Dalla pagina dei Vektor di Piero Scaruffi.
(Translation by/ Tradotto da Marco S. e Stefano Iardella)

Il thrash metal fu, grazie a band come Metallica, Anthrax, Slayer e Megadeth, uno dei generi cardine e più rappresentativi degli anni '80.

Tuttavia tra il 2007 e il 2009, si assistette ad una sorta di "revival" del genere; numerosi gruppi haevy-metal emersero alla riscoperta del thrash anni '80. Numerosi furono anche gli album di questo "revival-thrash": And the Worst Is Yet to Come (2007) degli Hyades, The Onslaught (2007) dei Lazarus A.D., The Storm Before the Calm (2007) dei Dekapitator, Enter the Grave (2007) degli Evile, Citizen Brain (2008) dei Gama Bomb, Awaiting Evil (2008) degli Hatchet, Death Brigade (2008) degli Avenger of Blood, Feed the Beast (2008) dei Bonded by Blood, forse i più famosi, State of Insurgency (2008) degli Hexen, Beer, Bitches, Blood (2008) degli Hospital of Death, Damnation (2008) dei Warpath e Insurrection Rising (2009) dei Savage Messiah.

I migliori furono i Vektor di Philadelphia, che dopo un primo disco piuttosto amatoriale e deludente Demolition (2006), danno alle stampe quello che è considerato il loro capolavoro Black Future (Heavy Artillery, 2009), un concept album a tema fantascientifico. Il brano d'apertura e title-track, Black Future è un esempio tipico del loro mix di pop, prog e thrash metal, ma confrontata con i brani successivi, è solo un brano puerile. La folle accelerazione di Oblivion è il modo migliore per introdurre il loro stile. Si continua con la carica militaresca di Destroying the Cosmos, che poi diventa lo show personale del terrificante drumming di Blake Anderson che ci guida verso il finale esilarante e sensazionale. La maligna, vomitante e marziale Asteroid è, in un certo senso, atipica perchè si basa molto (forse troppo) sull'effetto shock. Le composizioni chiave del disco sono i tre pezzi lunghi. I dieci minuti di Forests of Legend, la più melodica, con un "incipit" composto da un motivo neoclassico melodico e delicato il quale ritorna dopo una galoppata black-metal. I dieci minuti di Dark Nebula, mescolano overtones fantascientifici, un magniloquente break che si getta in una grottesca danza che si dispiega verso un ritornello orecchiabile. A seguire i 13 minuti del juggernaut di Accelerating Universe che corre verso un crescendo infernale attorno un terrificante giro di chitarra. A cinque minuti dalla fine depone le "armi"in un delicato break strumentale. Poi una accelerazione improvvisa fa riemergere il lato truculento e DiSanto sfodera un terrificante registro canoro. Un'altra accelerazione strappa quello che rimane del brano e il cantante si concede un ritornello inneggiante. Attraverso tutto l'album David DiSanto passa da urla gutturali a urla psicotiche e ritorno, contribuendo enormemente alla qualità narrativa della musica.

Quest'album ha creato un archetipo musicale complesso come il prog-metal, veloce come il thrash-metal ma anche melodico come il pop-metal. Outer Isolation (Heavy Artillery, 2011) emerge oltre gli standard solo in determinati momenti. La suite progressive di Cosmic Cortex dispiega un'enorme complessità, tuttavia non è nè abbastanza vehemente nè abbastanza melodica. La quasi altrettanto lunga Outer Isolation, di otto minuti, risulta ancora più confusa. La breve e mozzafiato Echoless Chamber inietta molta più potenza delle prime due messe assieme. I brani sembrano essere principalmente una "mostra" della prodezza strumentale, per esempio Tetrastructural Minds e soprattutto la breve Dark Creations Dead Creators ma questo approccio può diventare monotono anche se l'intento è quello di stravolgere la musica ogni dieci secondi (basti ascoltare lo sviluppo impazzito di Venus Project). Troppo spesso non vi è coesione tra la parte cerebrale e quella emozionale, le due non si mescolano a dovere. Il canto (o meglio le grida) di DiSanto raggiunge un tono piuttosto agonizzante nel finaledi Dying World ma generalmente viene coperta dalla follia supersonica e rompicapo degli strumenti. L'eccezione la troviamo alla fine. Questa volta tutti gli elementi corrono all'unisono nella supersonica Fast Paced Society, che è sia tecnicamente mozzafiato sia estremamente accattivante.

Dopo una scomparsa dalle scene di ben cinque anni, i Vektor ritornano con la space-opera Terminal Redux (Earache, 2016) che continua nella direzione di un metal estremamente isterico e ricercato, ma costruisce i brani con metodi molto più ambiziosi (sei brani superano i sette minuti). I nove minuti di Charging The Void che fanno da apertura all'album sono sufficienti a esaurire anche i fan più affezionati, offrendo di tutto, da intermezzi strumentali tellurici finanche a un ritornello pop. Se si osserva il labirintico Cygnus Terminal di otto minuti dal punto di vista dell’organizzazione musicale, le somiglianze con i musical di Broadway diventano evidenti: il brano racconta una storia con diverse variazioni, ognuna delle quali è parzialmente una cantilena, tranne per il fatto che è gridata in modo così isterico e bombardato dagli strumenti in modo talmente implacabile, da suscitare adrenalina anzichè empatia. Tuttavia l'album risulta essere meno convincente nella parte centrale, da LCD Liquid Crystal Disease a Pillars Of Sand, malgrado la furia demenziale (e relativamente melodica) di Ultimate Artificer e il martellamento ossessivo di Pillars Of Sand. I nove minuti della prog-ballad (con voci "pulite") Collapse è completamente fuori contesto. I seguenti 13 minuti di Recharging The Void rimettono in piedi in modo maniacale l'intensa atmosfera di inizio album, infatti ci mostranmo un variegato quadro di memorabili assoli chitarristici. Il punto narrativo chiave è la pausa in cui le due "sirene" (chitarre) duettano con DiSanto che canta con un registro "pulito", una melodia che potrebbe essere inserita anche negli album dell' ultimo periodo dei Pink Floyd. All'improvviso DiSanto urla come un invasato e la band si lancia negli ultimi quattro minuti di bufera, culminante in uno sbraitare corale. Tutte questi brani sono incendiati con ogni genere di acrobazie strumentali. Tuttavia, esse risultano fluide e organiche. E' un miracolo il modo in cui composizioni complicate, musicisti acrobatici, furia granitica, intensità esplosiva, riff chitarristici mozzafiato e melodie sentimentali (malgrado il registro canoro) formano una tale simbiosi benefica.

Entro la fine dell'anno il chitarrista Erik Nelson, il bassista Frank Chin e il batterista Blake Anderson, lasciarono i Vektor, chiudendo un glorioso capitolo del thrash-metal.


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