- Dalla pagina su Neneh Cherry di Piero Scaruffi -
(Testo originale di Piero Scaruffi, editing di Stefano Iardella)


(Tradotto da Stefano Iardella)

Neneh Cherry è diventata una pop star in Europa con Seven Seconds (1994), un duetto con il "fenomeno" africano Youssou N'Dour. Di conseguenza, Man (Virgin, 1996) è l'album di una cantante pop-soul nella tradizione di Celine Dion e Mariah Carey. E, come da consuetudine con questo tipo di pop star, i brani migliori sono le cover. Il resto sono ballate lente e suggestive, che non mancano mai di conquistare il pubblico più facoltoso, come ben sa ogni cantante di second'ordine di Las Vegas.

Tornata in Svezia, la Cherry ha collaborato con i The Thing, ovvero il trio free-jazz composto da Mats Gustafsson (sax), Ingebrigt Haker Flaten (contrabbasso) e Paal Nilssen-Love (batteria), per The Cherry Thing (2012), il suo primo album in 16 anni. Aiutato da una scelta eccezionale ed eclettica di cover, che includono Dream Baby Dream dei Suicide, Too Tough to Die di Martina Topley-Bird (famosa per i Tricky), Accordion di Madvillain, What a Reason di Ornette Coleman, Golden Heart di Don Cherry e Dirt degli Stooges, riesce a mettere in mostra le sue abilità vocali come raramente era successo prima.

Blank Project (2014) sarebbe il suo primo album "solista" in 18 anni, tranne per il fatto che non è chiaro cosa abbia effettivamente fatto Neneh Cherry, oltre a cantare: prodotto da Keiren Hebden degli Four Tet, arrangiato dal duo di sintetizzatore e batteria RocketNumberNine (i fratelli Ben e Tom Page), e scritto insieme a suo marito, il produttore Cameron McVey.
L'atmosfera generale è calma, con Spit Three Times che suona quasi vivace al confronto.
Il crudo glitch-jazz-pop elettronico 422 è emblematico di quanto fredda e distante sia l'atmosfera, per la maggior parte. Out of the Black è un duetto infantile con Robyn, che sembra completamente fuori contesto.

Broken Politics (Smalltown Supersound, 2018), nuovamente prodotto dai Four Tet, continua a mostrare il personaggio da lei scelto di intellettuale sofisticata, tramite canzoni a bassa energia e attentamente architettate. Hebden crea il suono claustrofobico di Natural Skin Deep, con un sintetizzatore stridente e una batteria d'acciaio. Un dulcimer martellante alimenta la danza sincopata di Fallen Leaves, e i flauti si librano intorno a Slow Release come delle mosche. Lo strascicato hip-hop Shot Gun Shack (anche una delle melodie più eleganti) è impreziosito da una pausa di percussioni acquose. La suspense di Black Monday è scolpita da una combinazione di xilofono, archi e triangolo. Questi delicati tocchi sonori mantengono vivo l'album, ma offrono poche emozioni. D'altro canto, un senso di intimità pervade la debole e setosa Kong (con un make-up dub di Robert Del Naja dei Massive Attack) e la delicata Synchronised Devotion (che è anche un duetto tra il pianoforte e il vibrafono di Karl Berger).


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