- Dalla pagina su Dave Pajo di Piero Scaruffi -
(Testo originale di Piero Scaruffi, editing di Stefano Iardella)
In Breve:
Il chitarrista degli Slint, Dave Pajo (Texas, 1968), contribuì a dissipare l'idea che la musica strumentale dovesse essere atmosferica con Aerial M (1997), che produceva un languido slo-core sub-sub-ambient in cui elementi di lounge jazz, le colonne sonore di Ennio Morricone e le colonne sonore semi-classiche di Rachel furono accuratamente disinnescati. La sua tecnica minimalista e trascendentale, ispirata in egual misura da Pat Metheny (jazz), Robert Fripp (rock) e John Fahey (folk), raggiunse l'apice esistenziale in Live From A Shark Cage (1999), di Papa M, una fantasmagoria di decomposizione cubista, l'equivalente strumentale della musica di Tim Buckley.
Bio:
Gli Aerial M sono un collettivo di una decina di persone che aveva
già pubblicato un paio di singoli, Napoleon/ Safeless (1995) e
In The Thirteenth Letter (1995), più lo split
Vol De Nuit (All City, 1996), con il nome M, titolo originale della
collaborazione fra il chitarrista Dave Pajo (Slint,
For Carnation) e il batterista Ray Rizzo.
E' Pajo il padrone dell'operazione. Dave Pajo aveva iniziato la sua carriera come chitarrista dei Maurice, un quartetto hardcore di Luoisville, in Kentucky, che fu secondo soltanto agli Squirrel Bait in fatto di influenza. Nel 1986 il gruppo si sciolse e Pajo entrò negli Slint. Pajo si unì poi ai Palace e infine ai Tortoise.
L'album strumentale Aerial M (Drag City, 1997)
è la continuazione di quei progetti, ora che Pajo è affiancato da mezza
famiglia (Fernando, Darlene e Dawn) e da un nugolo di amici fra i quali
spiccano Will Oldham dei Palace Brothers, Dan Koretzky, Laurence Bell.
Ma il progetto è di Pajo, un chitarrista lezioso e introverso come pochi,
che ha in mente una musica strumentale pigra e solenne, da scodellare
senza fretta, assaporando l'effetto di ogni accordo; una musica
sub-sub-ambientale che rasenta il "slo-core", il più sonnolento acid-rock
e le partiture semi-classiche dei Rachel's;
l'equivalente strumentale del canto di Tim Buckley.
Le melodie sibilline di Dazed And Awake
sono fratturate in maniera quasi minimalista, organizzate meccanicamente
attorno al petulare indifferente di Pajo.
La sperimentazione di Pajo in questa direzione "cubista" si spinge
fino al tenue pulsare senza struttura narrativa di Wedding Song No 2,
in cui la melodia sembra incespicare in un difetto di registrazione.
Pajo è capace di raggiungere livelli maniacali di cerebralità, proprio
laddove abbraccia il credo e la prassi del "lo-fi" più umile.
Le scale matematiche di AASS fanno venire in mente persino l'"Arte della Fuga" di Bach.
Ma al tempo stesso Pajo sa costruire atmosfere raffinate, come quando accarezza
il jazz da cocktail lounge dei film noir e le colonne sonore semiotiche di
Morricone in Skrag Theme.
Alla fine, anzi, il tenero finale di Always Farewell si scopre radicato
nelle tradizioni del Kentucky, nelle favole country e nelle ballate da bivacco,
filtrate attraverso la sensibilità trascendente di un John Fahey, e qui la
visione personale di questo pittore del suono acquista una qualità metafisica.
Nonostante la quantità impressionante di collaboratori, tutte le romanze
senza parole di questo disco sono estremamente spartane.
Post Global Music (Drag City, 1998) è più che un semplice album di remix e annovera quattro versioni di Wedding Song No 3.
Pajo si supera sul disco successivo, accreditato ai Papa M:
Live From A Shark Cage (Drag City, 1999).
