Dalla pagina sui Low di Piero Scaruffi: testo originale di Piero Scaruffi e traduzioni di Paolo Latini, Tobia D’Onofrio, Ferdinando Vella, Pierluigi Napoli,

(Testo originale di Piero Scaruffi)

I Low di Minneapolis (formati dal cantante e chitarrista Alan Sparhawk e dalla batterista Mimi Parker) hanno inventato uno stile ascetico piu` che minimale, l'equivalente rock dell'haiku giapponese o del mantra tibetano. L'umore e` quello depresso e inerte di Nick Drake, privato delle parole.

L'influenza dei Codeine e` ovvia sul loro EP d'esordio, Low (Summershine, 1994).

I Could Live In Hope (Vernon Yard, 1994) e` un album di pochi mezzi ma di grande effetto, ed e` un album quasi perfetto, undici canzoni che scorrono come altrettante poesie, suonate e cantate come in sogno. Words stabilisce lo schema che ricorrera` in gran parte della loro opera: accordi di chitarra languidi e tenui alla Cowboy Junkies, basso saltellante da cocktail lounge e una melodia radiosa alla Luna. Le canzoni si susseguono timidamente, senza apportare significative variazioni a questo schema: Fear, breve e spettrale come sarebbe piaciuto a Nick Drake; Lazy, annegata nei riverberi psichedelici della chitarra, che sembra un salmo religioso; Down, una ballata depressa che la chitarra incupisce alla maniera di Chris Isaak; Drag, una litania nevrotica nello stile di Neil Young; Sunshine, una ninnananna innamorata che sembra una vecchia canzone degli anni '50.
Una qualita` trascendente emerge da Cut, piu` cerebrale e un po' lugubre, quasi "mantrica" nella sua solenne concentrazione; dalla melodiosa Slide, la canzone della batterista Mimi Parker, cullata da rintocchi ipnotici; e soprattutto da Rope, una intricata jam di chitarra su cui il canto scivola in trance.
Lullaby di dieci minuti, a cui Alan Sparhawk affida le sue speranze di gloria, e` uno spiritual al rallentatore, un requiem funebre che si affloscia in un triste pianto di chitarra. La sua coda strumentale, in continuo crescendo, va pero` a lambire la memoria delle lunghe improvvisazioni raga-psichedeliche degli anni '60.
Molte di queste tracce sono canzoni di valore assoluto, che promuovono i Low fra i grandi poeti della musica rock.

La tranquilla malinconia di Long Division (Vernon Yard, 1995) fa leva ancor piu' sul minimalismo delle armonie strumentali, con il basso di Zak Sally ancorato manialcamente alla scala minore, i toni limpidi della chitarra di Alan Sparhawk a sospingere la melodia su un lago immobile, e le cadenze sonnambule di Mimi Parker (spazzole, non bacchette) a deformare lentamente la superficie dell'acqua.
Le armoniche subsoniche della chitarra e le cadenze da night club della batteria assoggettano le ballate a tema di Shame e Alone all'estetica subliminale dei Cowboy Junkies.
Il minimo catatonico di Turn e la lunga digressione passionale di Stay sono variazioni su quella depressione nervosa da incubo.
Ma il loro forte sta nell'usare quelle premesse per coniare un'arte di eccitazioni, non frustrazioni. Il crescendo impercettibile di See-through e' un saggio di come si possa costruire emozione dal nulla. Il bisbiglio di Parker fa accapponare la pelle nell'inno rinascimentale di Below & Above.
Le armonie vocali al ralenti` di brani come Throw Out The Line sono estatiche fino a lambire le preghiere tibetane: lui recita in trance un sortilegio e lei lo avvolge dei suoi gorgheggi ultra-dilatati. Il massimo della purezza dei toni viene raggiunta in Violence, a due passi dallo zen e dalla psichedelia. Oserei dire persino "ambientale", se esiste una musica ambientale per trio rock.
Pochi gruppi nella storia del rock (i Velvet Underground, i Doors, ?) hanno saputo ipnotizzare il pubblico di un concerto come ci riescono i Low (ne sono stato testimone). Piu' che fra i discepoli di Codeine e Seam, i Low si affermano fra i grandi maestri del rock atmosferico, insieme a Red House Painters, Galaxie 500, Mazzy Star, Idaho.

