- Dalla pagina su Nicolas Jaar di Piero Scaruffi -
(Testo originale di Piero Scaruffi, editing di Stefano Iardella)
Il producer e pianista cileno-americano Nicolas Jaar ha debuttato con l’EP The Student (2008), influenzato da Ricardo Villalobos, e con singoli come Russian Dolls e Time for Us.
Space Is Only Noise (Circus Company, 2011) rappresentò un esperimento per lo più
strumentale di synth-pop, techno e free-jazz. L’opera si apre e si chiude con le
due tracce di Etre, un
esperimento che fonde una quieta musique concrète con un pianoforte jazz
anemico. La ipnotica e depressa Keep Me There, forse influenzata dalle
colonne sonore di Badalamenti, ripete "ad libitum" un clangore spettrale
su un tappeto ritmico rumoroso. Le canzoni utilizzano molteplici voci o,
meglio, molteplici manipolazioni della voce di Jaar, dalla musica "dance-downtempo" sensuale di Colomb all’elegia marziale Doors-iana di Space Is
Only Noise If You Can See (verosimilmente il punto più alto), e dalla
psichedelica, onirica litania soul di Balance Her In Between Your
Eyes, al falsetto funk di Variations, in stile Prince. Jaar tira fuori
irresistibili ritmiche quasi dal nulla, come la pigra ninna-nanna per chitarra proposta in una distaccata Too Many Kids Finding Rain In The Dust che, con un
pizzico in più di convinzione, avrebbe potuto competere con l’alienazione
demente di Da Da Da del Trio;
e il blues-cabaret scheletrico di Problems With The Sun, un intermezzo
futuristico à la Brian Eno che
interferisce con il ciclo della canzone in modo da sottolinearne lo
straniamento Brecht-iano.
Jaar ha di fatto coniato un nuovo format musicale per i cantanti/cantautori digitali del ventunesimo secolo.
Don’t Break My Love (Clown and Sunset, 2011) è un altro affascinante saggio sull’arte della minimizzazione. Don’t Break My Love si abbandona a una percussione glitch subsonica e ad una melodia elettronica ancor più subsonica. Solo verso la fine una voce cartoonesca, da scoiattolo, emerge per reiterare il motivo. Why Didn’t You Save Me è divisa in più parti: si ascoltano scoiattoli DJ che suonano drum & bass, poi alieni del futuro che improvvisano su un’antica registrazione di percussioni tribali africane, e infine un cantante di ballate soul annegato in profondità ghiacciate.
Jaar e il chitarrista Dave Harrington registrano l’EP Darkside (2011) e l’album Psychic (Matador, 2013) con il nome Darkside (non i famosi Darkside degli anni ’90). La musica è per lo più lenta strumentale casuale, spaziando dalla novità techno psichedelica Freak Go Home al canto funebre funk-industriale di otto minuti The Only Shrine I’ve Seen. Non c’è nessuna pratica comune, ogni canzone pare derivare da processi diversi e mirare a scopi diversi. L'atmosfera cupa degli undici minuti della straordinaria Golden Arrow è il risultato di un intreccio di pulsazioni e droni in una maniera cinematografica geniale per ottenere una sorta di musica disco trascendente, con echi di Giorgio Moroder e di Echo e Wish You Were Here dei Pink Floyd. La somiglianza con i tardi Pink Floyd aumenta più avanti con la convenzionale ballata strumentale tendente al lounge Metatron. L’album è divertente e interessante, ma contiene alcuni riempitivi davvero imbarazzanti (come lo stomp blues-rock Paper Trails e l’elegia pop-soul Heart).
Nicolas Jaar ha composto una colonna sonora per il film del 1969 di Sergej Paradzanov, The Color of Pomegranates (Other People, 2015). E' un astratto affresco sonoro elettronico. Comincia prendendo in prestito gli ipertoni tragici delle prime sinfonie cosmiche di Klaus Schulze, ma degenera presto in un rumore disgiunto che porta a una sequenza teneramente romantica di suoni tintinnanti. Più avanti, un loop glitch mixato a un pianto anemico e distante disintegra il flusso sonoro. Le voci che ricorrono sono manipolate e incastrate in echi diffratti di musica etnica. Il ritmo metallico industriale muta in una danza ipnotica caraibica. Tale caos controllato acquista per un momento un sapore psicotico, poi interrotto da un coro infantile. Più o meno a metà (dopo circa 42 minuti dall’inizio) la musica comincia un processo di umanizzazione, abbandonandosi a piano jazz e melodie folk indecise, e persino picchiando musica techno (dopo circa un’ora). Il finale apre un segmento propulsivo, ma presto la musica si tuffa in lamenti religiosi e in un’oscurità straziante da cui riemerge solo con l’elegia finale per piano, a metà tra un’improvvisazione notturna jazz e una sonata neoclassica.
La colonna sonora per il film “Dheepan” (2015), di Jacques Audiard, è molto più convenzionale.
Nymphs (2016) raccoglie gli EP realizzati
nel 2015 intitolati Nymphs II, Nymphs III e Nymphs IV, così come il precedente EP Don’t Break My Love (2011).
