Orbital


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I , 6.5/10
II , 8/10
Snivilisation , 7/10
In Sides , 7.5/10
The Middle Of Nowhere (1999) , 6/10
The Altogether (2000) , 4/10
Blue Album (2004), 4/10
Wonky (2012), 4/10
Monsters Exist (2018)
Optical Delusion (2023)
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Summary
Orbital, i.e. Paul and Phil Hartnoll, crowned the season of raves. Their Green Album (1991) and Brown Album (1993) did to techno what Art Of Noise had done to hip-hop: they transformed it into a sophisticated art of complex compositions by intellectual "auteurs". The latter, in particular, was a parade of stylish gestures and poses, from sci-fi dissonances to dilated drones, from angelic voices to dadaistic collages, from staccato repetition a` la Michael Nyman to machine-like industrial cadences. Snivilisation (1994) and especially In Sides (1996) turned to narrative logic and emotional content, using the dance beats as mere background.
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Gli Orbital (Paul e Phil Hartnoll) fecero al techno cio` che gli Art Of Noise fecero all'hip hop: lo trasformarono in un'arte raffinata di composizioni complesse affidate ad "auteur" intellettuali.

Il loro primo hit, Chime (O-Zone, 1989 - FFRR, 1990), prendeva semplicemente di mira la scena rave con una melodia orecchiabile e un ritmo assassino, ma i successivi singoli, Omen e Satan, giocavano con i campionamenti e i ritmi. Continuando quelle intuizioni, il primo album, noto anche come Yellow (Ffrr, 1991) o Green, fu una delle opere miliari della stagione dei rave. Il suo forte erano soprattutto le metamorfosi: colate di effetti elettronici cesellavano lunghi brani dal sound etereo ed atmosferico. Belfast si apre con i piatti che tengono un ritmo jazz e frasi criptiche di elettronica alla Eno; man mano che i poliritmi prendono piede, al mix si aggiungono gorgheggi di soprano d'opera (O Euchari di Hildegaard of Bingen), un pattern minimalista di pianoforte, un rombo di violoncello in sottofondo, e via via il brano diventa sempre piu` sinfonico e incalzante.
Moebius (il brano piu` avventuroso) parte infarcita di effetti da giungla e lanciata su un vertiginoso poliritmo africano, ma presto tutto diventa ritmo e nel groviglio di battiti si fanno largo in continuazione altri battiti. Tutta ritmica e` Desert Storm, sorretta da un'impalcatura di campionamenti incalzanti (con un singolare effetto di fiati) e di percussioni africane, che diventa per strada uno studio su come mutare timbro, frequenza e volume senza creare discontinuita`. L'inno industriale Satan, alla Nine Inch Nails, suggella un'opera di sfondamento.
La loro polifonia del ballabile scaturisce da un singolare connubio di idiomi: le progressioni melodiche della disco strumentale di Giorgio Moroder, le compless partiture etno-funk di David Byrne e la fusion di elettronica e jazz propugnata dai This Heat.

Preceduto dal singolo The Naked And The Dub, un altro geniale esperimento di campionamento, l'album II (Ffrr, 1993), noto anche come Brown, compie un altro passo in avanti, e suggella un'era intera. Qualcosa e` definitivamente tramontato nel mondo della musica techno. Le danze epilettiche di Remind e Walk Now rappresentano il passato, quando il compito del compositore stava nell'impostare una ritmica infernale e farle volteggiare intorno uno stormo di eccentricita` armoniche. La stratificazione dei suoni aveva uno scopo prevalentemente percussivo. Quell'industria del montaggio verticale sta cedendo il passo a un'arte del montaggio orizzontale, del collage, del puzzle. L'aspetto percussivo e` stato rapidamente relegato in secondo piano, ed e` tornato in auge l'aspetto narrativo, sia pur in forma radicalmente diversa. A differenza della musica ambientale e della musica cosmica, le suite degli Orbital appartengono piu` alle parate di moda che ai flussi di coscienza. Sono gelidi esibizionismi estetizzanti, metamorfosi avulse da qualsiasi contesto. Sono tour dello studio di registrazione, prima ancora che composizioni musicali.
L'album e' pertanto un monumento di manierismo, dalle dissonanze "fantascientifiche" di Planet Of The Shapes, che si dileguano poco a poco in droni allungati di sitar, alle fanfare di tastiere "parlanti" di Impact, dalle melodie metalliche di Monday ai cicli di gorgheggi angelici di Halcyon (che su singolo diventa un collage di undici minuti, una delle pietre miliari dell'ambient techno) alle due melodiose Lush (che su singolo vivra` diversi remix). Tutto certosinamente prodotto (piallato, smussato, diluito) per togliere qualsiasi emozione alla musica.

I singoli Times Fly, con venature drum'n'bass, e soprattutto The Box (Internal), che potrebbe essere una ballata malinconica, mettono a frutto questi esperimenti nel contesto di una musica elettronica in rapido movimento.

Snivilisation (Ffrr, 1994) e` forse il loro lavoro piu` ambizioso, capace di spaziare dall'house all'hardrock, capace di usare la voce nei modi piu` subdoli, capace di integrare i campionamenti in forme pressoche' mimetiche. E` anche il loro disco piu` "corporale", e cio` testimonia della grandezza del duo. I dodici minuti di Attached si riallacciano al sinfonismo del secondo disco, ma l'aspetto ritmico ritorna prepotentemente alla ribalta nel singolo Crash And Carry e Quality Seconds sfocia nel thrash. Gli esperimenti sono concentrati in Are We Here, un collage di musica industriale e ritmi drum'n'bass, e Kein Trink Wasser, in particolare la sua apertura pianistica di rapidi accordi in staccato alla Michael Nyman.