Dopo l'EP Transmission (Vernon Yard, 1995), che annovera anche una nuova versione di Caroline (da Long Division) oltre alla cover dei Joy Division, The Curtain Hits The Cast (Vernon Yard, 1996) scodella gli splendidi temi di Over the Ocean e The Plan Le piu` ardue Laugh, Coattails e Do You Know How To Waltz (quattordici minuti) aprono nuovi orizzonti, quasi ambientali, al loro rock atmosferico. I pozzi di desolazione di Anon e Mom Says sono bilanciati dai fili esili di emozione di Dark e Stars Gone Out. Il singolo Venus/ Boyfriends And Girlfriends (SubPop, 1996) completa il repertorio del primo periodo.

Songs For A Dead Pilot (Kranky, 1997), di soli 36 minuti e registrato in maniera casalinga, esplora gli aspetti piu` sperimentali del precedente. Il clou dell'opera e` Born By The Wires (tredici minuti), un ralenti` esasperato che costituisce quanto di piu` prossimo al silenzio sia mai stato orchestrato, un accordo dopo l'altro attentamente studiati al microscopio, sempre piu` radi, sempre piu` riverberati, fino a sembrare campane suonate a morto, qualcosa che fa pensare a un Tim Buckley in punto di morte. La musica da camera per violoncello a tempo funereo di Condensed e la ballata spaesata di Landlord costituiscono esperimenti meno riusciti in direzioni opposte. Gorghi di droni (Will The Night) e pulsazioni esoteriche (Condescend, erroneamente intitolata Be There) completano il quadro di un'ardua ricerca sul suono che sta portando i Low lontano dalle premesse del pop amatoriale di un tempo, forse snaturandone un po' il talento.

I Low hanno dato nuovo significato al rock lento e intimista, a quel genere che e` un po' l'antitesi del rock. Esaltando la proprieta` del suono e del canto e ridimensionando la proprieta` del ritmo e del riff, rinnovando la grammatica musicale della depressione morale, dello scavo psicologico, del collasso emotivo, i Low hanno riscoperto le piccole gioie dei poeti, quelle di scavare nella tristezza dell'animo umano.


(Translation by/ Tradotto da Paolo Latini)

Owl Remix Low (Vernon Yard, 1998) va al di là del loro standard artistico e chiama a raccolta dei musicisti elettronici per remixare alcune delle loro canzoni.

Secret Name (Kranky, 1999) segue gli esperimenti di  Songs' e allarga la strumentazione con una sezione archi, pianoforte e timpani. La ballata frigida di I Remember e Weight Of Water annega in un lattice di note vuote. La "canzone" dei Low è musica da camera per emozioni che sfumano lentamente, che non sono mai state veramente sentite. Five Step è musica country per fantasmi (un duetto per voci decadenti, un tempo estremamente lento) e Soon (con un terrificante intermezzo strumentale) suona come una ninnananna per bambini mai nati. Ciò non vuol dire che la musica in se stessa sia scevra di emozioni. Tutt'affatto, le strutture musicali, fatte di insopportabili indugi e dilatazioni, nutrono e mantengono una densità di sentimenti che un ritornello ordinario si lascerebbe alle spalle in pochi secondi. I Low a volte hanno la stessa intensità di un rito chiesastico (Missouri) o di un requiem (Days Of Salvation, forse lo svenimento melodico più gentile della loro carriera).
Una manciata di canzoni mostrano una struttura già più convenzionale. Un falsetto Robert Wyatt-iano intona la soave litania alla Galaxie 500 di Starfire. Will The Night è puro pop orchestrale e Immune è virtualmente una ballata lounge.

D'altro lato, altre composizioni tentano di superare le pieces più sperimentali del passato. La più lunga, e più ambiziosa, Don't Understand, è una piece psichedelica basata su effetti elettronici, percussioni pulsanti e voci ipnotiche. Di maggor effetto sono le più brevi Home, che chiude l'album con un lamento pianistico mediorientale e Lion
Meno glaciale e meno desolato dei loro album precedenti, questo lavoro abbandona il limbo esistenzialista, Il monastero buddhista dove la band ha passato i suoi anni formativi, senza però sacrificare alcuna credenza, ewd entra in un mondo fatto di vita reale.

L'album Christmas (Tugboat, 1999) è solo un pretesto per assemblare delle rarità e delle cover. Long Way Around The Sea rappresenta la quintessenza dei Low, ma If You Were Born Today (uscita su singolo nel 1988) ha un piglio fortemente meolodico e Just Like Christmas è così upbeat che sembra un revival dei Sixties.


