Steve Albini, Big Black, Rapeman
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Big Black: Lungs (1983), 7/10 (EP)
Big Black: Bulldozer (1984), 7/10 (EP)
Big Black: Racer-X (1984), 5/10 (EP)
Big Black: Atomizer (1985), 8.5/10
Big Black: Hammer Party (1986), 7/10 (comp)
Big Black: Songs About Fucking (1987), 7/10
Rapeman: Budd (1988), 7/10 (EP)
Rapeman: Two Nuns And A Pack Mule (1989), 8/10
Shellac: At Action Park (1994), 8/10
Shellac: The Futurist (1997), 5/10
Shellac: Terraform (1998), 6/10
Shellac: 1000 Hurts (2000), 5/10
Shellac: Excellent Italian Greyhound (2007), 5/10
Shellac: Dude Incredible (2014), 4.5/10
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Summary.
Among the many musicians who tried to set the apocalypse to music, Steve Albini has certainly been one of the most effective. Borrowing from Killing Joke's cadaveric dirges, from the Pop Group's syncopated spasms, from Suicide's psychotic rituals, from Red Krayola's demented psychedelia, Albini consistently approached rock music as a victim to be vivisected, mangled, corroded with muriatic acid and nailed to the cross. His first project, Big Black, debuted with two age-defining EPs, Lungs (1983) and Bulldozer (1984), that focused on the musical equivalent of repulsive violence. Rather than a collection of songs, Atomizer (1985) was a sequence of shockwaves of industrial music, hardcore, heavy-metal, and horribly deformed rock'n'roll. In a stunning chaos of polyrhythms and dissonances, Albini told his macabre stories of deranged minds. The overall effect was similar to the suspence of a murder thriller (of a serial-killer thriller). Rapeman, which featured Scratch Acid's rhythm section of Rey Washam and David Sims, added two new monsters to his discography: the EP Budd (1988) and the album Two Nuns And A Pack Mule (1989), another orgiastic, dissonant vision of his blackest part of the human soul. Shellac, with Rifle Sport's drummer Todd Trainer and Volcano Suns' bassist Bob Weston, was almost a reflection on Albini's own career, as if he were trying to make sense of his own journey through the land of the damned. Cold and cerebral, At Action Park (1994) was the ultimate contradiction: rational irrationality.


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Steve Albini (classe 1962, Pasadena, California, figlio di immigrati torinesi) è il leggendario leader di Big Black e Rapeman, due dei gruppi più estremisti degli anni '80, con cui realizzò alcuni dei capolavori della musica rock.

Era un critico musicale di Chicago quando, ispirato dai Naked Raygun, decise di pubblicare in proprio l'EP Lungs (Ruthless, 1983), registrato un anno prima, usando lo pseudonimo Big Black. A risaltare è soprattutto l'umore di questa musica bruttissima, un umore depresso e fatalista, in linea con il pessimismo che dilagava fra i giovani della sua generazione.
Su uno spartano battito funk-sintetizzato della rhythm-box, Albini conduce sarabande grottesche con variazioni minime che ricordano tanto i Public Image Ltd quanto i Suicide: la danza industriale per ritmi metallici assortiti di Live In A Hole, il mini-concerto per fuzz e distorsioni di I Can Be Dead, la più violenta e sincopata Crack e su tutto la marcia funerea di Dead Billy, con canto omicida, filtrato e riverberato, e liriche da brivido. L'accompagnamento sono praticamente soltanto la chitarra scordata e un'umile rhythm-box artigianale. Il sound è radicato nella tradizione della new wave, ma è saturo di nevrosi punk-rock.

Per il secondo EP, Bulldozer (Ruthless, 1984), in seguito unito al precedente su Hammer Party (Homestead, 1986), Albini assume un chitarrista (Santiago Durango) e un bassista (Pezzati dei Naked Raygun) e trasforma quello pseudonimo in una band. Se le forme base rimangono il funk omicida di Pigeon Kill, ancora su cadenze industriali, e la cupa ballata robotica a ritmi cingolati di Jump The Climb, Albini sembra anche voler sperimentare un uso innovativo degli strumenti in costrutti armonici convenzionali, come dimostrano la "slam dance" assatanata di Texas, a passo di tamburo in crescendo, e l'incalzante tribalismo di Cables, con assoli stridentissimi di chitarra alla Mayo Thompson. Un primo maturo risultato è I'm A Mess, sorta di voodoobilly demoniaco alla Alan Vega. Le liriche sono le più violente, volgari, criminali, naziste, razziste, omofobiche. Il tono generale di tribalismo ossianico e di rituali osceni apre nuove frontiere al "funk-punk" d'autore dei Killing Joke.