La sua tecnica minimalista e trascendentale, che si ispira in egual misura
a Pat Metheny (jazz), Robert Fripp (rock) e John Fahey (folk), ha raggiunto
un livello elevatissimo di concentrazione. Pajo ha trovato un equilibrio magico
fra tecnica, emozione e struttura.
Roadrunner è un acquerello country come quelli di Leo Kottke, ma il
tintinnio melodioso della chitarra (che ricorda le "carol" natalizie),
il contrappunto sordo di uno scacciapensieri, il tamburellare delle
percussioni e il carillon di vibrafono non hanno nulla della gioia spensierata
delle campagne, semmai la cupa introversione della metropoli.
Anche il blues accelerato di Plastic Energy Man, ancora una volta
strimpellato dalla chitarra (in maniera quasi calypso) e accompagnato da
percussioni molto dimesse, fa la spola fra fantasia leggiadrea e psiche malata.
Più "canzone" di qualsiasi altro brano in questo disco è Up North Kids,
una melodia orecchiabile e cadenzata che per un secondo sembra dimenticare
tutti i tormenti esistenziali.
Da quell'atmosfera (più o meno) fiabesca si piomba invece nella trance
sibillina di
Pink Holler, un vellutato tappeto di tocchi cristallini di chitarre e
banjo che questa volta non corre dietro a una melodia ma si limita a diventare
sempre più fitto.
E si sprofonda nel lungo raga di Drunken Spree, che ripete
un semplice pattern melodico al sitar intrecciandolo con accordi intensamente
spirituali di chitarra.
Lungo i quindici minuti di I Am Not Lonely With Cricket Pajo
si cala completamente nella tecnica minimalista di ripetere all'infinito un
pattern elementare con minime e subdole variazioni e nella tecnica orientale di
ottenere l'estasi tramite la stasi ipnotica e la meditazione intensa.
La musica muta lentamente e si dilegua in un tintinnio di toni metallici.
Il pezzo di chiusura, Arundel, fonde queste due facce di Pajo, il
vignettista melodico e il guru spirituale, in un tema lento e affranto,
che sembra quasi un requiem che sfoca in una voluta di tetri riverberi.
Il chitarrista più taciturno della storia del rock si consacra come uno dei
più geniali. La sua è una musica paziente, che non cerca l'effetto e aborrisce
la velocità. La sua è una musica costruita a partire da una tecnica
martellante alla chitarra che non potrebbe essere più elementare.
Nell'arco della sua carriera Pajo ha inseguito e inventato uno stile di
composizione che è un misto di pittura cubista dell'"arte della fuga" di Bach.
Difficile riconoscere David Pajo nell'EP Papa M Sings (Rock Action, 2001), una raccolta di canzoni folk e blues lo-fi à la Will Oldham (I of Mine, London Homesick Blues).
Dopo aver pubblicato due dischi pietre miliari di musica strumentale, all'inizio di quest'anno Dave Pajo (la mente dei Papa M) si è dedicato al canto con un EP che si è rivelato (nella migliore ipotesi) un esperimento non riuscito. L'album Whatever, Mortal (Drag City, 2001) mostra che è enormemente migliorato nel canto e che ha trovato il giusto equilibrio tra la sua destrezza strumentale (suona tutto da solo, aiutato solamente da Will Oldham e Tara Jane O'Neil) e la forma canzone.
Da un lato, Pajo accenna ai classici: Over Jordan, il racconto di un Ulisse moderno che ritorna a casa, e l'ode solenne di Roses in the Snow, potrebbero essere senza dubbio due elegie sussurrate da Leonard Cohen (la prima incorniciata da una melodia malinconica che sarebbe piaciuta molto a John Denver). Il tono dolce, delicato e sognante del primo Donovan pervade Sorrow Reigns. E Glad You're Here with Me ricorda un po' la Blowin in the Wind di Dylan.