(Testo originale di Piero Scaruffi)

Dal punto di vista strettamente tecnico (composizione, produzione, orchestrazione, esecuzione), Things We Lost In The Fire (Kranky, 2001) e` il disco piu` "riuscito" dei Low. "Riuscito" non significa necessariamente "creativo", ma significa che qui Alan Sparhawk e Mimi Parker esprimono piu` compiutamente che altrove la loro ideologia artistica. Le canzoni sono meglio strutturate che mai, i ritornelli sono canticchiabili se non orecchiabili, la batteria e` in primo piano, e l'arrangiamento e` elegante e grazioso. Gli elementi della loro presentazione armonica che non erano user-friendly sono stati rimossi. Il lato negativo di questa operazione di facelift e` che le melodie utilizzate dai Low appartengono alla musica leggera piu` arcaica. "Medicine Magazines", per dirne una, si addormenta in volute di easy-listenning anni '50, salvo poi redimersi con una treccia di delicate figure pianistiche. Altri motivi si ispirano alle ballate folk e alle filastrocche per bambini. "Sunflower" e` una delle loro canzoni piu` accessibili di sempre, grazie a una semplice melodia a due voci, batteria incalzante e strimpellio ipnotico. Questi pezzi relativamente immediati sono arricchiti da brusche deviazioni di orchestrazione, come (in quest'ultima) la melodia di violoncello opposta a un drone di violino che prepara l'ingresso del piano. Allo stesso modo, la ballata marziale e distorta alla Neil Young "Dinosaur Act" acquista una nuova dimensione quando una tromba funerea trasforma il finale in una piccola apocalissi. Ancor piu` orecchiabile e` July, forse di armonie vocali alla Jefferson Airplane che salgono e scendono, propulse da un ritmo solenne e salutate da una processione di tastiere elettroniche. Insomma, un pregio fondamentale dei Low e` l'abilita` di colorare i loro quadri di una strana luce metafisica. L'altro grande pregio e` la voce di Mimi Parker. Parker e` maturata in tutti i sensi e spesso fa ricordare i voli psichedelici di Grace Slick, eccetto che i suoi sono imbevuti dell'austerita` compassata delle monache. A volte il suo canto azzecca un ibrido suggestivo di Tim Buckley e Margo Timmins (Cowboy Junkies). Non a caso "Laser Beam", con il solo accompagnamento di timbri di chitarra, e "Embrace", scandita da un tamburo Morriconiano e animata da un violino epico, insieme al mantra "Whitetail" di Sparhawk, costituiscono la punta "spirituale" dell'iceberg. Il ciclo si completa con un gruppo di canzoni dai toni folk (fra cui "Closer" e "In Metal") che riportano a un mondo meno metafisico e piu` terreno. La sezione centrale dell'album e` quanto di piu` intenso abbiano registrato, al limite della musica classica occidentale e orientale. C'e` qualcosa di assoluto nei voli di Parker sui cimiteri sonori di Sparhawk.


(Translation by/ Tradotto da Paolo Latini)

Insieme ai Dirty Three i Low hanno registrato un capitolo della In The Fishtank (Subpop, 2001), cinque cover di Neil Young (cinque corte e una lunga). Se I Hear Goodnight sono semplicemente i Low con Warren Ellis al violino, When I Called Upon Your Seed è una gemma country. Comunque, l'album non è tra i più importanti né per i Low, né per i Dirty Three. 

La perfezione formale di Trust (Kranky, 2002) è strabiliante, entro il regime di emozioni docili e di strumenti smorzati che il gruppo stesso si è autoimposto.
Canada è un capolavoro di sottile metamorfosi, fondendo i riff del più pesante hard-rock, i bassi pesi del funk-jazz, la solarità del folk-rock Byrds-iano i e beat psicotici di Velvet Underground-iana memoria.
Candy Girl è un incubo di una ballata, che unisce musica funerea e un drumming che fa pensare ai nativi americani, il cantato che sembra una preghiera sciamana e, sullo sfondo voci e rumori sinistri. Ancor più rarefatta, con toni spettrali e psichedelici, è la filigrana di Tonight, di cui ogni nota esala un'essenza mistica e trasuda esperienze personali. I Am The Lamb è il logico picco di questa celata implorazione religiosa, un camuffamento spirituale, che raccoglie una pace marziale, e finisce per assumere le sembianze di una musica per cerimonie esoteriche.
Dopo aver pagato pegno al nume tutelare Neil Young con In The Drugs, i Low intonano uno strabiliante requiem per John Prine, che sembra, ancora, un funerale nativo-americano.
È segno di maturità che citino da così tante fonti nella storia della musica. Il valzer anemico di Amazing Grace è, appunto, la loro migliore imitazione di Chris Isaak che suona con i Cowboy Junkies. E, se i segni significano veramente quanto sostiene la semiotica, La La La Song non è una parodia, ma piuttosto una strizzata d'occhio alla musica di Neil Diamond, e  Point of Disgust gioca con le armonie vocali della musica folk come un lupo scava un buco per nascondervi le provviste per l'inverno.
La lunga Shots and Ladders che chiude l'album, appartiene agli inni free-form della psichedelia spaziale, fino a colegarsi con il David Crosby di  If I Could Only Remember My Name e il Tim Buckley di Starsailor. Le voci scivolano in un buco nero di droni di basso e rumori frugali, e vengono rifratti e moltiplicati e zittiti, e infine annegano in un maestoso vortice di suoni informi.
Al crescere degli ascolti, questo può benissimo essere il disco più cupo, più tetro, più "low" dei Low, una sorta di Tonight's the Night per la generazione slo-core. Un album che mostra anche le ampie latitudini che questo genere continua ad avere. Dilatando e tirando gli estremi dell'orizzonte, i Low sono riusciti a ridisegnare il panorama. (Translation by/ Tradotto da Davide Taschini)