Il loro funk industriale si consolida sul terzo EP, Racer-X (Homestead, 1984). Albini completa la sua maturazione in Ugly American, un brano dalla ritmica esplosiva. Dave Riley è subentrato al basso. L'ultima prova preparatoria è il 45 giri Il Duce, dedicato a Mussolini.

Lo stile selvaggio e repellente messo a punto con quegli EP divenne sull'album Atomizer (Homestead, 1985) un diluvio di cannonate. Il progetto Big Black traspone la violenza e la frenesia del più devastante hardcore e la spaventosa forza d'urto dell'heavy metal più macabro e criminale in un caos stordente di poliritmi brutali e orge cacofoniche alla Chrome.
Nell'epilessi tuonante di Jordan Minnesota il ritmo industriale viene propulso a velocità supersonica e squarciato prima da urla di guerra pellerossa e poi da scudisciate di chitarra distorta, con improvvise fratture di tempo che accentuano l'atmosfera di suspence. La galoppata sfrenata di Passing Complexion è ottenuta con un violento effetto elettronico ripetuto in maniera psicotica, mentre Albini delira feroce e logorroico, la chitarra viene torturata maniacalmente e la rhythm-box mitraglia un secondo rapidissimo battito meccanico. La vertiginosa danza tzigana della chitarra in Big Money introduce il martellante refrain di Kerosene. Questo, che rimarrà il suo capolavoro, è un concentrato paranoico e caotico di percussioni metalliche, linee di basso funky, ritmi cingolati, megawatt scorticati e feedback assordanti che accumula tensione e climax fino ad esplodere nel vibrante trillo da lama d'alluminio del ritornello alla Joy Division, mentre Albini urla "Set me on fire" con il tono di una Giovanna d'Arco del punk e le chitarre strillano in fiamme d'agonia; per poi riprendere da capo nel più infernale e sincopato clangore.
Non meno apocalittica, Bad Houses è scossa da tremendi colpi che risuonano come campane a morto, e lacerata da un cupo motivo di chitarre. Una scia di feedback da jet supersonico lancia l'ossessivo riff di chitarra a ritmo cingolato di Fists Of Love, un altro dei vertici dementi del suo rock al plastico. In brani come Stinking Drunk gli stati mentali più allucinati vengono riprodotti da riff abnormi ed immani, scagliati contro un muro di poliritmi risonanti; una figura tenebrosa ripetuta dal basso rifinisce poi l'atmosfera di terrore. Albini genera i brani sovrapponendo pochi ma assordanti idee di come fare rumore in rock, ciascuna esasperata da una brutalità disumana e dal contrappunto con le altre. La travolgente cadenza da locomotiva di Bazooka Joe, per esempio, è rinforzata da una serie di potenti e dirompenti pattern di chitarra. Albini tende a sfruttare idee semplici, come i feedback e i clangori industriali, ma è meno barbaro e ovvio di quanto sembri: a propellere Strange Things sono il minimalismo alla Branca delle chitarre e il clapping.
Il clima claustrofobico creato dalla musica sottende depravazione, nichilismo, crimine. Una galleria di bruti, piromani, macellai, voyeur si fa largo nell'altrettanto mostruoso tornado di cacofonie sub-umane, vocalizzi infernali e tribalismi primordiali.

L'EP Headache (Touch And Go, 1987) segna un passo indietro: My Disco, concerto per detonazioni in cascata, comizi di voce metallica e fendenti di chitarre scordate, Grinder, sorta di monumentale heavy metal iterato con ferocia minimalista, e soprattutto Readymen, una ballata a ritmo frenetico immersa in un tornado continuo di distorsioni chitarristiche, trasformano l'arduo metodo in "maniera" più banale.

