- Dalla pagina su Lushloss di Piero Scaruffi -
(Testo originale di Piero Scaruffi, editing di Stefano Iardella)


(Tradotto da Stefano Iardella)

Lushloss, il progetto della cantautrice trans di Seattle, Olive Jun, ha debuttato con Asking/Bearing (Hush Hush, 2017), che di fatto è composto da due mini-album. Tutte le canzoni sono troppo brevi e sottoprodotte per completare ciò che hanno cominciato. Questo non è solo "lo-fi": è una ferita deliberatamente autoinflitta. In effetti, Jun si presenta come un produttore specializzato in produzioni volutamente incompiute e sporche. La prima parte è un concept attorno alla telefonata interurbana tra l'artista e la sua madre coreana. Estratti della conversazione (che sembra un'intervista condotta dal maschio Olive) concludono ogni canzone della suite. Se è sorprendente come riesca a rovinare canzoni potenzialmente magiche come Amethyst (risate da cartone animato, beatbox spezzato e bordone sinfonico), o Sisters (che inizia come un carillon gloriosamente romantico), è sorprendente anche quanto sia espressivo quando inciampa sulle note di canzoni fatiscenti come St Marco.
Sembra psicologicamente incapace di prendersi sul serio, sia che stia suonando un'elegia al pianoforte (Sheet) o semplicemente strimpellando una chitarra (Shame), momenti che potrebbero essere di intenso pathos. Hold uu, un tentativo incompiuto di hip-hop, con arpa e percussioni meccaniche, segna il confine. La seconda metà dell'album è stata registrata prima ed è un lavoro completamente diverso. Qui Jun indossa il cappello di un talentuoso produttore di hip-hop strumentale che oscilla tra gli estremi della musica chill onirica di Old Oak e l'impegnativo e intricato Clearing. C'è anche un tentativo di dance-pop mainstream (il transglobal Gymnasium).


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