused, High Society). Nel frattempo, il batterista Grant era passato all'Alkaline Trio.
Suicide Machines (Hollywood, 2000) fu l'album che cambiò le loro vite, e non necessariamente in meglio. Sometimes I Don't Mind e No Sale erano abbastanza pop da chiamare a raccolta i programmi radiofonici e solo Permanent Holiday mostrava qualcosa della vecchia potenza.
Steal This Record (Hollywood, 2001) apre con un orecchiabile, antemico, motivetto power-pop corale, The Killing Blow. D'altra parte, Steal This Record è un rock and roll acrobatico che ruggisce alla maniera che era solita dei Dead Kennedys. E in questo sta la contraddizione. I Suicide Machines sono lacerati tra le loro radici punk e un futuro da middle-class. Gli inni epici dei Clash risuonano dentro Honor Among Thieves, ma Stand Up è reggae-pop per picnic di famiglia. Off The Cuff è una supersonica slam-dance e All My People è un glorioso sermone barricade-oriented a velocità ossessiva, ma poi troppe delle restanti canzoni si spingono alla ricerca di un ritornello o armonie radio-friendly.
Questa è una band senza direzione, senza identità e senza stile, anche se ciascuno dei membri ha abbastanza talento da poter rimpiazzare i musicisti di gruppi che al contrario hanno una direzione, un'identità e uno stile propri.
Qualche volta ci vuole un'idea, una visione.
A Match And Some Gasoline (SideOneDummy, 2003) ha un paio di numeri orecchiabili (Did You Ever Get The Feeling Of Dread, High Anxiety).
War Profiteering Is Killing Us All (2005) è il loro lavoro più schietto, il più rumoroso e ostile; e certamente non il più musicale. Virulenti inni agit-prop come The Red Flag, 17% 18 to 25 e War Profiteering Is Killing Us All sono perlopiù urlati con una forza maniacale che deriva dalla disperazione.
Si sono sciolti, in modo inaspettato, nel 2006, mentre erano in tour per la promozione di War Profiteering Is Killing Us All.
Navarro e il batterista Vanderbeghe hanno continuato con i Left In Ruin, un side project a cui avevano dato vita da alcuni anni.
Lukacinsky ha invece dato vita ai Bayonetting the Wounded.
Si sono riformati nel 2009 ma sarebbero passati oltre dieci anni prima del nuovo album, Revolution Spring (Fat Wreck Chords, 2020), con Justin Malek alla chitarra al posto di Lukacinsky.
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