Dalla pagina su Katie Gately di Piero Scaruffi.
(Translation by/ Tradotto da
Damiano Langone)

Katie Gately, musicista elettronica che vive e lavora a Los Angeles, pubblica la cassetta Pipes (Blue Tapes, 2013) contenente due lunghe composizioni basate sul massiccio uso del computer e in cui il collage di voci filtrate realizzato senza l'impiego di altri strumenti musicali. Il brano Pipes, lungo 14 minuti, stratifica ronzii ed elementi vocali psichedelici e, nonostante lo spirito giocoso che viene a intromettersi con sortite nel musichall e nelle atmosfere circensi, raggiunge a tre minuti dalla fine una qualit ipnotica che ha del sinfonico. Acahella, traccia di 8 minuti, tanto intrigante quanto viscerale, sia ritmica che caotica, in pratica un viaggio nel futuro (l'ipersonica miscela di schegge sonore) cos come nel passato (echi di gruppi vocali anni '50) che coinvolge anche il mondo dei cartoni animati e quello della musica da ballo. Forse all'insaputa della stessa Katie Gately, questo il nuovo capitolo di una storia cominciata nel 1965 dai Fugs, con Virgin Forest, e portata avanti qualche anno dopo da Robert Wyatt con il suo End Of An Ear.

 

L'EP di sei canzoni Katie Gately (Public Information, 2013) si apre con le aspre dissonanze industrial di Ice e l'inquietante loop di Last Day, facendo segnare cos un deciso cambio di umore rispetto allo spirito capriccioso e gioviale del suo primo lavoro. Dread Referee, uno dei suoi collage pi potenti, una trasognata lamentazione in acido su ronzii distorti degna di Karlheinz Stockhausen.

 

La musica di Katie Gately porta il processo innescato dalla computer music negli anni '50 alla sua naturale conseguenza, ossia all'eliminazione del performer, fenomeno che pone interrogativi sulla natura della performance nella relazione fra umano e tecnologico.

 

Pivot (2014), traccia di 15 minuti pubblicata su un EP condiviso, sembra la versione dilatata e rallentata di Pipes in cui il brio infantile ha lasciato il posto a una sorta di cosmico languore. Qui le melodie sono riconoscibili, i ritmi risultano nella norma e a sei minuti dalla fine l'artista intona persino un semplice canto, sebbene un beat industrial a tempo di marcia si impegni al massimo per trasformare il tutto in un sabba delle streghe.

 

L'album Color (2016), arrangiato con tutti i crismi, un lavoro pi rilassato e accessibile, sulla scia della linea dettata da Holly Herndon e quindi meno ascrivibile all'ambito della computer music. L'inusuale pezzo dance Lift (una specie di hip-hop caraibico?) e il gioviale shuffle Tuck hanno ben poco in comune con la musica della sua prima cassetta e si affermano come successi del genere dance-pop. Anche Rive piuttosto insolita, sfoggiando una melodia e un ritmo che evocano le atmosfere del cabaret francese anni '40. Color trasforma in otto minuti gli iniziali ronzii sinfonici pieni di mistero in una appassionata ninnananna popolare. Se i sette minuti di Sift sono confusi e non portano da nessuna parte, e la folle Frisk si sforza fin troppo di scioccare, Sire (fragoroso ritmo sincopato, tremolante organo isterico e melodie vocali con profusione di contrappunti) si distingue come degna continuazione del progetto d'avanguardia con il quale Katie Gately si fatta conoscere all'inizio della sua avventura musicale.


(Translation by/ Tradotto da Francesco Romano Spano' )

Loom (Houndstooth, 2020) di Katie Gately, pensato come un requiem dedicato a sua madre, un lavoro minore pieno di grandi idee. Allay sembra una canzone da cabaret interpretata da Meredith Monk. Tower, orecchiabile e marziale, sembra Kate Bush che canta world-music. Flow una ninnananna naif sussurrata su maestose tastiere Nico-iane. Rest un madrigale da messa cantato mentre si mezzi addormentati. I dieci minuti di Bracer sono un confuso collage di stili: inizia come un confuso spiritual da piantagione, diventa poi una melodia folk celtica, accelera nel dance-pop elettronico e muore in un canto etnico distorto. Il lugubre e teatrale Waltz troneggia su tutto l'album.


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