Dalla pagina degli Abu Lahab di Piero Scaruffi: traduzioni di Davide Carrozza, Nicolo` Traini e Stefano Iardella.
(Translation by/Tradotto da Davide Carrozza)

I marocchini Abu Lahab emersero come uno dei progetti industrial black metal più originali con una serie di devastanti demo lo-fi.

In effetti, When the Face of the Lord Is Split Asunder (2010), senza batteria, seguiva la falsariga del muro di rumore dei Dead C, soprattutto l'inno-preghiera Accursed Are the Compassionate, tutta coperta di distorsione. Il pezzo più intrigante era As Daylight the Beneficent Creeps In, di otto minuti, che optava, invece che per la follia totale, per un'atmosfera inquietante costruita attorno a campioni ed effetti sonori.

Conversi ad Dominum (2010) fu più ardito, gli elementi estremi prevalevano sui moderati. La breve ouverture gotica astratta di Hellish Spheres segnala già una sterzata verso l'irrazionale. Le esplosioni di black metal in Izraak Rbbi Ibogd si impigliano in una giungla di rumori industrial. Da qui allo sfrontato rumore caotico di Mephitic Asymmetric Halos, degno della power electronics degli anni '80, il passo è breve. L'infernale ritmo a raffica della breve Eyeless Gaze sigilla la messa profana.

I sei pezzi del mini-album As Chastened Angels Descend Into The Thoracic Tombs (2011) segnano il debutto ufficiale degli Abu Lahab.

Moths from the Silver Reich (2012) contiene solo tre brevi vignette futuristiche: la visione androide di The Void Resonates, droni e campioni che fluttuano in Grasp the Abyss with Petrified Palms e il melodramma espressionista di The World is a Sea of Blood (che finisce con una canzone folk). Questo EP rappresentò il picco del lato anti-musicale degli Abu Lahab. Non era rock, né metal, né industrial. Era arte visionaria di puro suono.

Tra i cinque pezzi del mini-album We Beheld the Last Contraction of the Seraph (2012) abbiamo il supercontorto, epilettico, dissonante turbine tribale di And No Health Was Left in Us, una delle danze più deliranti dell'era interrotta da urla disperate solo per indulgere in una martellante coda grottescamente distorta, e Sharpen the Tooth of Thanatos, una combinazione di musique concrete e metronomia industrial.

Humid Limbs of the Torn Beadsman (2012) superò ogni aberrazione più selvaggia. I sei minuti di Carve Hope Out of their Bellies sono un frullatore supersonico di battiti spastici, bassi mostruosi, chitarre cigolanti, rumori elettronici e urla da manicomio. Burden of Senses associa una batteria zoppicante a un fruscio elettronico spaccatimpani, un coro angelico e una distorsione antimelodica. Dopo la vignetta per macchine industriali di Jeed II, la frenetica jam free-jazz di Dissolution viene divorata viva da voci psicotiche e dissonanze da computer. Il rumore ultraterreno e le batterie tribali di Apathy Chord fanno imboscata in una filastrocca per bambini prima che droni galattici inghiottano questa visione morbosa. La strumentale Cope with the Third Eye è un'allucinazione di otto minuti che impiega tanto meno la violenza o il rumore estremo quanto più la ripetizione e la tensione. In qualche modo, ogni elemento è fuori posto (la batteria irregolare, il riff di chitarra in loop, l'elettronica subacquea) ma il tutto è insolitamente compatto e geometrico. È la loro versione del minimalismo. Il brano in chiusura, Thanatos Persists, è techno futuristica androide per discoteche post-umane. È rimasto poco metal in questo caos, ma ancora meno industrial. C'è solo molta nevrosi e isteria. Raramente il mondo è apparso così brutto e ostile.

(Translation by/Tradotto da Davide Carrozza)

La caotica danza voodoo di Ignite the Solar Abdomen apre il mini-album Of Heliotaxis and Cosmic Knifing (2013), un'ouverture ponderata al folle circo di campioni, riff ed effetti sonori a velocità scavezzacollo che è Cynocephalic Torments, il nipote di Virgin Forest, la giostra psichedelica dei Fugs. La parata dei mostri continua con l'orologeria zoppicante industrial di Tyranny of a Suspended Dawn immersa in ogni sorta di dissonanza e deviata da canti lirici e invocazioni da muezzin. Prostrate Exenterate è un lied da camera espressionista post-classica che fa il paio con un'orgia percussiva. E lo spettacolo raggiunge un vicolo cieco nella tempestosa e stupefacente sincope hip-hop, nella selvaggia distorsione elettronica, nella coda horror di Shatter the Gyre.


(Translation by/ Tradotto da Nicolò Traini e Stefano Iardella) Supplications of the Last Gyrosophist (2013) sposta la musica di Abu Lahab in territori più astratti, molto più “industrial” che “metal”. Hayenomorphic (10:58) è un collage di musica concreta: inizia con un duetto tra un segare ripetitivo e droni di chitarra distorta, prosegue con accordi lenti, scordati e monumentali per poi esplodere improvvisamente in un’esplosione vertiginosa di suoni sintetici, evocando una raffica di immagini allucinate. Un motivo loopato quasi circense emula il prog-rock di Canterbury. Her Spleen in the Pond (8:11) è ancora più spinto: un malato vocalizzare è alla guida di una grottesca danza sincopata, una cacofonia di percussioni con esplosioni e distorsioni allucinogene in coda. Dopo il breve recitato demoniaco di Moth Moon Meiosis (4:38), Baleful Night (10:25) si tuffa in un “assolo” senza fiato di clangore industriale metallico lambito da fiamme di power-electronics e canti da posseduto, un’ipnotica e straziante danza voodoo. Questa danza meccanica continua su A Window A Flickering Face (9:53), un pezzo ritmato più semplice che sembra il voodoobilly dei Cramps coverizzati dai Residents.

Sull’EP Amhdaar (2017), Abu Lahab torna in una versione ancora più roboante. Propelled By The Zavhaari Sleep Machines/ We Slouch Through The Temporal Lobe Of Jahannam/ Now We Kneel To The Ash Moon Mataleen, una suite di tredici minuti divisa in tre movimenti, è incredibilmente cacofonica e percussiva, un incrocio tra la Sister Ray dei Velvet Underground e Metal Machine Music di Lou Reed, contaminata (e alla fine sopraffatta) da cori sacri e profani deliranti alla Hymnen di Karlheinz Stockhausen. In We Then Surface To Inhabit The O Of Collapse/Memorize The Curvature Of A Majin Assault ci sono dieci minuti di stridii da incubo di tastiere, un vorticoso giro su una giostra fatta di sfumature spettrali che sembrano uscite da una toccata di Bach, prima di essere assalita da un branco di vampiri e lupi mannari.

L’influenza di musica concreta e power-electronics è ancora più evidente su Tungasht (2018), dall’angoscioso buco nero iper-distorto di Blue Waters Of Cataract (10:44) all’esplosivo muro di suono in Faad I - With Her Chastity Invoked On A Bed Of Murk (7:05), il loro pezzo più estremo finora. Strati e strati di urla bestiali e suoni sgradevoli sotterrano To Bend A Knee In Affliction (6:18). Faad III - Flies Tell Of How Pain Nested In Her Lungs (5:47) è musica per i luna park dell’olocausto nucleare. Tutto sommato, l’album è meno originale dei precedenti, ma la sua tipica furia rimane indomita.


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