- Dalla pagina sui Fleet Foxes di Piero Scaruffi -
(Testo originale di Piero Scaruffi, editing di Stefano Iardella)


(Tradotto da Antonio Buono, modificato da Stefano Iardella)

I Fleet Foxes, capeggiati dal cantautore Robin Pecknold, suonano un folk-rock per l’era post-emo. Le cinque canzoni dell’EP Sun Giant (2008) introducono l’anomalo sound della band con un inno a cappella come Sun Giant, l’alternativamente catatonica e vigorosa Drops in the River, l’ipnotica e oscillante English House, la lineare Mykonos (la cosa più vicina al power-pop dell’album) e il lamento appalachiano di Innocent Sun per voce e chitarra, ciascuna con ritmi stravagantemente deformati (o senza alcun ritmo) e dinamiche imprevedibili dentro strutture melodiche apparentemente semplici.
C’è abbastanza magia per richiamare alla mente combi acid-rock come gli It's A Beautiful Day, armonizzatori del Marseybeat come gli Hollies e i revivalisti del folk come la Incredible String Band.

I Fleet Foxes mantengono le promesse dell’EP sul primo album Fleet Foxes (Subpop, 2008). Il suo pregio principale sono le armonie multi-part che trasformano diverse canzoni in esperienze disorientanti, oltre quello che Beach Boys e Crosby Stills & Nash erano capaci di fare: l’ardore quasi religioso di Sun it Rises, armonizzato con i toni scintillanti delle chitarra; il mormorio quasi gotico di Heard Them Stirring, contrastato da uno strimpellio delicato e un’ambientazione risonante, etc.
Quando un ritmo contagioso e una candida melodia vengono combinati a barocche armonie vocali, il risultato sono cristalline creazioni come White Winter Hymnal e Doesn't Know Why. Gli arrangiamenti penetranti appongono da soli il marchio di esperienza sonora a canzoni come Your Protector (flauto e organo).
Rimasugli di musica tradizionale possono essere avvistati invece in episodi come Ragged Wood, che fondono la voce guida quasi yodel di ispirazione appalachiana a una batteria trottante, o Quiet Houses che allude alla musica da chiesa e bluegrass da una più alta dimensione, o ancora Blue Ridge Mountains.
Questi brani ridefiniscono virtualmente un genere in esaurimento come l’"alt-country". Pecknold completa la magia con la sua maestria vocale, come dimostra con Tiger Mountain Peasant Song (un madrigale neoclassico per voce e chitarra) e Oliver James.
La loro eleganza melodica ha pochi rivali.


(Tradotto da Stefano Iardella)

Helplessness Blues (SubPop, 2011) dei Fleet Foxes era molto più tradizionale rispetto al primo album, quasi un omaggio al folk-rock vecchio stile degli anni '60, con pittoreschi strumenti acustici e semplici melodie domestiche. Il canto quasi jodel e le armonie doo-wop di Montezuma sembrano gli Everly Brothers immersi in un cocktail lounge. La danza cosmopolita raga-psichedelica Bedouin Dress sembra i Simon & Garfunkel improvvisamente energizzati, e la spartana Blue Spotted Tail trasuda l'innocenza del primo Donovan. In teoria, l'umore musicale spazia dalla vivace e martellante Battery Kinzie (forse la canzone più immediata del lotto) all'estatica/impressionistica The Plains/Bitter Dancer, con un picco equilibrato nell'elegia country sognante Lorelei. In pratica, troppe canzoni sono senza identità e persino le migliori sono difficili da distinguere l'una dall'altra: questa è solo musica di sottofondo rilassante per picnic estivi. The Cascades scimmiotta la musica celtica della musica new age (e fa sembrare la musica new age musica d'avanguardia). La rimbombante Grown Ocean scimmiotta il pop orchestrale senza orchestra. Altri sono semplicemente senza meta e confusi, come Helplessness Blues, che cambia personalità in modo nevrotico un paio di volte, senza mai trovarne una interessante, o come gli otto minuti di The Shrine/an Argument, che cerca di salvare il suo grido monotono all'inizio con pompa marziale, poi con un'invocazione da chiesa e infine con ostentazione free jazz.

Nel frattempo, Joshua Tillman, trasferitosi a Los Angeles, ha continuato la sua carriera come solista con un nuovo soprannome e una nuova personalità, l'ubriaco e arrapato Father John Misty.