In gran parte la magia Š svanita in "The Great Destroyer" (SubPop, 2005). Rispetto ai loro elevati standards qualitativi questa Š mera routine. I Low si sono presi una vacanza dal loro austero talento e si sono rilassati sulla spiaggia con i loro infantili ritornelli di California, Walk Into the Sea e (gasp) la misera ballata Just Stand Back. Stanchi di bisbigliare le loro sottili serie armoniche [*qui da verificare layers in che senso?] i Low hanno deciso di urlarle (rispetto al passato si intende) alle folle dei cerebrolesi che guardano Mtv come in Monkey, Everybody's Song e When I Go Deaf. Logorati dalla loro stessa paziente postura zen, scatenano le loro nevrosi con Silver Rider e On the Edge Of. I Low hanno trovato un compromesso tra il punk-pop e lo slo-core. Ci• li far… vendere in misura decisamente maggiorante rispetto ai precedenti album. Del resto le band al termine della loro parabola fanno proprio questo: passano all'incasso!


(Translation by/ Tradotto da Tobia D’Onofrio)

In The Great Destroyer (SubPop, 2005) la magia è per lo più svanita. Rispetto ai loro (elevati) standard qualitativi questa è mera routine. I Low si sono presi una vacanza dal loro austero talento e si sono rilassati sulla spiaggia con gli infantili ritornelli di California, Walk Into the Sea e (gasp) la misera ballata Just Stand Back. Stanchi di bisbigliare le loro penetranti stratificazioni armoniche, i Low hanno deciso di urlarle (sempre relativamente parlando) alle folle dei cerebrolesi che guardano Mtv, come in Monkey, Everybody's Song e When I Go Deaf. Logorati dalla loro paziente postura zen, mantenuta nel corso degli anni, scatenano le loro nevrosi con Silver Rider e On the Edge Of. I Low hanno trovato un compromesso tra il punk-pop e lo slo-core. Sicuramente ciò li farà vendere molto più di quanto non abbiano mai venduto i precedenti lavori. Del resto molte band al termine della loro carriera fanno proprio questo: passano all'incasso!

Solo Guitar (2006), di Alan Sparhawk, è una raccolta di brani narrativi letti in chiave leggermente psichedelica ed onirica. I diciotto minuti di How a Freighter Comes into the Harbor ed i tredici di Sagrado Coraz¢n de Jesu - Second Attempt impiegano un vasto arsenale (molto dinamico) di droni, dissonanze e riverberi che raggiungono un singolare compromesso fra Kawabata Makoto degli Acid Mother Temple, John Fahey e Main.

Drums And Guns (2007), con il nuovo bassista Matt Livingstone, è il loro requiem per la guerra in Iraq. Le tredici canzoni sono modeste, umili, aspre ed introverse. Ad eccezione di Hatchet (che è un power-pop secondo i loro standard slo-core) ogni canzone replica l’umore triste ed avvilito, fino all’apoteosi di Violent Past. Questa lugubre parata contrasta con l’ampolloso e relativamente energetico The Great Destroyer.

Alan Sparhawk dei Low lancia un altro progetto, il Retribution Gospel Choir (Cycle, 2008), un power-trio (Eric Pollard alla batteria e Matt Livingston al basso) devoto al tetro folk-rock nello stile di Neil Young.


(Translation by/ Tradotto da Ferdinando Vella)

Zak Sally, bassista dei Low, fece il suo debutto solista con Fear Of Song (La Mano, 2009), anomalo album psichedelico che va da St(R)utter (chitarre distorte, percussioni industrial ed effetti sonori elettronici) a barrettiane ninna nanne acustiche.

C'mon (Sub Pop, 2011) appare piu` una raccolta di idee ricercate piuttosto che un complesso organico; e nessuna di queste idee sembra esaurita, nemmeno Nothing But Heart, di otto minuti, con Nels Cline alla steel guitar.