Dall'altro, Pajo è un maestro del dettaglio musicale e del mascheramento, servendosi di arrangiamenti minimali per dilatare le sue melodie in ogni direzione: gli strani riverberi della chitarra accrescono la bellezza di Beloved Woman (degna dei Luna), il piano compone la ninnananna medievale di The Lass of Roch Royal, e una piccola orchestra da camera esegue Northwest Passage, lo splendido finale del disco, quasi un inno.
Sebbene le canzoni costituiscano la sostanza del'album, Pajo ci diletta ancora con alcuni brani strumentali. Centrate sul suo strimpellio subliminale, che prende tanto dalle tecniche dell'avanguardia quanto dagli stili fingerpicking del country, la surreale, tremolante Krusty, e Tamu, impregnata di organo, accennano a questioni metafisiche che neanche i testi eruditi di Pajo riescono ad esprimere adeguatamente con le parole.
Ma la dimostrazione più significativa dell'acume tecnico di Pajo arriva con il raga psichedelico Sabotage, la traccia più lunga del disco e quella meno incentrata su una melodia. Qui si può capire come Pajo abbia veramente trovato la sua "voce" su molteplici livelli. Questo disco è dove il post-rock e l'alternative country si uniscono e formano qualcosa di nuovo, che è sia tradizione sia sperimentazione, confessione e visione.
L'EP Songs of Mac Performed By Papa M (Western Vinyl, 2002) contiene due lunghe "canzoni", da annoverare fra le sue cose migliori.
L'antologia Hole of Burning Alms (Drag City, 2004) raccoglie tutti i singoli accreditati agli M, più alcune rarità del periodo 1995-2000. Il primo singolo di Pajo con il nome di M è il tremolante post-rock strumentale Napoleon (Drag City, 1995), con Ray Rizzo alla batteria, due chitarre e un basso, affiancato dallo strumentale slo-core Safeless. L'ipnotica Vol De Nuit, un duetto fra Pajo e Rizzo, è contenuta nel singolo In The Thirteenth Letter (All City, 1996), e ha una pigra attitudine country. M Is (Drag City) contiene Wedding Song No 3, che dà libero sfogo ad un saturo crescendo marziale, mentre Mountains Have Ears è un bozzetto alla Brian Eno con un ritmo elettronico. Nel frattempo, M è diventato un progetto solista di Pajo. October (Drag City) torna alle contorte tessiture post-rock (Vivea). Travels in Constants (Temporary Residence) è un altro esperimento con ritmi techno.
Pajo (Drag City, 2005) prosegue il cammino di Pajo verso una figura di cantautore tradizionale. High Lonesome Moan, Manson Twins, Baby Please Come Home puntano sempre più l'attenzine verso la psiche dell'autore, più che verso la sua visione estetica, ed è un peccato, perché di Pajo ce n'era uno solo, mentre di cantautori che imitano Nick Drake ce ne sono fin troppi.
1968 (Drag City, 2006) fu un altro lotto di canzoni lineari, snelle e convenzionali. Come cantautore, Pajo si distingue solo quando fonde perfettamente storie oscure e atmosfere celestiali (Cyclone Eye, Who's That Knocking, Wrong Turn).
Scream With Me (Black Tent Press, 2009) di Dave Pajo era una raccolta di cover acustiche di canzoni dei Misfits.
Nel 2015 Pajo ha tentato il suicidio (dopo averlo preannunciato sul suo blog personale) e poi è quasi morto in un incidente in moto.
Ha resuscitato il soprannome di Papa M per il mini-album da 27 minuti Highway Songs (Drag City, 2016) e per A Broke Moon Rises (Drag City, 2018), che contiene solo cinque canzoni. Entrambi sembrano raccolte di esperimenti (un po' criptici) in direzioni diverse. Il secondo di questi album contiene quelli più lunghi, entrambi gli assoli di chitarra acustica, la vivace danza popolare da otto minuti A Lighthouse Reverie e la sconsolata e anemica Spiegel im Spiegel, di 13 minuti. Sono la versione post-rock delle fantasie trascendentali di John Fahey. La musica di Papa M è diventata non tanto "oscura" bensì minacciosa e imperscrutabile, pur essendo fragile.
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