- Dalla pagina sui Souled American di Piero Scaruffi -
(Testo originale di Piero Scaruffi, editing di Stefano Iardella)


(Tradotto da Stefano Iardella)

In breve:
A Chicago, tra il 1980 e il 1990, il roots-rock generò uno stile che corrispondeva alla musica country di Nashville trasposta nelle piccole camere da letto dei giovani disamorati nelle piccole città del cuore dell'America. I Souled American, formati dai cantautori Joe Adducci e Chris Grigoroff, con il chitarrista Scott Tuma, ispirandosi ai Camper Van Beethoven, scrissero uno degli album più lunatici dell'epoca, Fe (1988), uno stufato idiosincratico di country, blues, jazz, reggae e zydeco, eseguito ai ritmi pigri e letargici dei Cowboy Junkies. La stravaganza fu sostituita dalla destrezza tecnica in Flubber (1989), ma la lugubre letargia di Frozen (1994) e Notes Campfire (1997), entrambi erosi da lunghe tracce da incubo e jam strumentali essenziali orientate alla trama, reinventò il loro sound attorno alla chitarra di Scott Tuma.


(Testo originale in italiano di Piero Scaruffi)

Bio:
I Souled American del bassista Joe Adducci e del chitarrista Chris Grigoroff (entrambi cantautori originari di una cittadina di provincia dell'Illinois) fanno parte di una scuola di roots-rock intellettuale che prese piede a Chicago durante gli anni '80. Il gruppo prendeva forse lo spunto dalla operazione terroristica sul folk compiuta dai Camper Van Beethoven applicandola al country e al blues del profondo Sud, usando come detonatori elementi di reggae e di cajun e ammorbidendo la miscela con i tempi pigri dei Cowboy Junkies. Parte del loro repertorio consta di cover orrendamente deturpate, ma almeno Notes From The Campfire, sull'esuberante Fe (Rough Trade, 1988), Marleyphine Hank, su Flubber (Rough Trade, 1989), gravato da eccessi di arrangiamento, e lo strumentale Wildawg, sul più oscuro e psichedelico Around The Horn (Rough Trade, 1990), danno la misura della loro tecnica sacrilega e delle atmosfere malinconiche architettate da Grigoroff e dall'altro chitarrista Scott Tuma.


(Tradotto da Paolo Latini e Stefano Iardella)

I Souled American si fanno forse un po' troppo normali nel loro secondo capitolo, Flubber (Rough Trade, 1989). Le immagini dure lasciano il posto a esempi di destrezza tecnica. Per esempio, il blues All Good Things mostra un basso funk-jazz; e Drop In The Basket si rigira attorna ad un duello frenetico di basso e chitarra.
Comunque, Mar'boro Man, il tipo di racconto che un Tom Waits sobrio potrebbe tessere, la lenta e acida Zillion, e la funerea, psichedelica surf music di Marleyphine Hank (uno dei loro capolavori) testimoniano quei sacrilegi stilistici e quelle atmosfere malinconiche abilmente disegnati da Grigoroff e dal chitarrista Scott Tuma.

Il trasognante strumentale True Swamp è un esempio di pazzia che non avrebbe sfigurato sul loro primo album.

La strumentale Wildawg è il pezzo forte del più oscuro e psichedelico Around The Horn (Rough Trade, 1990), metà del quale è occupato da cover.

Sonny (Rough Trade, 1992), il loro ultimo album, contiene quasi unicamente covers, sebben rifatte con i loro standard demenziali.

La malinconia di questi ultimi lavori culminerà nella letargia lugubre di  Frozen (Moll, 1994) e Notes Campfire (Moll, 1997).
Il primo contiene due canti funebri di sette minuti, Lucky e Rain Delay, e tutte e nove le tracce sono originali.
Il secondo ha aumentato la sensazione che la terra desolata (Wasteland)americana sia una "terra devastata" (wasteland) americana, con brani lunghi come Flat, Waterdown e Deal.


(Tradotto da Walter Consonni)

Scott Tuma, che aveva lasciato i Souled American nel 1996, è anche un membro occasionale dei Boxhead Ensemble.

Il suo primo album solista, Hard Again (Truckstop, 2001), somiglia ad un remix ambient delle canzoni più angosciate dei Souled American. L'album, che per lo più è privo di accompagnamento (a eccezione di alcune percussioni dovute a Jim White dei Dirty 3), presenta nove brani strumentali che vanno dal breve bozzetto impressionista alla prolissa meditazione metafisica. Il brano di dieci minuti Beautiful Dreamer suona come un canto di Natale suonato ad un decimo della velocità e destrutturato proprio come Hendrix aveva destrutturato l'inno nazionale. Una simile operazione sfigura Midway e Hard Again, tranquille cantilene che sembrano tradire una nostalgica passione per l'ambiente delle fiere cittadine e dei concerti nei parchi. Qualcosa di più estremo della "distorsione" di una semplice melodia si verifica nella solenne e cadenzata March. Questa è arte cubista che prosciuga una canzone dalle emozioni, ma senza dissolversi mai in suoni puramente astratti. Persino le sfuocate nebulose di Jim White Drums e del brano che chiude l'album, Sermon, mantengono un nucleo melodico, anche se si espande in modo cosmic/ambient. Complessivamente, questo è un album molto originale, con un paio di picchi di creatività (in special modo il primo e l'ultimo brano).


(Tradotto da Paolo Latini)

I soli 36 minuti di The River 1 2 3 4 (Truckstop, 2003), di Scott Tuma, sono divisi tra quattro composizioni senza titolo per chitarra, armonica, organo e harmonium (tutti suonati dallo stesso Tuma).
Una tetra armonica à la Ennio Morricone irradia droni in un paesaggio svuotato da una chitarra atonale simil-koto. L'harmonium intona un inno solenne. la chitarra suona una delicata melodia lenta. Molto lenta. La seconda traccia è un kaleidoscopio di muri di armonica strappa-cuore e chitarre allucinate, finché, inaspettatamente, una vitale ninna nanna folk spunta dal nulla, e d'improvviso dona all'ascoltatore vibrazioni pastorali e bucoliche. Dopo un'estenuante "om" di organo, la quarta e conclusiva traccia libera una chitarra in una coda caotica e rumorosa. Ciascun pezzo è pieno di momenti mesmerici, ma la verità è che suonano più come un collage di idee che come idee pienamente realizzate.
Questo mini album non può gareggiare col capolavoro che fu Hard Again.


(Tradotto da Stefano Iardella)

Tuma's Not For Everyone (Digitalis, 2008) è un album di gran lunga inferiore rispetto agli standard di Hard Again e The River 1 2 3 4: dodici vignette domestiche, la più lunga da sei minuti, in particolare Eloper, New Joy e Rakes.

Dandelion (Digitalis, 2010) di Tuma è un lavoro confuso, che suona come una raccolta di avanzi o idee incompiute, con Free Dirt che ruba la scena a causa di un'atmosfera più cupa. La mini-suite Smallpipes non mantiene le promesse.

Il chitarrista fece meglio con la cassetta Peeper (Bathetic, 2010), che contiene una suite in cinque movimenti, Peeper, e il ronzante remix industriale Love Songs Loud and Lonely.


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