- Dalla pagina su Lisa Germano di Piero Scaruffi -
(Testo originale di Piero Scaruffi, editing di Stefano Iardella)
In breve:
Una delle voci più toccanti del decennio è stata quella di un'umile violinista dell'Indiana: Lisa Germano (Mishawaka, 1958). I suoi album erano paragonabili al finale straziante di un thriller. Più che canzoni, gli elementi accuratamente assemblati di On The Way Down From Moon Palace (1991) erano umili concerti a cavallo tra country, musica classica e new age. Le sue melodie malinconiche ricordavano il Canone di Pachelbel e l'Adagio di Albinoni, mentre l'ambientazione strumentale era una lezione di psicologia. Happiness (1993) "universalizzava" il suo dolore, ma lo faceva anche scendere di un livello nel suo inferno personale, dove passato, presente e futuro si fondevano nel suo debole e confuso flusso di coscienza. Geek The Girl (1994) era sia un autoritratto che un concetto allegorico. Era sia un diario epico di insicurezza che un viaggio dantesco nella psiche di una ragazza. Fu la sua opera più suggestiva, ma anche quella più personale. Nel raccontare la storia della sua storia, e nel farla diventare la storia di tutte le storie (di donne), compì il miracolo di una semplicità al limite della follia. La maestosità dello sconforto degli episodi funzionò come il dolore estenuante di un lungo funerale. Nel processo, Germano rievocò gli incubi più lugubri di Nico e le favole più tristi di Leonard Cohen. Le sue canzoni erano diventate puri brividi esistenziali. Excerpts From A Love Circus (1996) vide la luce in fondo al tunnel, sebbene la scena fosse ancora sfocata. Lasciandosi alle spalle gli eccessi claustrofobici degli album precedenti, Germano entrò in un paesaggio meno inquietante. Più che soliloqui, queste canzoni suonavano come dialoghi tra la sua toccante voce e il suo violino spettrale. Ma l'interludio romantico si concluse con l'intensità maniacale di Slide (1998), un ritorno a quella terra desolata interiore che arrangiamenti sempre più eccentrici paragonavano al Paese delle Meraviglie di Alice.
Dopo quattro anni di silenzio, Lullaby For Liquid Pig (Ineffable, 2002) rappresenta un taglio netto col passato. Questa volta i lamenti sussurrati della Germano sembrano eccessivamente fragili ed eterei (Nobody's Playing, Pearls, Dream Glasses Off, Lullaby for Liquid Pig) e difettano di melodia. Le cose migliorano un po' con l'allucinata e distorta Liquid Pig, che sembra un colpo visivo tra una violenta fitta di nevrosi, e l'aliena Lies Lies And Lies. Le melodie non sono il punto di forza di quest'album, ma almeno tre canzoni sono memorabili per la loro orecchiabilità il tremante inno Paper Doll, (archi, harpiscord), la ninnananna da music-box Candy e la tenera It's Party Time.
Per i suoi standard veramente alti, In the Maybe World (Young God, 2006) è un album facile e senza pretese. Germano dispensa con la sua capacità di creare un senso claustrofobico di psicodramma, e riattestandosi su una nuova posizione, l’elegia basata su pianoforte in stile Joni Mitchell.
Sola con il suo pianoforte, però, dà spesso l'impressione di una prolissa e sgradevole fallita invece di quell'angelica anima smarrita che sembrava dieci anni prima. La ragione è molto semplice: la musica è immensamente inferiore. Non appena la musica manca di ogni potere evocativo, i testi perdono anche del loro potere emozionale. Molte canzoni sono meno lunghe di tre minuti, e solo una è più lunga di quattro. Questo probabilmente rivelava quanto (poco) Germano avesse da dire.
Germano è regredita al formato del lieder da camera per archi e pianoforte su Magic Neighbor (Young God, 2009). Il risultato è evanescente e traslucido in Snow, tintinnante e incantato in Painting the Doors, ma l'eccesso sinfonico di To The Mighty One mostra chiaramente i rischi che corre un musicista non classico quando si imbarca in arrangiamenti orchestrali.
Il pezzo migliore è A Million Times, una ninna nanna alla Donovan in un ambiente eccentrico di chitarra e rumore.
Ci sono diverse deviazioni eccentriche, dal canto demenziale Suli Mon alla danza popolare guidata dal pianoforte Kitty Train.
No Elephants (2013), un concept sulla relazione tra natura e tecnologia, è una raccolta di umili ballate per pianoforte che a volte utilizzano suoni della natura e talvolta suoni della tecnologia con risultati contrastanti. Sia l'idea che la realizzazione sono troppo fragili per equivalere a vera musica. Si possono salvare Last Straws For Sale e No Elephants che, con arrangiamenti migliori, avrebbero potuto essere toccanti meditazioni, e Strange Bird, dove toni di chitarra e un telefono che squilla duettano in una mimica surreale.
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