In Sides (FFRR, 1996 - Internal, 1996) s'impone, nel bene e nel male, fra i lavori piu` emblematici del genere (anche se si fa fatica a chiamarlo ancora "dance"), e i fratelli Hartnoll si impongono fra i massimi sperimentatori di studio dei tempi. Le loro composizioni non sono composizioni, sono arrangiamenti. Il techno era un pretesto alle origini, lo e` ancor piu` adesso che si sono spinti ben oltre. La base ritmica e` talmente inessenziale che quasi non ci si accorge di ballare.
Adesso pero` i fratelli sembrano intenzionati a diventare anche compositori, nel senso che i brani di questo doppio album esibiscono una logica narrativa e una struttura emotiva, pur senza neppure avvicinarsi al sensazionalismo che normalmente associamo all'arte. La loro rimane una passione inerte, che non sfocia in un climax epico o patetico o altro. Ma indubbiamente i suoni subliminali di Girl With The Sun In Her Head, che intrecciano velati minimalismi alla Philip Glass, melodie pop alla Mike Oldfield, sintetizzatori atmosferici alla Tangerine Dream e un loop di organo soul. Il brano piu` lungo, Out There Somewhere, perde coerenza nel suo continuo reinventarsi e rimescolare le sue componenti. La quantita` di eventi e` tanta e tale che non e` facile raccapezzarcisi: si perde continuamente il filo del discorso, succubi di un campionario di esperimenti al termine del quale non una sola melodia o un solo ritmo o un solo arrangiamento hanno lasciato un'impronta. Ancora una volta uno degli elementi piu` umani e` rappresentato dai vocalizzi femminili, che penetrano le onde dissonanti di Dwr Budr con effetto piu` sinistro che angelico.
Il secondo disco contiene remix dei singoli. Se sono piuttosto scontate quelle dell'eterea Time Fly, quella di The Box (quasi mezz'ora, sviluppando uno dei quattro movimenti del singolo originale), diventa un saggio enciclopedico della loro arte di metamorfosi. Ed e` un'arte che prende lo spunto da Mike Oldfield e da Ennio Morricone, tutta citazioni di stereotipi della musica popolare, che prende lo spunto dalle colonne sonore tracolme di suspence dei thriller (con tanto di scricciolii di porte), che prende lo spunto dalle partitute minimaliste e classicheggianti di Michael Nyman, per finire con un duetto fra folk giapponese e musica d'avanguardia. I tintinni di giocattoli che caratterizzavano le altre due versioni di The Box (sul primo disco) diventano un complesso castello armonico per ospitare la storia di tutte le storie. In questo brano i fratelli pervengono finalmente a musica vera, alla musica come fine, non come mezzo.
E` ancora musica per il cervello, non per il cuore, ma qualche volta il cuore ha un soprassalto. Il difetto maggiore del gruppo e` questa passione per i remix interminabili, che forse diverte in discoteca ma su disco finisce per stancare anche i fan piu` accaniti.

The Middle Of Nowhere (London, 1999) e` un altro superbo esercizio di produzione in studio: la fanfara di fiati in Way Out sembra uscire da un'opera di Philip Glass, la torrenziale Spare Parts Express stende un ponte fra Tangerine Dream e techno, I Don't Know You People riesce a fondere pop, trip-hop e drum'n'bass. Di esperimento in esperimento, brani come Style (che fa leva sulle cornamuse), Autumn e Know Where To Run tratteggiano una nuova mappa della dance-music post-techno. L'unica eccezione e` la locomotiva di Nothing Left (in due parti), che sembra una concessione ai vecchi fan. Il disco segna, nel bene e nel male, una riscoperta del ritmo.

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The Altogether (FFRR, 2001) is Orbital's worst album ever, a collection of lame short electronic songs that doesn't show a single bit of genius. In fact, it doesn't even show any interest in music at all. Tension is mildly entertaining. Oi uses Ian Dury's saxophone and Tootled uses Tool's guitar: are we supposed to be impressed? The pop-soul of Illuminate, with brother-in-law David Gray on vocals, has absolutely nothing to do with Orbital. They just had a free spot. Techno appears only in Last Thing, which would have never made it to any of their major albums. The pathetic finale of Meltdown would make one thing Orbital are truly finished. Hopefully, this was just a random heap of collaborations, leftovers, half-baked ideas, etc, and not a real album.

Orbital called it quits and released their last album, Blue Album (IHT, 2004), another disappointing absent-minded tribute to their roots that seems to be constructed mechanically out of high-tech machines. Despite the elegant intricacy of a couple of tracks (Transient and and especially You Lot), Orbital's music had become soul-less and brain-less to be a pointless exercise of studio perfectionism.

Wonky (2012), Orbital's first album in eight years, contains One Big Moment, featuring Zola Jesus on vocals.

Monsters Exist (2018) is an album of failed ideas, with P.H.U.K. being the least tedious.

They reformed after another long hiatus but Optical Delusion (2023) was equally bland. Requiem For The Pre Apocalypse is perhaps the one to salvage. It is hard to tell one song from the other on these latter-day albums.

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