L'album Songs About Fucking (Touch And Go, 1987) non annovera così un capolavoro come Kerosene. Il suono è meno poliritmico e più abrasivo. A dominare è il timbro stridulo e metallico della chitarra di Albini. Attenuato l'impeto dinamitardo, L DOPA, dove metallurgie di fabbrica si fondono al thrash punk, e Precious Thing, un horror-funk esagitato, si rifanno ai modelli inglesi di Gang Of Four e Public Image Ltd. Quando quel chitarrismo sfrenatamente stonato si incrocia alle evoluzioni del basso, prominente e sempre mobilissimo, scaturiscono rock and roll d'impatto esplosivo come Colombian Necktie. Il basso domina con i suoi gargarismi geometrici la danza industriale di Kitty Empire. Le percussioni dilaniano invece Ergot, prima con ritmo da samba delle palafitte e poi con il solito clangore da fondo scala. Ancora devastanti cadenze da mezzo cingolato in Kasimir, riff di scordature disumane in Fish Fry e atmosfere apocalittiche alla Joy Division in Tiny King Of The Jews. L'album testimonia l'intenzione di progredire verso una canzone "rap-funk-punk" più ragionevole, ma Albini decreta la fine dell'esperienza Big Black.

Albini non perde tempo e dà vita ai Rapeman, schierando al suo fianco Rey Washam e David Sims degli Scratch Acid. I Rapeman si presentano subito come volgari e degenerati rocker-spazzatura. Abbandonati i ritmi sintetici, ma non gli atteggiamenti provocanti, Albini si affida al suono tagliente della sua chitarra e conia una personale versione dissonante di garage-rock sull'EP Budd (Touch And Go, 1988). La catalessi metallica e lisergica (alla Sonic Youth) di Budd, il baccanale orgiastico iper-dissonante di Superpussy e il muro di distorsioni cingolate di Dutch Courage (sempre con una violenza spaventosamente monumentale e torbide liriche urlate a squarciagola) segnalano in realtà un sound più psicologico che teppista.

L'album dei Rapeman, Two Nuns And A Pack Mule (Touch And Go, 1989), è sì ancora un concerto per scordature metalliche assordanti di chitarra, poliritmi martellanti e urla sgolate, ma levigato e astratto da un processo intellettuale che è la negazione del progetto Big Black. Dal tribalismo barbaro di Kim Gordon e di Marmoset attraverso le torrenziali eruzioni di Steak And Black Onions, Upbeat e Hated Chinese fino ai riff azzannanti di Coition Ignition Mission e Radar Love Lizard si assiste comunque a un altro tripudio degli istinti selvaggi.
Dedito a una cronaca orrifica della violenza perversa della vita di provincia e dell'olocausto latente, Albini aveva forgiato un folk dell'era nucleare attingendo al delirio sconnesso di Nick Cave, al trovadorado elettronico di Alan Vega, alle melodie cadaveriche dei Joy Division, ai pandemoni sincopati del Pop Group, alla psichedelia demenziale di Mayo Thompson e a tante altre voci intransigenti, profane e trasgressive del rock. Ma fra le sue fonti di ispirazione occorre certamente aggiungere anche i discorsi di Adolf Hitler e i panzer della Wermacht e, in generale, tutta un'inquietante iconografia para-nazista.

A quel punto Steve Albini si era ritirato dalle scene in segno di protesta contro l'industria discografica, limitandosi all'attività di produttore. Nel 1994 ritorna sulle scene alla testa degli Shellac, ovvero Todd Trainer (dei Rifle Sport) e Bob Weston (ex Volcano Suns). I singoli Rude Gesture (Touch & Go, 1993), con Billiard Player Song, Uranus, con Doris e Wingwalker, e The Bird Is The Most Popular Finger, con Admiral, mettono subito in luce che l'intelligenza negativa di Albini non ha cambiato opinione sul mondo, ma ha trovato un modo più razionale di esporla. Sono brani, come quelli di Big Black e Rapeman, la cui forma è tutta funzione della tensione psicologica, ma questa volta si tratta di una funzione ancor più interiore, ancor più profonda, ancor più criptica. L'album At Action Park (Touch & Go, 1994) è in tal senso l'opera più sofisticata della carriera di Albini. Certamente la più claustrofobica.
Per chi si fosse dimenticato il sound abrasivo e catastrofico dei Big Black, basta l'attacco dissonante di chitarra di Black Ass a rimettere le cose a posto: per una decina di secondi Albini tritura senza pietà lo strumento, come il peggiore dei macellai, con una serie di scosse sismiche da fine del mondo. Il tono, alterato e affannato, del racconto che segue è un po' il tono di tutto il disco, percorso da un'angoscia terribile, dinamitato dagli spasimi atroci di un'anima in pena, svenato da un continuo collasso cardiopsichico.
Tutt'altra cosa è lo strumentale Pull The Cup, in cui le asprezze del sound vengono mitigate da uno svolgimento lineare e incalzante, che ricorda le suite del progressive-rock, con persino un tema melodico che affiora dalle sgraziate deambulazioni di Albini. Anche A Minute, all'insegna di un boogie mal mimetizzato, comprime tutta l'energia di cui sono capaci questi tre terroristi del rock in un formato più accessibile.