Due membri dei Fleet Foxes (Christian Wargo e Casey Wescott) si sono uniti ai fratelli Ian e Peter Murray per formare i Poor Moon, che hanno debuttato con l'EP Illusion (Sub Pop, 2012), che suona come se fosse un album dei Fleet Foxes.

Il full length Poor Moon (Sub Pop, 2012) contiene per lo più riempitivi al rallentatore, sui quali svetta di slancio il pop revival anni '60 di Waiting For, ma non è esattamente rivoluzionario (infatti migliaia di pub band hanno canzoni come questa nel loro repertorio).

Skyler Skjelset, co-fondatore dei Fleet Foxes, ha pubblicato album da solista nel genere ambient: Noh (2014), con le variazioni di 13 minuti su una melodia di chitarra dissonante e venata di Zen Seattle Guitar Flashback, la distorsione di chitarra psichedelica grossolana di dieci minuti che si trasforma lentamente in un motivo minimalista svolazzante Zero, il dialogo tra un glissando abrasivo e note di pianoforte casuali di Mishima, il non esattamente rivoluzionario Sunup (2015), con i più consistenti sedici minuti di musica cosmica, placida, languida e scintillante di Artica, Ink Chord (2016), con la sinfonia di droni di marea di sedici minuti Sama, che verso la fine incorpora un ritmo elettronico, e Back in Heaven (2020).

Robin Pecknold ha resuscitato i Fleet Foxes per Crack-Up (Nonesuch, 2017), un lavoro molto più complesso rispetto a qualsiasi cosa avevano fatto prima. Mancano le melodie sincere e profonde, sostituite da architetture contorte e multistrato. Il fulcro dell'album sono le due composizioni in più parti. I Am All That I Need/Arroyo Seco/Thumbprint Scar dura solo sei minuti, ma quei sei minuti contengono un'incredibile quantità di cambiamenti, iniziando come un'invocazione alla David Crosby prima che la chitarra scateni un torrenziale schema minimalista che genera armonie vocali alla Hollies che si esaurisce in un debole lamento e così via. Il processo è simile al prog-pop dei primi Genesis. La mini-opera di nove minuti Third of May/ Odaigahara suona come un musical di Broadway che rende omaggio a Neil Young, John Denver e così via, e poi invita sul palco Leo Kottke per un'improvvisazione di chitarra solista. C'è molta confusione, un po' di enfasi e poca coesione in questi due pezzi centrali. Gli arrangiamenti densi dirottano anche le idee melodiche più semplici, ma i risultati tendono a essere più coinvolgenti. Fool's Errand suona come i The Mamas & the Papas arrangiati da VanDyke Parks prima che Frank Sinatra rubi il microfono per una canzone operistica al chiaro di luna. Cassius è avvolto negli enfatici arrangiamenti semi-orchestrali del Brit-pop anni '90 (in particolare il suono "Madchester"). Mearcstapa evoca il folk-jazz barocco di Van Morrison di Moondance. Naiads Cassadies prende in prestito la suspense funebre con venature indiane di The End dei Doors prima di trasformarsi in un rilassato e canticchiato shuffle country-rock. Kept Woman suona come un inno rinascimentale cantato da Simon & Garfunkel mentre la chitarra si impegna in un'austera ripetizione minimalista. Perfino la canzone più timida, l'incubo marziale Warren Zevon-iano di If You Need to, Keep Time on me, è sia spinto che ostacolato dal suo intricato lavoro di pianoforte. L'album si conclude con la marcia lugubre, la fanfara e l'invocazione cosmica di Crack-Up, un'altra canzone che cambia pelle più volte.

I Fleet Foxes sono tornati dopo tre anni con un'altra serie di canzoncine affascinanti ma "conservatrici", Shore (Anti, 2020). Robin Pecknold dipinge dolci fantasie melodiche come Sunblind e Maestranza, e canta la maestosa ballata pop-soul Can I Believe You e la ponderosa A Long Way Past the Past. Sono brani che ci riportano all'epoca d'oro del Brill Building. La migliore è probabilmente la spensierata Jara che suona come un Merseybeat, l'eccezione. La seconda metà dell'album contiene le canzoni più toccanti: la delicata I'm not my Season, la polifonica Thymia, simile a un inno, e Going-to-the-Sun Road, con frasi funeree e impressionistiche di trombe e tromboni.


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