Architecture In Helsinki

Streamlining the arrangements, In Case We Die (Bar/None, 2005) sounded less cryptic and more expansive, almost vulgar at times compared with the gentle timidity of its predecessor. In terms of creativity, the wealth of ideas packed in a song sometimes turned them into mini-suites. the cabaret-tish Nevereverdid undergoes enough metamorphoses in five minutes to completely annihilate its own sense of purpose. In Case We Die is a mini-operetta in four acts (and just three minutes long). Do the Whirlwind is a syncopated Afro-Indian-Polynesian-jazz shuffle. Even the more cohesive and straight-forward structures, such as upbeat ditty It's 5 (the catchiest of the bunch), and the girlish, magniloquent Wishbone, each of which parodies a stereotypical genre, evoked the vision of an alien's collage of random signs of human civilization. The suspicion that this was meant to be an operetta exuded as well from the children's singalong Tiny Paintings, the psychedelic carnaval Maybe, the frantic rockabilly The Cemetary (one of the most amusing skits), the Caribbean shuffle Need To Shout.

The short Places Like This (Polyvinyl, 2007) went too far in the program of making their sound even wilder. It turned out to be more childish than creative, especially since vocalist Cameron Bird decided to sing the entire album in an odd register. Like It Or Not is easily the standout, followed by the mayhem of Hold Music and the funky Debbie. The no-frills pop song (Nothing's Wrong, Underwater) fail on both counts (catchiness, creativity).

On the other hand, Moment Bends (2011) aligned to the trendy synth-pop revival with less than dignified results.

L'ottetto australiano Architecture In Helsinki, formatosi a Melbourne nel 2000, eccelse sia nel pop sinfonico che in quello elettronico nel suo album di debutto, Fingers Crossed (Bar None, 2004). Arrangiate con un cast rotante di strumenti (chitarra, basso, percussione, sintetizzatori, xylofono, flauto, glockenspiel, tromba, tuba, trombone, piano, clarinetto, bass), le canzoni occuparono lo stesso fragile territorio dei Neutral Milk Hotel o dei Belle And Sebastian o dei Magnetic Fields, ma mostrarono un'umile stravaganza che le distinse. La band, pur mantenendo sempre un tono sommesso, eccelse nella scoperta di un insolito equilibrio tra ritornelli naif e jam lounge-futuristiche, in creazioni come la poliritmica Like a Call e l'eterea Scissor Paper Rock. L'eccezione alla regola, Kindling, è un power-pop relativamente lineare. Sono tutte miniature di pop intimista elettroacustico. E a volte l'"architettura" che evocano non è banale: la strumentale Spring 2008 trova un insolito compromesso tra orecchiabile (easy-listening) e balletto cinese. Le più incantevoli sono quelle che mettono in risalto il loro tono infantile (invece di nasconderlo): gli effetti sonori creano un'atmosfera fiabesca in Imaginary Ordinary, i corni di una banda marciante spingono To And Fro,  e The Owls Go, il migliore, prende in prestito le armonie vocali degli anni '50 e degli asili nido, sposandole ad un ritmo esotico, sintetizzatori pulsanti, corni fastosi e organi cinghettanti in quella che potrebbe essere la miglior parodia post-moderna della muzak.

Semplificando gli arrangiamenti, In Case We Die (Bar/None, 2005) suonò meno criptico e più espansivo, quasi volgare a momenti rispetto alla gentile timidezza del suo predecessore. In termini di creatività, l'abbondanza di idee racchiuse in una canzone a volte le trasforma in mini-suite. La cabarettistica Nevereverdid subisce talmente tante metamorfosi in cinque minuti da annientare il suo stesso scopo. In Case We Die è una mini-operetta in quattro atti (e di soli tre minuti). Do the Whirlwind è uno shuffle jazz afro-indiano-polinesiano. Persino le strutture più coese e dirette, come la vivace canzoncina It's 5 (la più accattivante dell'album) e l'effemminata, magniloquente Wishbone, ognuna delle quali parodie di generi stereotipici, evocano la visione di collage alieni di segni randomici della civiltà umana. Il fatto che la volontà fosse quella di comporre un'operetta si capisce dal coretto bianco Tiny Paintings, dal carnevale psichedelico Maybe, dal frenetico rockabilly The Cemetary (uno degli sketch più divertenti) e dallo shuffle caraibico Need To Shout.

Il breve Places Like This (Polyvinyl, 2007) si spinse troppo oltre nell'intento di rendere il loro sound addirittura più selvaggio. Si rivelò più infantile che creativo, soprattutto dal momento che il cantante Cameron Bird decise di cantare l'intero album in un registro strano. Like It Or Not è a mani basse lo standout,  seguita dal caos di Hold Music e dalla funky Debbie. Le canzoni pop senza fronzoli (Nothing's Wrong, Underwater) fallisce su entrambi i fronti (orecchiabilità, creatività).

Dall'altro lato, Moment Bends (2011) seguì la moda del revival del synth-pop, con risultati tutt'altro che degni.