Sono in effetti le magistrali doti "sceniche", di "regista", del genio di Missoula che conferiscono ai brani il loro potere suggestivo, la loro carica di pathos. Esemplare come, dopo una lunga fase di suspence creata da un folle tribalismo di Todd Trainer, le scudisciate in cascata della chitarra squartino Crow, creando un irresistibile crescendo emotivo, e come un gelido minimalismo apra la coda, per farla esplodere in un groppo di accordi e urla drammatici. Scavando fra le pause, disarticolando il suono in maniera quasi cubista, in brani come Dog And Pony Show, che sono accumuli disordinati di frammenti musicali, Albini riesce a produrre stati mentali che sono prima di tutto stati di allucinazione. E la recitazione a mezza voce di The Idea Of North non appartiene forse più al teatro che alla musica? Non mi stupirei se da grande Albini scrivesse un'opera.
Uno strimpellio stridulo e febbrile funky e samba funge da ouverture per il riff monotono che accompagna il delirio di Song Of The Minerals: qualche ottava più sotto, una ritmica leggermente più ordinata, e saremmo in area Pere Ubu, a testimoniare che esiste una linea genealogica del rock demenziale.
Admiral e Dog And A Pony Show sono i brani che più si riallacciano al passato di Albini.
Il disco si chiude con un altro brano prevalentemente strumentale, Il Porno Star, questa volta un tributo un po' astratto all'abilità strumentale del trio, indubbiamente degno dei jamming più creativi tentati in ambito rock. È il brano che toglie gli ultimi dubbi: il nuovo sound di Albini è lontano dalle atmosfere claustrofobiche dei Big Black e dei Rapeman, confina con quello delle nuove generazioni di artisti del rumore, siano essi gli Unsane o i Don Caballero, l'importante è che facciano rumore, e rumore cattivo.
La performance spettacolare del trio, che si trastulla con fasi di jamming sempre più acrobatico, con armonie sempre più ciclopiche, con accordi sempre più apocalittici, fa di questo disco anche un testamento dello stato dell'arte della musica rock negli anni '90.
Tutto assordante, scomposto, fuori misura, ma al tempo stesso calcolatissimo nelle sue minime mosse, questo disco nasconde la personalità luciferina di Albini dietro un sipario di nero assoluto. Albini è forse l'unico musicista rock che possa rendere il senso dell'assoluto moderno, non quello etereo e metafisico dei filosofi greci, ma quello torvo e perverso con cui si confrontano le ansie del nostro ateo evo.
Per chi crede che la musica sia innanzitutto una metafora, questo disco va promosso a inno del terzo millennio.

