Dalla pagina di Piero Scaruffi
Gli Electric Wizard, una band heavy metal formatasi in Gran Bretagna dal cantante e chitarrista Justin Oborn (ex Eternal) nel 1993, si affermarono rapidamente come una delle band stoner più versatili ed eclettiche del decennio.
Electric Wizard (Rise Above 1995) fu una rivelazione: incubi super-heavy come Stone Magnet e Mourning Prayer (un po' troppo derivativi dei Black Sabbath), jam strumentali acid-rock come Mountains Of Mars, versioni stoner di jam melodiche Cream-iane come Devil's Bride e gli otto minuti di Black Butterfly. Lunghi monoliti di cupe meditazioni come i dieci minuti di Electric Wizards e la macinazione lenta dei nove minuti di Behemoth. La sacra triade dello stoner-rock (Black Sabbath, Blue Cheer e Hawkwind) era piegata a cerimonie blasfeme di totale nichilismo. Il risultato finale suona più vicino ai primi Swans che non all'heavy-metal.
Come My Fanatics (Rise Above, gennaio 1997), contenente sei lunghi pezzi, era ancora più potente (ancora più pesante, più noioso, più oscuro e più lento), un'ondata di suoni cupi. Mentre le canzoni del primo album si accontentavano di imitare i classici, Return Trip (10:03) riuscì a costruire un'atmosfera apocalittica attraverso la pura ripetizione con variazioni sempre più claustrofobiche, come se l'heavy metal avesse sposato il minimalismo di Steve Reich. Un elegante equilibrio di droni e riff (e canti) viene raggiunto in Doom-Mantia (8:49). Il suono della band si riversa nel territorio elettronico e astratto in due pezzi. Ivixor B/Phase Inducer (8:48) prende in prestito un'idea dai Sisters Of Mercy e si tuffa in un'atmosfera gotico-psichedelica di rumori sparsi. La strumentale Solarian 13 (8:00) suona come un loop di intricati pattern di chitarra su un ritmo costante visitato da astronavi intergalattiche.
Il singolo Chrono-naut (Man's Ruin, 1997) è una lunga suite che rimaneggia tutti i possibili stereotipi dello space-rock, dello stoner-rock e del doom-metal; Supercoven/Burnout (Bad Acid, 1998) offre un'altra mezz'ora di doom-metal psichedelico (questa volta un lavoro davvero originale).
Senza la minima concessione al mainstream, gli Electric Wizard tornarono con un album ancora più pesante e spaziale, Dopethrone (MUsic Cartel, 2000 - Rise Above, 2005), un puro sovraccarico di vibrazioni negative da cui eruttano nebulose malvagie di magma incandescente. Funeralopolis, di otto minuti, è fondamentalmente un blues sulla scia del primo album dei Led Zeppelin, molto più dinamico rispetto al loro lavoro precedente. Gli undici minuti di I The Witchfinder sono ancora più funebri, un lungo rituale di autoflagellazione. Gli undici minuti di Dopethrone erigono il muro di riff più intimidatorio, ma è anche il pezzo più prevedibile. I sedici minuti di Weird Tales consistono in sei minuti di riff insistenti seguiti da dieci minuti di droni distanziati. Lo spettro stilistico è più ampio del solito, spaziando dalla "vivace" Vinum Sabbati (una traccia minuscola per i loro standard, di soli tre minuti), a Barbarian, un canto agonizzante e moribondo su una melma massiccia e densa.
La
band che ha inventato questa sorta di stoner rock barocco ha realizzato con
l'impeccabile Let Us Prey (Music Cartel, 2002) altre sei lente e
soffocanti litanie. Il loro tradizionale suono può essere riassunto nella
formula del bagno di sangue super-doom di A Chosen Few e nei nove minuti
di Master Of Alchemy, scultura sonora di suoni malvagi, profondi e
oscuri.
I formidabili dieci minuti di Priestess Of Mars aggiungono melodia a
voce e chitarra. Night Of The Shape è un esperimento fallito con un
piano tinitinnante e una galattica chitarra-synth.
We The Undead d'altro canto è un rock and roll mastodontico, insolito
per loro nella sua furia e tempi veloci, e soprattutto il feroce baccanale di
nove minuti di The Outsider va ben oltre i limiti del genere.
Justin Oborn ricostituisce gli Electric Wizard con Justin Greaves alla batteria,
Rob Al-Issa al basso e Liz Buckingham come seconda chitarra ma We Live (Rise
Above, 2004) adotta un formato doom nonsense che rinuncia per gran parte alle
innovazioni del precedente album.
Witchcult
Today (Candlelight, 2007) vanta episodi più orecchiabili (Satanic Rites Of Drugula e Torquemada
71) e una Dunwich super-heavy ma poco altro.
Black Masses (Metal Blade, 2010) contiene i nove minuti strumentali di Crypt Of Drugula e poco altro di valido.
La band non è riuscita ad andare oltre i propri stereotipi, ma almeno i lunghi pezzi di Time to Die (2014) sono eseguiti con eleganza: Incense For The Damned (10:42), I Am Nothing (11:31), We Love The Dead (9:05), Lucifer's Slaves (8:40).
Wizard Bloody Wizard (2017) è stato un tentativo di ritornare allo spirito di Dopethrone ma con risultati incerti (See You in Hell, Hear the Sirens Scream, gli undici minuti di Mourning of the Magicians).