I Retribution Gospel Choir di Allan Sparhawk hanno manifestato un'inclinazione rumorosa ed aggressiva con 2 (Sub Pop, 2010), in particolare con il brano di otto minuti Electric Guitar e Poor Man's Daughter.


(Translation by/ Tradotto da Pierluigi Napoli)

I Retribution Gospel Choir abbracciano il rock mainstream con l’EP The Revolution (2012), che e’ o un modo per Sparhawk per dimostrare che puo’ essere una rock star ordinaria o una goffa caricatura del genere. I Retribution Gospel Choir sono di fatto un power-trio con il bassista Steve Garrington e il batterista Eric Pollard su 3 (Sub Pop, 2013), il lavoro piu’ aggressivo di Sparhawk fin qui, contenente solo la traccia di 20 minuti Can't Walk Out, una jam di chitarra rumorosa e stridente a` la Neil Young, e la traccia di 21 minuti Seven, una collaborazione con il chitarrista avant-jazz Nels Cline (coinvolgente intreccio di chitarre ma cantato noioso).

Invisible Way (2013), dei Low, prodotto da Jeff Tweedy dei Wilco, fa del piano uno delle molte voci, producendo elegie al piano come To Our Knees. Non e’ una sorpresa che il loro slowcore tramuta nel country-pop di Plastic Cup e Holy Ghost. D’altra parte, Tweedy inietta un po’ di energia nel loro slowcore, la quale si riscontra in pezzi insolitamente vivaci come So Blue e Just Make It Stop; e On My Own, per lo piu’ strumentale, vanta perfino un riff di chitarra stoner-rock. Le melodie piu’ vulnerabili, in particolare Four Score, rievocano i Cowboy Junkies. La Parker canta cinque canzoni. Ma l’album fondamentalmente e’ carente sia di direzione che di ispirazione.

I Low sperimentano arrangiamenti elettronici su Ones And Sixes (SubPop, 2015), prodotto dal collaboratore di Bon Iver, BJ Burton. I Low sostanzialmente importano la produzione digitale della musica hip-hop nel loro apparato slowcore. Gentle, cantata congiuntamente da Sparhawk e Parker, semplicemente decora la loro malinconia da slowcore standard con un drone basso oscillante e un loop di drum-machine a buon mercato. Burton aggiunge un ritmo digitale ed effetti elettronici all’elegia country-waltz di Parker Into You. Si puo’ sentire l’influenza dei Retribution Gospel Choir nella rumorosa e martellante No End e nel veloce twang di Kid in the Corner; e il pezzo di dieci minuti Landslide deve qualcosa alle lunghe jam di 3, benche’ si snoda e si perde in una moltitudine di umori: hard-rock-eggiante, lugubre, e alla fine sballato sognante. E, dal nulla, il duo intona l’ottimista e sentita What Part of Me in stile folk-rock classico, una canzone che sembra fuori dal contesto ma che sovrasta tutte le altre.

I Low provano a reinventare una carriera nascondendo il loro slowcore dietro arrangiamenti digital glitch su Double Negative (SubPop, 2018). Quorum e’ un overdose di rumore statico all’interno di una confusione pulsante, la strumentale The Son, The Sun e’ semplicemente tre minuti di ambre di droni che bruciano lentamente, Tempest e’ un lamento pesantemente distorto, la voce si fa irriconoscibile, e le due voci estatiche di Always Up si arrendono a spettrali droni ambient. Sono trucchetti scadenti, benche’ finemente prodotti. Disarray e’ solo una canzoncina pop superficiale camuffata da esperimento intellettuale, Always Trying to Work It Out e’ solo una ballata slocore in vecchio stile, e Fly e’ una vulnerabile nenia pop-soul. Gli arrangiamenti elettronici fungono essenzialmente come distrazioni. Comunque, un trio di canzoni giustificano le aspettative. Dancing and Blood combina un battito industriale da metronomo, il canto anemico di Sparhawk e chitarra dolcemente acustica per finire con un flebile drone che sembra una trasmissione extraterrestre. Poor Sucker, il picco emotivo, suona come un inno religioso (reverberato come se cantato tra le mura di un monastero) con un battito che assomiglia al ticchettio di un orologio. Rome mette in moto un canto lento e battito marziale in elettroniche distorte ma ferma tutto per far posto a un break di chitarra selvaggiamente distorto in stile Pink Floyd post-Wall. Se l’attrattiva principale dell’album e’ l’elettronica, pilotata dal manipolatore Steve Garrington, l’anello piuù debole rimane il canto di Sparhawk.


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