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L'inglese Toby Marks, che si maschera dietro il nome di battaglia
Banco De Gaia, apprese il mestiere nell'ambiente dei rave degli anni '80.
Le sue prime composizioni elettroniche comparvero su due cassette,
Medium (World Bank, 1991) e Freedom Flutes And Fading Tibetans
(World Bank, 1991).
Il singolo Desert Wind (Planet Dog) apri` la fase maggiore, mentre
il Deep Live (World Bank, 1992) rappresenta l'estremo saluto
alla stagione dei rave.
L'album doppio Maya (Planet Dog, 1994 - Mammoth, 1995), ispirato ad
antichi miti indù e propulso da ritmi etnici di tutto il mondo,
segno` la maturazione di Marks come compositore e arrangiatore.
Gran parte dei brani sono soltanto varianti sulla
musica da ballo, che in qualche caso (Gamelan) usano il tribalismo in chiave ipnotica,
ma per lo piu` cincischiano con loop e campionamenti. Il gorgheggio femminile diffratto sulla frenetica
pulsazione di Heliopolis e` tutto cio` che riescono a inventare.
L'album s'impenna di colpo
quando affiora un tema melodico (Qurna e Lai Lah), quando il ritmo passa in secondo
piano rispetto alla polverina di effetti sonori (Shanti) e nell'effervescente minimalismo della title-track.
Il sound si fa più ambientale e meno etnico sul successivo, monumentale,
Last Train To Lhasa (Planet Dog, 1995). La world-music e` spesso
soltanto un pretesto per allestire balletti techno, e molti brani vivono di
espedienti dejavù. Ma Marks dimostra anche un'arguta capacita` di
sovrapporre diverse identita` sonore.
La title-track (undici minuti) e` costruita attorno al ritmo della locomotiva
campionamenta all'inizio, insieme a voci confuse e coro gregoriano. Dopo
il tema un po' minimalista e un po' folk suonato dalla chitarra in un timbro
cristallino, come piace a Mike Oldfield, finalmente sputano i poliritmi
intossicanti da discoteca, collocati su uno sfondo altamente scenografico,
fra languide frasi elettroniche di sottofondo e gorgheggi etnici. Una breve
pausa lancia una fase di frenetiche e fitte percussioni tribali che ripetono
all'infinito lo stesso ritmo in maniera ipnotica. Alla fine le melodie etniche
riemergono per pochi secondi, subito sopraffatte dalle melodie elettroniche.
Un senso di mistero pervade invece
887 (quattordici minuti), la suspense creata
dalla testarda ripetitivita` dei sequencer, l'angoscia acuita da rumori
intergalattici e gorgheggi alieni. L'armonia si sfalda in un mare tenebroso
di dissonanze, in un incubo di voci distorte, ed e` allora che
i poliritmi si sollevano imponenti.
Una spirito leggiadro e aereo prevale invece nel minimalismo esasperato di
Kincajou, un febbrile loop di percussioni, campionamenti ed elettronica.
Fra i bozzetti esotici si distingue Kuos, aperto da una melodia di
cornamuse, ma subito trasformata in un rituale orgiastico dalle percussioni
ebbre, che impongono sincopato ritmo africano, e dai campionamenti delle voci
che vengono fatte "danzare" a quel ritmo.
China fonde esotismo hippie e sequencer "cosmici" alla Tangerine Dream.
E Marks e` anche troppo bravo a scodellare
spunti impeccabili di world-music da salotto come Amber.
Il secondo disco contiene gli sterminati remix di due brani.
Kuos diventa cosi` un ebbro fiume di percussioni, e
Kincajou (oltre mezz'ora) una dilatazione spazio-temporale di tutti i temi del disco.
Tutti i brani sono certosinamente studiati a tavolino e certosinamente
realizzati in studio. Sono piccoli poemi sinfonici, ma esprimono eleganza,
persino calligrafia, piu` che vero genio.
Dopo il Live At Glastonbury (Planet Dog, 1996), una registrazione
estremamente auto-indulgente, esce il nuovo album di
studio, Big Men Cry (Planet Dog, 1997). Il suo obiettivo e` palesemente
quello di divertire, e possibilmente in discoteca, anche se la sua personalita`
di filosofo lo porta a dare sempre un tocco esistenziale alle sue composizioni.
Drippy e` cosi` un balletto gioviale e ballabile, ma il crescendo di coro e
voci campionate gli conferisce una forte dimensione mistica ed etnica.
Drunk As A Monk (dieci minuti) ha il piglio delle rincorse cosmiche dei Tangerine
Dream, ma e` aperto da un coro demoniaco e da fuochi artificiali e si libra
poco a poco in un'aria maestosa da cerimoniale regale.
L'effetto e` suggestivo, in quanto i puzzle di Marks si fanno anzi ancor piu`
indecifrabili.
Big Men Cry e Starstation Earth (undici minuti) sembrano invece ripartire dalla fantasia
folk e minimalista di Mike Oldfield, e forse annunciano uno stile ancor piu`
leggero.
Perso per perso, affascina maggiormente la jam jazzata di Celestine
(dodici minuti), con il suo tema romantico di sassofono, che sembra voler
coniare un genere sofisticato di ballata strumentale.
Marks si fa perdonare le sbandate commerciali con One Billion Miles Out (undici minuti),
un concerto per rumori inquietanti e cori d'oltretomba.
Abbandonate le velleita` antropologiche, Marks ha messo a frutto le sue doti
di produttore alla moda per un disco di puro intrattenimento.
Toby Marks e` uno degli artigiani che, muniti di macchine elettroniche e
di collezione di dischi, hanno inventato la sinfonia transglobale, la lunga
fantasia strumentale che pullula di eventi sonori e si ispira
alle culture di tutto il mondo.
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