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Steve Albini returned to his own music in 1994, forming Shellac with ex-Rifle Sport drummer Todd Trainer and ex-Volcano Suns bassist Bob Weston. The Uranus and Rough Gesture singles served as preludes to the band's debut album At Action Park (Touch & Go).
For anyone who had forgotten the abrasive, catostrophic sound of Big Black, the true progenitors of today's noise-rock, all it will take is the dissonant guitar attack of My Black Ass to put you back in your place. For a dozen seconds, Albini grinds his guitar like a butcher without pity, creating an apocalyptic, seismic shake. The album's tone is pretty much set right here, alternately anguished, punished and on the verge of continuous collapse. Another matter altogether is the instrumental Pull The Cup, which exude sourness from the linear riffing, recalling a bit of prog-rock with a melodic theme that appears on the surface from Albini's graceless movements. A Minute, a badly camouflaged boogie, compresses all the energy of these three rock terrorists into a more accessable format.
It is Albini's skills as "director" that bestows Shellac's music its load of pathos. On Crow, after a long phase of suspense created by Trainer's insane, tribal drumming, the guitar lashes out thereby creating an irresistible crescendo, and seconds later a minimalistic coda explodes in a cluster of chords and terrifying screams. Digging between the pauses, where on songs like Dog And Pony Show the sound is almost cubist, all one can find are messy accumulations of musical fragments. Albini is able to construct mental states that border on hallucinatory.
And what of the recitation-style vocal on The Idea Of North? Doesn't it belong perhaps more to the world of theater than to music? I wouldn't be surprised if Albini one day writes an opera. A feeble, obsessive strumming bordering on samba and funk introduces the monotonous riff that accompanies the delirium of Song Of The Minerals: one octave lower, a rhythm slightly more orderly, and we would be in Pere Ubu territory, testifying to rock's undeniable genealogical heritage.
At Action Park closes with another largely instrumental song, The Porno Star. This time it's a little more abstract, and worthy of jamming more creative than what's normally tried in rock circles. It's this passage that removes the last doubts: Albini's new sound is far from the claustrophobic atmospheres of Big Black and Rapeman. It's more in line with what, at the time, was the new generation of noise-rock purveyors; Unsane, Don Caballero, that "do noise" and "do it loudly." The trio offers spectacular performances, amusing itself with plenty of acrobatic jamming, with harmonies more and more colossal, with chords more and more apocalyptic. It's very much an important album in the context of the '90s post-rock explosion.
All deafening, decomposed, impossible to measure and deliberate even at its slightest moments, At Action Park obscures Albini's personality behind a curtain of absolute black. He's perhaps the only rock musician that could make sense of modern reality, not the ethereal one, or the metaphysical one of the Greek philosophers, but the perverse world colored with our grim anxieties.

The Futurist (1997) is a limited-edition mini-album, conceived as a gift to a group of friends and not as a record product.

But Albini and his partners are distracted by too many projects. The subsequent Terraform (Touch & Go, 1998), recorded over five years, is an uneven, confusing, uncertain work. Certainly it is the record with the least grit and least abrasive of Albini's career. In the almost gothic whispered overture of Didn't We Deserve A Look At You (twelve minutes) the salient fact is the absence of Albini's guitar for almost the entire piece. This Is A Picture, Mouthpiece and Rush Job are all too intellectual experiments in expanding the song form. The long, exhausting psychodrama of House Full Of Garbage offers little that is musical. The record closes paradoxically with one of the most normal songs of Albini's career, Copper.

1000 Hurts (Touch & Go, 2000) does not improve over Terraform, it simply changes perspective. Instead of serving mainstream rock badly performed and dressed up like alternative rock, it indulges in the alternative side with the snobby attitude of a rock star. Carnaveral and Watch Song have the guts of the work of art, but they are merely rehearsals for an avantgarde composition that never materializes. From the abrasive Ghosts to the very dischordant Watch Song, Albini and company masturbate with riffs and tempos that are supposed to be the avantgarde, but that rarely interest anyone other than the players. We've heard this before, but when we heard it the first time it also had feelings. Squirrel Song is the closest they get to a closed statement, but it sounds like an unfinished imitation of Steve Albini's style. Listening to Prayer To God is like watching Picasso paint without ever seeing the final painting.

Abini, Trainer and Weston resurrected Shellac after seven years to record Excellent Italian Greyhound (Touch And Go, 2007). The shorter songs are merely routine by three masterful musicians and brains, no matter how intriguing the concept (Steady As She Goes). The two longer ones, The End Of Radio and Genuine Lulabelle (even sung by Albini a cappella) are intensely anomalous studies in alt-counterpoint and post-harmony.

Shellac's self-indulgent (even if brief) Dude Incredible (Touch And Go, 2014) had nothing of the band's greatness, none of their trademark extended workouts. Other than a sort of tribute to Henry Rollins' visceral gnarly menacing hardcore (Dude Incredible), an agonizing Tom Waits-ian skit (Gary), a half-baked punkish instrumental (The People's Microphone), and some Procol Harum-esque syncopated riffing in All The Surveyors, there is little to justify this album.

The double-disc The End Of Radio (2019) collects Shellac's 1994 Peel Session and the 2004 Peel Session.

Big Black's bassist Dave Riley died in december 2019.

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