II
contiene la disordinata e chiassosa The
Three Sides of Audrey and Why She’s All Alone Now, ma anche la jam dance No One Is Looking at U le cui molte
voci, molodiche e aggrovigliate, si fondono in una ripetizione minimalista.
Il
culmine di III e dell’intera serie è
Swim, il cui paesaggio sonoro è una
delle jam dance più eleganti della carriera di Jaar: i rumori acquatici uditi
dal punto di vista di qualcuno che sta affogando, mentre qualcun altro sopra il
livello dell’acqua ascolta un disco jazz introduce una trama techno martellante
che si ripete incessantemente con leggere variazioni. IV contiene la tenera Mistress,
un incrocio tra un’improvvisazione di jazz liquido su una melodia pop ed una
sonata da camera impressionistica per pianoforte, e gli otto minuti di Fight, una jam funk per ballerini
catatonici.
I tre EP sono di molto inferiori all’EP Don’t Break My Love e perfino alla colonna sonora di The Color of Pomegranates.
Sirens (2016) non sembra avere un tema o
uno stile definiti, suona più come una collezione di canzoni composte durante
diversi anni. Anche la qualità non è uniforme. Gli undici minuti di Killing Time sono una fantasia in più
parti: si apre con mormorii di pianoforte e rumore di cocci di vetro; dopo
cinque minuti, il falsetto di Jaar emerge sopra ad un lento ma martellante
ritmo blues, che evoca un rituale esoterico all’interno degli ambienti funerari
di una piramide. Il tutto è affogato in distorsioni glitch e droni
raccapriccianti. Ci sono due strane canzoni politiche: No, con contaminazioni cumbia, che si dissolve proprio mentre muta
in una novità bambinesca; e History
Lesson, cantata (in falsetto) e suonata (a ritmo lento) come un ballo
romantico anni ’50. I pezzi forti sono due composizioni ritmiche. The Governor è un numero dancefloor che
prende in prestito il beat febbrile e psychobilly dei Suicide, ma è forte di due parti strumentali di puro genio: una di
piano jazz dissonante e una, più lunga, di pianti per sassofono sopra a
percussioni caotiche (proprio come se le due tracce fossero state sovrapposte).
Nei dieci minuti di Three Sides Of
Nazareth Jaar adotta un ritmo locomotore che ricorda Stop This Train di Kevin Ayers. Dopo circa quattro minuti abbandona il beat e si
sposta in un monastero infestato da echi cavernosi. La canzone si ferma e
rimane sospesa; accordi di pianoforte sparsi e corrente elettrica sfrigolante
dominano per alcuni secondi. Dopodiché il ritmo locomotore riprende a velocità
massima (esattamente la dinamica della canzone di Ayers).
Jaar ha anche composto musica house come Against All Logic, successivamente compilata su 2012-2017 (2018), come la semplice This Old House Is All I Have, che evoca la disco, e la più lunga Rave on U. Dopo l'EP Illusions Of Shameless Abundance (2020), con Lydia Lunch e FKA Twigs, Against All Logic ha pubblicato un'altra compilation, 2017-2019 (2020), che sembra un accumulo casuale di idee non sviluppate, dall'elettronica spettrale all'elettronica di remix contorti, inclusa una collaborazione con Lydia Lunch, If You Can't Do It Good Do It Hard.
Cenizas (2020) è una raccolta di vignette divise tra noiose e languide ballate per sintetizzatori e sussurri (come Vanish, Faith Made of Silk e Cenizas) e il free-jazz dissonante. Quest'ultimo include Agosto, per clarinetto, pianoforte e percussioni, Xerox, per rumori strumentali assortiti. Le migliori sono creazioni astratte, surreali e sinistre come Gocce per dulcimer martellato e percussioni, e Mud per clarinetto free-jazz, rombo elettronico, batteria primordiale e invocazione sciamanica. Più della metà di questi esperimenti sono usa e getta.
Telas (2020) è una sinfonia di glitch-elettronica in quattro movimenti. Telahora (16:15) mostra tutti i limiti dell'album: inizia con banale musica cosmica vecchio stile, poi indulge in musica da camera etnica che ricorda gli ingenui esperimenti della Third Ear Band (nel cinquantesimo anniversario del loro capolavoro) e poi prosegue con suoni casuali improvvisati. Ciò che superficialmente sembra amatoriale e sottosviluppato, tuttavia, potrebbe essere un metodo: Telencima (15:09) inizia come elettronica per ritocchi infantili di manopole e musica concreta molto antiquata, ma dopo pochi minuti i suoni incoerenti iniziano a confluire in una ninna nanna aliena sconnessa e finiscono per suonare come un remix dei Morton Subotnick di una colonna sonora di Ennio Morricone.
Un inizio caotico, sciolto e casuale indebolisce Telahumo (14:20), che, ancora una volta, suona come i primi esperimenti elettronici degli anni '50. Talallas (12:55) è un arrangiamento più artistico di suoni elettronici, una pittura sonora astratta e rarefatta che si fonde lentamente attorno a una melodia e un ritmo. Sebbene l'evoluzione di Telencima sia un concetto interessante, in generale questi pezzi mancano della raffinatezza e della profondità delle composizioni glitch di Christian Fennesz e Tim Hecker.
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